Quando il teatro si fa rito

Il 18 febbraio, presso il Teatro Argot Studio, Carolina Pizarro ha presentato al pubblico la performance Da Amagaki a Shibugaki, geografia di un apprendistato, che svela e approfondisce i percorsi dell’attore in formazione continua.

Articolo di Margherita Dellantonio

 

Un canto accompagna il pubblico a prendere posto nell’intima sala del Teatro Argot Studio, spazio off nel cuore di Trastevere a Roma. È il canto di una sirena benevola, forte di un sapere antico e misterioso che rapisce, sin dalla prima nota, spettatori naufraghi in un viaggio la cui meta non precisata giungerà a un’inaspettata destinazione.

È la voce dolce e magnetica di Carolina Pizarro, performer cilena dell’Odin Teatret, che dà il benvenuto nel suo paese, «nel paese della preparazione di un’attrice per il teatro». La dimostrazione spettacolo, infatti, ripercorre le tappe lungo le quali si delinea il suo cammino di apprendimento dell’arte attoriale.

Dal Cile alla Danimarca all’India la performance, il cui sottotitolo non a caso è geografia di un apprendistato, attraversa paesi, fisici e interiori, che segnano il processo in continuo divenire della formazione dell’attrice. Ed è un piacere lasciarsi trasportare dai suoi racconti.

La lingua della narrazione è lo spagnolo, a volte tradotta da un interprete in scena, a volte lasciata scorrere pura, mescolata a idiomi incomprensibili all’orecchio dei più, ma non per questo privi di forza espressiva.

In una scena nuda, illuminata da un semplice piazzato (che resta invariato nel corso della performance), Carolina Pizarro si serve dell’ausilio di pochi oggetti che estrae mano a mano da una sacca, per narrare il suo cammino artistico, ricostruendo parti di spettacoli, di improvvisazioni e lezioni, dando una dimostrazione del suo percorso di lavoro in campo teatrale. Ma soprattutto Carolina  Pizarro è corpo e voce, è sguardo che non lascia scampo con la sua delicata intensità.

La platea vive e viaggia con lei, la sua energia travolgente avvolge gli spettatori, riempiendo interamente lo spazio della sala. Carolina Pizarro canta e balla senza sosta, senza essere cantante né ballerina, ricordandoinoltre le parole di Eugenio Barba, fondatore dell’Odin Teatret, che afferma che il peggior danno fatto al teatro è stato quello di dividerlo in discipline, in parola e movimento, precludendone il dialogo.

«Spegni la mente e fai», le ripeteva Julia Varley, attrice e regista del gruppo danese, quando la Pizarro, arroccata nel desiderio di imparare a essere un’attrice migliore, non riusciva a liberarsi dalla rigidità di un metodo che voleva più definito.

«Entregarse» è la parola che Carolina sceglie, tra le tante alternative possibili, per riassumere il lavoro dell’attore. La traduzione italiana corrisponde a consegnarsi, tuttavia entregarse significa anche darsi per vinti, abbandonarsi, farsi dunque vuoto per accogliere gli insegnamenti dei maestri e poterli poi restituire al pubblico. Ma andando a leggere la definizione del termine nel dizionario della Real Academia Española si trova un altro significato appropriato, che mi piace citare in questo contesto: dedicarsi molto intensamente a qualcosa o a qualcuno. Dedizione necessaria a far maturare i frutti del lavoro di apprendimento di un’arte. 

Così, si racconta nello spettacolo, accade per il kaki orientale, un antico albero giapponese i cui primi frutti dolci iniziano a maturare solo dopo i cent’anni di vita della pianta. Gli uomini tagliano i rami degli alberi più vecchi per innestarli in quelli più giovani affinché diano frutti dolci anzitempo. Alcuni alberi inizieranno dunque a maturare frutti dolci, altri continueranno a dare frutti amari. Questa storia è metafora del passaggio di esperienza da maestri ad allievi, di questo sapersi consegnare e abbandonare su cui insiste l’attrice. Carolina Pizarro si considera ancora un albero giovane, e lo è: ma nella condivisione del suo percorso attraverso questo spettacolo, dà un assaggio a chi la guarda della dolcezza che già si annida in lei.

Quella «danza dei sensi e della mente dello spettatore» di cui parla ancora Barba, si attiva intensamente grazie alle doti dell’attrice, che sa coinvolgere il pubblico svelando, senza che sia necessario dirlo apertamente, la potenza che porta con sé la partecipazione ad un atto performativo.

Performance, questa, che è un vero e proprio rito, al termine del quale gli spettatori si alzano in piedi, e per tre volte, insieme all’attrice, sollevano le braccia congiungendo le mani per ringraziare i propri maestri, la condivisione del momento dello spettacolo ed infine se stessi. Un rituale che ricorda le pratiche meditative più che quelle teatrali: semplice ed efficace riporta a qualcosa di antico, di intimo e spirituale, creando una connessione tra tutti i presenti in sala. Il canto solitario con cui inizia lo spettacolo si trasforma in un coro silenzioso, unendo platea e palcoscenico in un respiro comune. Tre battiti di mani terminano la performance-rito, per far continuare a fluire l’energia.

Allora apriamo le porte del teatro, che l’energia fluisca nelle strade.

 

Teatro Argot Studio, 18 febbraio 2019

Da Amagaki a Shibugaki, geografia di un apprendistato

Dimostrazione spettacolo

Con Carolina Pizarro

Regia Julia Varley

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