Tra documentazione e partecipazione: il making of del documentario sulla Macchina dei Sogni di Mimmo Cuticchio.
Articolo di Valerio Di Paola
Iniziamo dalla fine, con il saluto e l’abbraccio tra i partecipanti all’avventura: una piccola anarchia improvvisata nell’atrio dei voli in partenza da Tolosa. Un frammento ripreso con il cellulare che finisce sui social network: il senso del viaggio è proprio questo, una formidabile occasione di incontro fortuito con l’altro. Il documentario sulla Macchina dei Sogni è inseguire a ritroso quell’intreccio di volti che si salutano calorosamente: cantanti, musicisti, manovratori di pupi e burattinai, giornalisti e professori, artigiani del teatro e del racconto. È un piccolo «caos-mondo» turbolento, come lo chiamava Edouard Glissant nella Poetica del diverso: una versione in scala degli intrecci e repulsioni, opposizioni, conflitti e sintesi che costituiscono la «totalità mondo». La poesia del caos, dice Glissant, non si può scrivere in forma definitiva: così è la Macchina in movimento tra Palermo e Roncisvalle. È il viaggio la condizione che rende possibile l’incontro e, nomadi per qualche giorno, i partecipanti alla Macchina sono individui differenti, quegli esseri umani che piacevano a Bruce Chatwin, che conservano la voglia di varcare distanze come antidoto alla sedentarietà, portatrice di avidità e indifferenza.
Raccontare tutto questo in un documentario ha implicato considerare la Macchina, prima che un momento di teatro, una pratica di vagabondaggio. È il camminare l’elemento condiviso tra la compagnia e gli spettatori, ovvero gli occasionali pellegrini di passaggio sulle prime miglia del Cammino di Santiago. Incontrare un racconto inaspettato sul cammino, come una fonte d’acqua fresca imprevista, ha generato un pubblico particolare: dalle immagini è evidente che, tra quelli che si fermano ad ascoltare, i più non comprendono la lingua del racconto, eppure sono lì, incantati, a condividerne il calore.
L’atto del camminare è difficile da filmare. Sullo schermo è ripetitivo, banale: gli individui che camminano tornano a essere isole alla deriva in mezzo alla natura senza confini, mentre svanisce la relazione frutto del muoversi insieme. Come dunque raccontare in modo onesto la Macchina, scongiurando il rischio che la sua parte invisibile si volatilizzi con le ultime parole di Orlando morente a Roncisvalle? Non c’era la possibilità di essere esclusi da ciò che accadeva nel racconto: in mezzo a quell’intreccio di alterità, la troupe camminava letteralmente dentro il condividere, si emozionava, mentre contribuiva allo scambio, ascoltando e raccontando a sua volta. Sono bastati pochi chilometri a piedi perché i filmaker a seguito della compagnia cessassero di essere strumenti di documentazione e diventassero parte integrante di quel «caos-mondo»: a quel punto la registrazione neutrale era già diventata un sincero e personale diario di viaggio.
Il documentario su La Macchina dei Sogni 2018 è stato realizzato da:
Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo, nell’ambito del progetto Per fare il teatro che ho sognato – Gruppo Universitario Teatrale, Mibac – FUS 2018-2020.
Stefano Locatelli – responsabile del progetto
Valerio Di Paola – regia
Walter Balducci – direzione della fotografia
Riccardo Silvi – suono in presa diretta
Benedetto Sanfilippo – montaggio video