Dal 5 al 10 marzo 2019, Pippo Delbono è tornato in scena al Teatro Argentina con il suo ultimo spettacolo, La gioia, di cui è regista e interprete insieme alla sua storica compagnia.
Articolo di Eva Corbari
Pippo Delbono racconta vite disperse, con la bocca attaccata al microfono, la voce strascicata che scoppia in invocazioni profetiche, corpi imperfetti scossi da luci psichedeliche; e poi l’urgenza del canto, autobiografia, apostrofi alla platea. «Pippo è così», si sente commentare fuori dal Teatro Argentina, dove è andato in scena La gioia, il suo ultimo spettacolo, di cui è regista e interprete, insieme alla storica compagnia; lo si chiama per nome, sentenziando «Pippo piace o non piace». Davanti ad un pubblico che cerca punti di riferimento canonici (il regista sa di rivolgersi a spettatori colti, con i suoi ironici riferimenti all’Enrico IV, a Beckett…), gli analfabeti di Delbono rischiano di ridursi a cliché valoriali, gli apparati scenici a stile riconoscibile, le incursioni nel sociale (su tutte, il tema dei migranti) di aderire alle aspettative di una platea così generosa di applausi da sovrastare più volte i silenzi, come per paura del vuoto.
In effetti, tutto quadra. Una cornice tematica e visiva scandisce le scene, secondo simmetrie ottimamente costruite: mazzi e ghirlande di fiori ovunque, composti da Thierry Boutemy, gli stracci colorati come corpi annegati, coreografie di figure clownesche che appaiono e scompaiono, in un caos ordinato. Il tema conduttore della ri-fioritura lega le sequenze: dall’inverno-buio-dolore può sbocciare una primavera-colore-gioia, serve confrontarsi con la fine per trovare una seconda possibilità. Gli attori incarnano tentativi di rinascita: una milonga per Ilaria, la primavera maledetta cantata da Gianluca, la fuga di Pepe dalla dittatura argentina, la libertà di Bobò, dopo 46 anni in manicomio, il compagno sordo-muto scomparso da due mesi. Questa prima replica senza di lui aspira alla celebrazione, dunque: la voce di Bobò ritorna, registrata, se ne festeggia il compleanno simbolico, si evocano momenti.
Nel rinnovare la sua presenza, però non si sfugge all’assenza. Bobò non siede sulla panchina al centro del palco, non soffia la candelina sulla torta e la mancanza piega i corpi, increspa i volti. La poetica di Delbono potenzia la nostalgia nella sua funzione vitale, ma che succede se la perdita non si supera e la festa non maschera il funerale? Sono queste sfumature di umana tristezza a costituire materia di trasformazione; la dimensione progettuale dello spettacolo («questo spettacolo non è finito, ci sono ancora buchi neri», premette Delbono in apertura) lascia entrare la morte senza combatterla, sfida i parametri di giudizio convenzionali e rinnova le potenzialità creative laddove i vuoti non si colmano. La vita vince sulla retorica e si finisce per consegnarsi all’imprevisto: dove niente è definibile né rassicurante, si svela la nostra natura di buio e speranza.
LA GIOIA
uno spettacolo di Pippo Delbono
con Bobò, Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono
Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti
Pepe Robledo, Zakria Safi, Grazia Spinella
composizione floreale Thierry Boutemy
musiche Pippo Delbono, Antoine Bataille e autori vari
luci Orlando Bolognesi
suono Pietro Tirella
costumi Elena Giampaoli