Valter Malosti ha portato in scena al Teatro Vascello, dal 12 al 17 marzo, una peculiare messa in scena dei 154 Sonetti shakespeariani. Uno spettacolo stratificato e complesso per cui si è avvalso della collaborazione di Michela Lucenti – per la danza – e Fabrizio Sinisi – per traduzione e adattamento. Per chiederci: è ancora possibile la poesia nell’epoca dei prediciottesimi?
Articolo di Doralice Pezzola
Che c’entrano le risate finte dei telefilm con William Shakespeare?
Le «risate finte» nascevano negli anni Cinquanta per mano di un giovane tecnico del suono di nome Charles Rolland Douglass, inventore della Laff Box, uno strumento che conteneva 320 suoni registrati e che dominò i network televisivi fino agli anni Settanta. La Laff Box rispondeva infatti all’annosa questione della reazione del pubblico, che decretava il successo o il fallimento di una produzione; reazione con cui, del resto, avevano dovuto vedersela generazioni e generazioni di artisti, teatranti e cineasti, ben prima dell’invenzione degli show somministrati via cavo.
Con una roboante risata registrata inizia Shakespeare/Sonetti di Valter Malosti, spettacolo del 2018 passato al Teatro Vascello la settimana scorsa e capitolo conclusivo della trilogia sullo Shakespeare «non teatrale» iniziata dal regista con Venere e Adone e Lo stupro di Lucrezia. Arriva sul palco Malosti, nelle vesti di un clown dal piglio aggressivo che come una tigre in gabbia comincia a percorrere la scena in grandi e irosi cerchi. Ha un microfono in mano, di quelli che proverbialmente in televisione si chiamano coni gelato, e ogni volta che s’accosta al pubblico gli esce dalla bocca un verso, e più che ascoltare una poesia declamata, a noi sembra di venire maledetti.
Ecco la magia nera di uno spettacolo che traduce la poesia in sudore: ecco Malosti che polverizza il gesso del classicismo imbellettato con un microfono da presentatore televisivo. Il grande ospite in scena, ingombrante come quattro secoli di storia, è William Shakespeare – che il regista vuole sul palco nella sua iconografia più trita, al tavolino con la piuma d’oca in mano, come fantasmagoria principe da cui si propagano tutte le altre, clown compreso.
Protagonisti assoluti sono i suoi versi, che il pagliaccio dà ferocemente in pasto al pubblico, e il pubblico se li mangia e ne vuole ancora, e allora il pagliaccio gliene dà di più. Strofa dopo strofa si viene delineando uno spettacolo che funziona per stordimento e per accumulo. Una struttura ridondante, una maratona senza pause, che costringe il pubblico a una distrazione programmatica attraverso la moltiplicazione dei segni: i versi ascoltati, i versi declamati, i suoni, la danza, il canto, i costumi sbrilluccicanti. A ogni strofa chiusa scatta una risata registrata, mentre Malosti si aggira per il palco come un pugile dentro al suo costume di paillettes. Le risate finte, decontestualizzate da una sit com e piazzate sulla scena nera del teatro, stridono con la materia quasi sacrale a cui fanno da intervallo e sottotesto.
Nel 1960 Dwight Macdonald, in un saggio dal titolo Masscult e Midcult, introduceva il concetto di Reazione Controllata, cioè una delle strategie dell’industria della cultura postmoderna per provocare a fini commerciali una reazione prestabilita nello spettatore. Lo scrittore prendeva le mosse da un critico d’arte di nome Clement Greenberg, che in un articolo apparso nel 1939 su «Partisan Review» (Avant-garde and kitsch) aveva definito le qualità estetiche del kitsch. Il kitsch per Greenberg «predigerisce l’arte per lo spettatore, gli risparmia lo sforzo e gli offre una scorciatoia per i piaceri dell’arte, evitandogli le difficoltà proprie dell’arte di qualità» e, aggiunge Macdonald, lo fa «includendo nell’opera le reazioni che lo spettatore dovrebbe avere anziché costringerlo a trovare da solo le proprie risposte».
Ecco allora che le risate finte, con William Shakespeare, c’entrano eccome. L’obiettivo di quelle della televisione (tutt’ora impiegate in serie di grande successo, come The Big Bang Theory) aveva a che fare con la Reazione Controllata, nella misura in cui suggeriva allo spettatore lo stato d’animo in cui avrebbe dovuto trovarsi, risparmiandogli lo sforzo d’interpretazione e minandone subdolamente le possibilità decisionali.
L’operazione di Malosti su Shakespeare è precisamente di segno contrario. Il regista e attore si serve di quel breviario della cultura postmoderna e ci veste il suo spettacolo. Sotto le sollecitazioni delle risate registrate manda in scena un pagliaccio ricoperto di lustrini, uno Shakespeare (Elena Serra S.) sinuoso e ammiccante e una dark lady (Michela Lucenti), che fa risuonare Cosa sono le nuvole di Domenico Modugno fra i sonetti e l’amplesso omosessuale di due lussuriosi danzatori (Maurizio Camilli e Marcello Spinetta). Il risultato è un enfatico sovraccumulo di segni che, invece di spianare l’accesso ai momenti poetici, li problematizza in maniera critica. Con gli attrezzi dell’empatia costruita a tavolino, Malosti straccia la maschera serena del classico, e ne riversa in platea la materia bruciante.
Il gioco è proprio stare alle regole di quella fruizione bulimica che ci viene proposta tutti i giorni nei meccanismi delle nostre società iper-commercializzate, le cui leggi economiche hanno invaso tutti i campi della vita. Una società che è in grado di generare il concetto di prediciottesimo: un video in cui si celebra l’ingresso nell’età della maturità con un vero e proprio embodiment delle più bieche tendenze commerciali, considerate la massima aspirazione per il futuro del quasi-adulto.
Portare all’estremo le conseguenze di quella fruizione, portare allo stremo lo spettatore. Mettere alla prova la sua stessa capacità di assorbimento di quel collage barocco, di quello Shakespeare fatto a pezzi e riattaccato col glitter, riversato nella gola della platea senza tregua per i sensi. Fabbricare un coltello per dilaniare il kitsch da dentro. Farlo impugnare a un buffone, un pagliaccio cattivo e disperato, un giullare matto che imperversa schiaffando al pubblico tutta la sua verità. Questa è l’operazione, stratificata e complessa, di uno spettacolo che con tutte le sue forze afferma che la poesia è ancora possibile, perfino nell’epoca dei prediciottesimi.
SHAKESPEARE/SONETTI
versione italiana e adattamento teatrale Fabrizio Sinisi e Valter Malosti
regia Valter Malosti
coreografie Michela Lucenti
con
Valter Malosti Io Narrante / Il Poeta Come Buffone
Michela Lucenti Dark Lady
Maurizio Camilli Il poeta rivale
Marcello Spinetta Il giovane ragazzo
ed Elena Serra S.
scene e costumi Domenico Franchi
luci Cesare Agoni, Sergio Martinelli
assistente alla regia Elena Serra
canzoni Domenico Modugno
Un pagliaccio in paradiso, Che cosa sono le nuvole, Dio come ti amo
progetto sonoro Valter Malosti
musiche voci e frammenti sonori da Alan Splet, Murcof, Bruno Pronsato, Michael Nyman, Al Pacino, Scanner, Arvo Pärt
estratti da Liquefatto, progetto musicale di Gup Alcaro e Valter Malosti
suono Edoardo Chiaf, Fabio Cinicola, Jacopo Bertoli
produzione CTB Centro Teatrale Bresciano, TPE Teatro Piemonte Europa, Teatro di Dioniso
foto Umberto Favretto