Lo scorso 15 marzo è andato in scena, presso il Nuovo Cinema Palazzo di Roma, lo spettacolo Un chiodo nel mio stivale, ideato da Daniel Terranegra, per la regia di Reza Keradman, basato sulla figura mitica del poeta della rivoluzione Vladimir Majakovskij.
Articolo di Ornella Rosato
Battete in piazza il calpestìo delle rivolte!
In alto, catena di teste superbe!
Con la pena di un nuovo diluvio
laveremo le città dei mondi.
[Vladimir Majakovskij, La nostra marcia, 1917]
Utopia e Rivoluzione, due anziane signore dalle ginocchia deboli con la forza incantatrice di sirene omeriche. A loro dedica molti dei suoi versi il poeta della rivolta Vladimir Majakovskij, affascinante simbolo di quella porzione di Novecento intrisa di ideali e sanguigne chimere, passata alla storia come futurismo russo.
Un secolo è ormai trascorso, ma quella sferzata di vitalità che i poeti sovietici instillarono nelle menti dei loro contemporanei è ancora capace di ispirare.
A quattro anni dal suo debutto, Un chiodo nel mio stivale ideato da Daniel Terranegra, per la regia di Reza Keradman, è uno studio che si serve dei testi di Majakovskij, Esenin, Pasternak e Blok con le interpolazioni della giovane dramaturg Livia Filippi, per riaccendere nello spettatore un sentimento di speranza. Presentato lo scorso 15 marzo presso il Nuovo Cinema Palazzo di Roma, lo spettacolo si inserisce nell’offerta di ContraBBando, un progetto di residenza artistica mirante alla sperimentazione di forme artistiche indipendenti, alla gestione degli spazi della città e alla cura del bene comune. Un fortino di resistenza, nel cuore di San Lorenzo, teatro ideale per narrare le gesta dell’attualissimo Majakovskij.
Illuminata da grossi spot, è la scena monocromatica che Terranegra abita con indosso «il frak del vecchiume, ormai scucito punto per punto». Nei panni del grande poeta, l’attore travalica il suo spazio temporale per invadere il nostro, lasciandosi avvolgere e guidare dal pianoforte di Fabio D’Onofrio, con cui condivide il palcoscenico. Le folte enunciazioni liriche si sposano con le composizioni classiche e le vibrazioni jazz, assottigliando la distanza tra prosa e reading. Su una beckettiana sedia a dondolo il gigante verseggiatore si concede il gusto di godere della penna dei suoi compagni poeti, le cui parole sono fiammiferi di innovazione gettati su un prato di disuguaglianza e di sopruso.
La complessa situazione sociale della Russia di Majakovskij diventa, allora, un valido spunto per riflettere sul bisogno di umanità e di libertà dell’Italia odierna. Un chiodo nel mio stivale rimette in gioco l’urgente necessità di cambiamento, la capacità di ciascuno di lasciarsi travolgere dal turbinìo dell’impegno civile.
Che l’uguaglianza sociale diventi la Rivoluzione dei nostri giorni e l’Utopia una scatola di vetro, facilmente frangibile.
UN CHIODO NEL MIO STIVALE
Ideazione e interpretazione Daniel Terranegra
Regia Reza Keradman
Scrittura e aiuto regia Livia Filippi
Musiche Fabio D’Onofrio
Disegno luci e scene Fabrizio Cicero
Una coproduzione Nuovo Cinema Palazzo_ContraBBando
Ottima cosa…..m