Al Teatro India, tra il 5 e il 14 aprile 2019, è andato in scena Tango Glaciale, a trentacinque anni dal debutto. Lo spettacolo, diretto da Mario Martone, è stato riallestito da Raffaele Di Florio e Anna Redi.
Articolo di Alessia Pivotto
Ripercorriamo i vicoli dei Quartieri Spagnoli di Napoli, percependone sonorità e colori, fino a giungere in prossimità dell’ingresso dello storico Teatro Nuovo che accoglie sul suo palcoscenico il rivoluzionario: Tango Glaciale, lo spettacolo portato in scena dal collettivo teatrale Falso Movimento, il 27 gennaio 1982, con la regia di Mario Martone. In linea con le sperimentazioni della Nuova Spettacolarità, il tentativo di creare un nesso tra ciò che accade nella contemporaneità di un vissuto quotidiano e la rappresentazione scenica, si attua nella co-partecipazione allo svolgersi del racconto drammatico, di elementi quali musica-fotografia-azione- danza-voce- moda- fumetti-montaggio cinematografico- videoproiezioni. L’innovativa operazione di cui furono protagonisti gli attori: Licia Miglietta, Andrea Renzi, Tomas Arana, viene oggi riproposta con la medesima forza rinnovatrice. Tango Glaciale reloaded è riallestito a cura di Raffaele Di Florio e Anna Redi nel Teatro India di Roma, il 5 aprile 2019, affermando la necessità del confronto tra passato e presente per ampliare le possibilità d’azione.
La scena è strutturata secondo una scansione di piani, a definirli saranno un manichino situato in procinto della ribalta, un microfono pendente dall’alto e una struttura bianca e lineare sul fondo con un intaglio laterale che costituirà la porta di ingresso degli attori. L’uno ci introduce, tramite i suoi colori (giallo, verde, rosso) a intuire la vivacità e la dimensione ludica dello spettacolo, l’altro a immaginare ciò che accade al di là del visibile. A un primo dialogo tra l’attore Jozef Gjura e l’inanimata donna della ribalta – «Sbaglio oppure ti brillano gli occhi?»; «No, è il sole negli occhiali»; «M’era parso brillassero…»; «Ti dico che ti sbagli! Speriamo che non piova» – si accompagnano secondo una medesima scansione ritmica, le performance degli altri due attori in scena, Giulia Odetto e Filippo Porro. Il corpo dell’attore-danzatore agisce, affermandosi come presenza nell’esecuzione geometricamente astratta di un gesto, all’interno di in un gioco dinamico di linee e colori, confinato nel quadro sonoro della scena. Agisce integrandosi perfettamente nella meccanica della macchina teatrale; al tempo che scandisce ogni apparizione, proiezione di immagini, è connessa la parallela successione di sequenze gestuali.
Scambio simultaneo di un linguaggio comune, quello della tecnica, in grado di far dialogare il bios dell’attore e l’inerte materia funzionale degli oggetti scenici, da lui vivificati; l’apparato teatrale che entrambi governa (attore e scena – realtà e simulazione), si svela nella strutturata disarticolazione delle coordinate spazio-temporali. L’elaborazione scenica prende avvio dalla riflessione sul grado zero del teatro che il regista, Mario Martone, identifica nel vuoto, «nell’eco del grande rumore dei massmedia». Come definire il prolungato suono che anticipa, preannunciandoli, i diversi quadri e l’entrata degli attori, se non con “rumore”. Rumore che somiglia ma non è: vento, mare, notturno abisso; che somiglia ed è: motore, treno, eliche. La dimensione acustica appartiene alla scena, la collochiamo spazialmente sulla linea della ribalta, eppure sembra sempre sconfinante e pervasiva; è come se fossimo noi spettatori con il nostro frastuono quotidiano ad interrompere il flusso spettacolare proiettando, nell’ascolto, il nevrotico caos della metropoli del 2000.
Le musiche, elaborate da Danghi Rondanini, sono invece materia dell’attore, elemento drammaturgico. È la musica che guida il movimento o è il movimento stesso che produce musica? La prevedibilità dell’evento determina il ritmo, una sorta di danza della declamazione. Assistiamo a un rimando analogico di elementi scenici non gerarchicamente mostrati; l’elaborazione pittorica sullo sfondo è ingrandita per creare lo spazio destinato alla performance attoriale che si sovrappone all’ambientazione grafica di un’abitazione in stile fumettistico. I costumi, per forma e sapiente contrasto di luci, si fondono con la messinscena. Dal salotto al tempio, dalla cucina al tetto, dai giardini all’arida terra, bidimensionalità e tridimensionalità convivono con elaborazioni videografiche che si succedono come raffiche, conquistando progressivamente porzioni di spazio.
«In dodici ambienti per dodici diverse scenografie, durante un’ora, alla media di un cambio di scena ogni cinque minuti» attraversiamo i confini danzando fino a distruggerli facendo scoppiare la scena, rompendo gli spazi al grido di «ça va?!» con il coraggio di esporre allo sguardo il proprio corpo, sfidando la quarta parete. In antitesi, l’immagine del saxofonista impossibilitato nel raggiungere lo strumento e costretto tra pareti claustrofobiche. L’impostazione visiva sollecita reazioni cinestetiche; fa riflettere sul modo di percepire fisicamente lo spettacolo. E se, l’intento del regista è di «mettere il lavoro alla prova di una generazione che era lontana dall’essere concepita nel 1982», una generazione, la nostra, che ha fatto dell’immagine un culto. Il paradosso di pensare l’immagine senza immaginazione. A distanza di 37 anni, recuperiamo il contatto con ciò che per quanto dissimulato non può non palesarsi: la presenza, l’essere nel mondo nell’interazione costruttiva con l’altro.
TANGO GLACIALE RELOADED (1982 → 2018)
progetto, scene e regia Mario Martone
riallestimento a cura di Raffaele Di Florio e Anna Redi
elaborazioni videografiche Alessandro Papa
con Jozef Gjura, Giulia Odetto, Filippo Porro
interventi pittorici / design Lino Fiorito
ambientazioni grafiche / cartoons Daniele Bigliardo
parti cinematografiche / aiuto – regia Angelo Curti, Pasquale Mari
elaborazione della colonna sonora Daghi Rondanini
costumi Ernesto Esposito
testi Mario Martone, Tomas Arana, Lorenzo Mango, Saffo, Bow Wow Wow, Joseph Beuys, Der Blau Engel
foto di scena Mario Spada
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto
riallestimento nell’ambito del Progetto RIC.CI Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni Ottanta/Novanta
(Ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini)
in coproduzione con Fondazione Ravenna Manifestazioni
con il sostegno di Torinodanza festival | Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
in collaborazione con Amat – Associazione Marchigiana Attività Teatrali / Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee / Fondazione Teatro Comunale di Ferrara / Teatro Pubblico Pugliese – Consorzio Regionale per le Arti e la Cultura / Fondazione Toscana Spettacolo onlus / Fondazione Milano – Civica Scuola di Teatro “Paolo Grassi”
Ottimo articolo, complimenti!