Tra professione e vocazione. Spunti a partire dalle Buone Pratiche del Teatro 2019

Mentre ci si dichiara studenti e lavoratori dello spettacolo dal vivo, capita, tra profani, di sentirsi chiedere: «Ah, quindi ti vedremo in televisione?», talvolta solo «Ah… quindi?»… e quando annunci che hai festeggiato il Primo Maggio: «Perché, lavori?». Lavoro, welfare, relazione tra spettacolo dal vivo e altri settori della societàsono tra i temi discussi dai gruppi riuniti lo scorso 30 marzo, presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano per Le Buone Pratiche del Teatro, l’iniziativa che Associazione Culturale Ateatro promuove dal 2004.


Articolo di Eva Corbari

La ricorrenza del Primo Maggio, ufficialmente istituita dalla Seconda Internazionale nel 1889, a Parigi, come giornata di manifestazioni e rivendicazioni dei lavoratori – in ricordo della manifestazione di Chicago del 1886 per fissare la giornata lavorativa ad otto ore – sopravvive a simbolo della dignità umana di ciascun lavoratore retribuito, tutelato e potenziato nella sua identità civile e relazionale. Per la “generazione Novanta”, che cosa resta di questo valore fondante, nel mondo di lavoretti, occupazioni estive, tirocini non pagati? Precarietà, discontinuità, riqualificazione permanente modificano i criteri determinanti l’identità e il grado di partecipazione alla collettività dei giovani, abituati ad una gratuità distorta, non più uguaglianza, ma individualismo, omologazione… o rassegnazione (leggasi: affitti da pagare). Il giovane studente-aspirante lavoratore dello spettacolo mantiene la carica identitaria del sogno: passione, fame, vocazione spingono ad un continuo test delle competenze, ad un arricchimento di esperienze, produzione di contenuti non retribuita. Se sperimentazione e adattamento sono imprescindibili per la fase di “apprendistato”, tutele, diritti, continuità di una effettiva prestazione lavorativa devono poi assumere valore discriminante nelle scelte per il futuro. Più che una definizione standard, in uno spettro di figure fluide e variamente ricomprese nelle professioni culturali, la ricerca d’identità riguarda un mancato riconoscimento.

La riflessione sul lavoro è stata al centro delle Buone Pratiche del Teatro | Obiettivo lavorodel 2018, documentate poi nel volume Attore… ma di lavoro cosa fai?, edito da FrancoAngeli, a cura di Mimma Gallina, Oliviero Ponte di Pino – che coordinano anche i lavori del 2019 – eLuca Monti; anche la giornata del 30 marzo, a partire dall’urgenza di politiche per lo spettacolo più organiche, ridiscute su lavoro e welfare in uno specifico panel, tra tematiche di competenze istituzionali, internazionalizzazione, rapporto del settore spettacolo con turismo, territori, con scuola e terzo settore e il ruolo del teatro di comunità. Tutti ambiti toccati dal Codice dello Spettacolo del 2017 (sulla bozza della nuova legge delega e conseguenti decreti attuativi si è discusso durante la mattinata), li accomunano parole chiave come: disciplina normativa, diritti e tutele, specificità della professione, autoimprenditorialità, formazione permanente… Nello specifico, a riguardo del riordino concertato del welfare per il settore, questioni (storiche, si direbbe) ancora indefinite sono: il sostegno durante i “periodi di non-occupazione”, i criteri delle pensioni, l’assistenza alla malattia e alla maternità per gli artisti, che non possono incidere sul costo del lavoro, le agevolazioni contributive per imprese per lo più no profit (le riassume Patrizia Cuoco, Ateatro). Con il sindacato (Emanuela Bizi, SLC-CGL) si discute dell’applicabilità dei nuovi CCNL (uno per artisti e tecnici, uno per organi di gestione) a un anno dal rinnovo: necessari per stabilizzazione e regolamentazione delle paghe (assenti o forfettarie nei periodi di prova), contro le dinamiche clientelari, lo scarico dei debiti produttivi su lavoratori precari… sono però applicati in minima parte dalle imprese, che evidenziano l’insufficienza di risorse per sostenere nuovi costi e necessitano di ulteriore semplificazione (come sottolinea Luca Mazzone, Teatro Libero di Palermo, C.Re.S.Co). C.Re.S.Co, Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea, unisce realtà, operatori e artisti della scena contemporanea, con l’obiettivo progettuale di ricerca artistica e tutela politica di lavoratori che sono sostanzialmente imprenditori di sé stessi:in un mercato che produce più di quanto è chiesto e soprattutto non ha risorse, la cosiddetta “autoimprenditorialità” diventa sfruttamento, se non tutelata all’interno di uno statuto specifico. Il valore aggiunto della specificità di “professionista dello spettacolo” è tema caldo anche nei rapporti tra teatro e formazione giovanile: «Rintracciamo la priorità fondante nella definizione dell’identità del formatore teatrale e proviamo a darle voce», invita il documento di C.Re.S.Co(Stefania Marronelo cita rispetto alla distinzione di ruoli tra docente interno della scuola ed esperto di teatro). A proposito di necessità di profilatura, viene indagata quella che la nuova legge sul terzo settore sembra riconoscere alle associazioni culturali con la legittimazione in chiave di no profit della loro attività (da Federico Amico, ARCI).

La modalità di discussione delle Buone Praticheper domande ed orizzonti ampi dà voce, dal basso, all’urgenza di riconoscimento e di aggregazione di realtà che si conquistano il loro “angolo” d’azione e cercano in ogni modo di vivere, senza profitto materiale, ma con garanzia di sostegno; tra i progetti presentati ci sono Trovafestival,Compagnie Malviste(Milano), Oltre il Palcoscenicodi Teatro Faraggiana (Novara)Kafka of SuburbiadiMinima Theatralia (Milano), La Nave degli incantidiGommalacca (Basilicata), che vanno soprattutto nella direzione di lavoro sul territorio, in contesti sociali e umani disgregati e marginali.

Assistendo ai lavori in corso, si percepisce la potenza dei principi da una parte, l’emergenza di intervento dall’altra. Si realizza come gli artisti e gli operatori dello spettacolo siano assolutamente consci del loro ruolo, frementi nella loro pratica creativa e nell’azione sul campo, come se anche solo l’avere il coraggio di iniziare funzioni da forma di resistenza. Perciò è indispensabile lavorare sulla continuità e sulla creazione di reti tra realtà particolari e verso figure di riferimento e di rappresentanza, per accrescere sensibilizzazione, consapevolezza del potere contrattuale, permanenza a lungo termine dei progetti. Non tanto per bloccarsi in parametri normativi o di mercato, quanto perché rivendicare una qualifica può aiutare a passare da un desiderio alla sua realizzazione, assumersi, perché no, la libertà di un fallimento, relazionarsi con un limite. Anche se caratteri come marginalità, mobilità, costante ricerca di efficacia non si ridurranno a categorizzazioni, chi vive di spettacolo dal vivo ha dalla sua la forza dei suoi mezzi: tramandare, trasformare, partecipare… allora, che la vocazione non trascuri lo stato d’emergenza, ma che questo non spenga la vocazione.

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