All’interno della rassegna Over – Emergenze Teatrali, e tramite l’ausilio del progetto d’indagine Per fare il teatro che ho sognato, gli incontri con le compagnie partecipanti ampliano lo studio e la ricerca sulle dinamiche del teatro italiano emergente. L’attore e regista Danilo Giuva, in scena con lo spettacolo Mamma di Annibale Ruccello, delinea gli aspetti viscerali di una maternità meridionale e stereotipata.
Articolo di Gianmarco Castaldi
«Ogni Scarrafone è bello a’mamma soja», con questo verso, nel 1991, il cantautore napoletano Pino Daniele riassumeva l’intera complessità dell’unione peculiare tra la figura materna e la meridionalità. L’adattamento alle difficili dinamiche sociali di un Sud Italia sempre più lacerato genera, da secoli, emblemi materni formati da una doppia natura contraddittoria: un disequilibrio cortese che alterna fasi di estrema dolcezza a momenti di ossessione ingiustificata.
All’interno della rassegna Over Emergenze Teatrali, svoltasi a Roma dal 2 al 12 maggio 2019 presso il Teatro Argot Studio, con la direzione artistica di Tiziano Panici e Francesco Frangipane, oltre all’offerta di spettacoli distribuiti nell’arco di due fine settimana, si è svolto un ciclo di incontri con le compagnie per tracciare una linea d’indagine tramite il loro operato. Le conferenze vengono gestite e animate dal progetto promosso dal Per fare il teatro che ho sognato dell’Università di Roma Sapienza, e costituiscono un arricchimento utile per mettere a fuoco le identità degli artisti.
Il pomeriggio del 3 maggio, al WEGIL di Roma, l’occhio indagatore di Per fare il teatro che ho sognato si sofferma sulla vicenda artistica di Danilo Giuva. Presente nella rassegna con lo spettacolo Mamma di Annibale Ruccello, l’artista foggiano delinea i principali scossoni artistici che hanno influenzato la sua carriera. Laureato in chimica, ma da sempre appassionato al teatro, Giuva, dopo gli studi universitari, approda cautamente alla formazione teatrale, un atto decisamente anticonvenzionale per i rigidi schemi panorama teatrale italiano. Dall’Actor’s Studio di New York fino alla collaborazione a Palermo con Emma Dante, passando per l’Odin Teatret di Holstebro,costruisce la base del suo percorso da attore e regista su vari modelli di culture teatrali. L’incontro con Licia Lanera, all’interno della compagnia Fibre Parallele, sarà il punto di svolta. La ricerca dell’estetica pura e simbolista è l’elemento cardine e fortemente voluto del suo teatro: gli oggetti, il loro rimando metaforico e intuitivo, costituiscono la drammaturgia scenografica che, narrando al pari del testo, rafforza gli elementi strutturali dell’intero spettacolo.
Partendo dal testo del napoletano Ruccello, Danilo Giuva, coerente con le linee guida della partitura originale, riformula i significati profondi della drammaturgia tenendo conto delle caratteristiche della propria terra d’origine. Lo stile barocco e popolare della Napoli e delle madri napoletane di Ruccello viene rimpiazzato dalla ruvidezza severa dell’alto Gargano e delle madri foggiane di Giuva; un lavoro di ricerca antropologica mirabilmente restituito, tramite il teatro, alla società.
Dura, protettrice e stereotipata la maternità meridionale segna il futuro dei propri figli; una sorta di cordone mai spezzato, legato doppiamente in un imperituro e gradevole contrasto, sia con la famiglia che con la terra natia.