Il progetto Per fare il teatro che ho sognato, ideato da docenti e collaboratori del Dipartimento Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della dell’Università di Roma Sapienza, vuole indagare cosa accade nel panorama delle giovani compagnie contemporanee, come queste riescono a sopravvivere economicamente, da dove provengono, come costruiscono i loro spettacoli e come interagiscono con le istituzioni. L’idea è di elaborare un documento che possa restituire le problematiche e le virtù del teatro emergente e indipendente di questi anni. A sua volta, la rassegna Over – Emergenze Teatrali, organizzata dal Teatro Argot Studio, nasce per segnalare i problemi che vivono i giovani attivi in campo teatrale, per far sì che questa emergenza diventi un atto di spinta e di presa di posizione nel mondo da parte degli artisti. L’intrecciarsi di questi due percorsi ha dato vita a degli incontri tra compagnie, studenti e spettatori, che sono stati utilizzati come lente d’ingrandimento per analizzare la condizione del teatro emergente italiano.
Articolo di Ornella Rosato
Over – Emergenze Teatrali ha ospitato lo spettacolo Il Pianetadella compagnia Anonima Sette che abbiamo avuto modo di intervistare lo scorso 10 maggio. Giacomo Sette e Ilaria Fantozzi hanno raccontato la loro formazione artistica, gli esordi, le modalità produttive e i possibili sviluppi futuri del proprio lavoro.
Ornella Rosato: Perché Anonima Sette?
Giacomo Sette:Anonima Sette è nata da un incontro, da una costola della compagnia Habitas, durante una residenza artistica ad Arsoli in cui io facevo loro da dramaturg. In quell’occasione conobbi una performer sarda e ho ironizzato con lei sulla Anonima Sequestri che di lì a poco è diventata, per noi, Anonima Sette. Ho iniziato a lavorare come tecnico, venivo fuori da un anno di direzione scenica per lo spettacolo Paranza il miracolo, prodotto dal Teatro Biondo di Palermo e dal Teatro di Roma. Dal 2013 ho cominciato a fare degli esperimenti autonomi di regia e con Anonima Sette abbiamo iniziato ad andare in scena con un pubblico, a girare per i festival. Così è iniziata questa straordinaria avventura.
O.R.: Che tipo di formazione avete?
Ilaria Fantozzi: Mi sono formata come attrice alla scuola di recitazione TeatroAzione e ho frequentato molti laboratori interni ed esterni alla scuola. Il mio interesse è rivolto verso la ricerca, verso il training, verso tutto quanto non vi sia di già precostituito. Rispetto alla situazione attuale riscontro la difficoltà di restare a lungo legati a un unico gruppo di lavoro, come nel caso, ad esempio, dell’Odin Teatret che resiste da decenni e che continua a creare, mentre oggi non è semplice restare uniti per molto tempo.
G.S.: Ho iniziato l’attività teatrale a 16 anni in una compagnia semi-professionale di ruoli, a 18 anni ho iniziato a fare il tecnico per questa compagnia. Successivamente ho frequentato il Corso di Laurea in Letteratura, Musica e Spettacolo, ho seguito un corso professionalizzante di regia teatrale organizzato dalla Regione Lazio e mi sono dedicato a lavori molto strutturati, spesso anche di teatro commerciale.
O.R.: I lavori di Anonima Sette hanno una certa diversità di scrittura che interessa anche Giacomo come dramaturg in quanto, spesso, scrivi anche su commissione per altre compagnie. Come è iniziato il tuo lavoro di scrittura?
G.S.:La scrittura per il teatro è un mestiere ed è molto diverso da quello della scrittura per pagina. La scrittura per il teatro fa sì che tu abbia sempre un riferimento esterno, che si tratti del pubblico o dell’attore. Hai cioè un confronto che è concreto e non astratto come avviene con la scrittura per pagina con il lettore. Io scrivo da quando ero ragazzo ma da subito ho sentito il richiamo della scena, la necessità di sentir dire le parole dal vivo. Mi piace sentire il calore della parola dal vivo e questo mi ha portato a sperimentare e a lavorare spesso su commissione: ho lavorato in carcere, a Regina Coeli, facendo un adattamento di lavori di detenuti per costruire una drammaturgia; ho lavorato per situazioni più istituzionali. Ciò che produco come dramaturg di Anonima Sette è quello che intendo per scrittura.
O.R.: Qual è l’idea che hai di scrittura, come si è sviluppata quest’idea?
G.S.:È come se aprissi una finestra che ho nella testa e proiettassi immagini. Queste immagini non sono fisiche, mi appaiono destrutturate nelle parole che le rappresentano, come se si formassero attraverso l’inchiostro. Scrivere per me è dare vita attraverso la parola, è per questo che mi piace molto anche scrivere su commissione. L’identità di ciascuno è nella parola e io, quando scrivo le mie cose, voglio che la parola diventi qualcosa di slegato, che apra ad altri mondi, che faccia perdere il senso del tempo e non faccia sentire l’esigenza dell’immagine, in modo da poter vedere mondi che si spalancano senza bisogno di immagini date. A livello teatrale i miei maestri sono stati William Shakespeare, Pietro Aretino e Bertolt Brecht.
O.R.: L’attività che svolgi su commissione come influenza, a livello di linguaggi e di scrittura, la produzione drammaturgica che sviluppi per la tua compagnia?
G.S.:Si influenzano a vicenda, è la stessa persona che scrive e io cerco di rubare da entrambe le cose. Il lavoro su commissione mi permette di essere concreto: hai un datore di lavoro che ti dice cosa funziona e cosa no, quindi lavori sapendo di dover raggiungere un obiettivo e inizi a trattare il tuo testo con una concretezza artigianale che solitamente va perdendosi quando si ha a che fare con la parola. Ad esempio, Il Pianeta, quando ha debuttato nella sua precedente versione, aveva un testo diverso da quello che portiamo in scena oggi. Cambiando le idee e il lavoro con gli attori, è stato necessario intervenire nuovamente sul testo. Bisogna saper distinguere la contingenza dalla certezza che una cosa non va più bene: o la si elimina dal testo o la si rinnova.
O.R.: Ilaria Fantozzi si è inserita nel progetto di questo spettacolo successivamente al debutto de Il Pianeta. Come è stato subentrare a un’altra interprete? In questo senso, che tipo di lavoro hai svolto sul personaggio?
I.F.:Giacomo ha fatto in modo che si creasse una relazione con gli altri attori in scena e con il testo, anche se ci è voluto molto tempo e, nel mentre, molte cose sono cambiate ma sono riuscita a lavorare in grande libertà e a costruire qualcosa di nuovo a partire da una base che era già costruita. Questa nuova versione dello spettacolo è un punto di partenza per cominciare a muoversi in una nuova direzione.
O.R.: Come si sta evolvendo il lavoro della compagnia e quali pensate che debbano essere i vostri approdi futuri?
G.S.:Il lavoro imminente prevede di trovare un dinamismo del corpo dell’attore con la parola, riuscire a trovare un punto di connessione. Il punto fondamentale della mia ricerca registica riguarda quel momento in cui la parola non è più una parola scritta ma diventa una parola vissuta. Il lavoro con l’attore non deve più muoversi in parallelo ma deve generarsi insieme all’attore, senza ricorrere alla scrittura scenica. Ciò che deve cambiare è l’ascolto, la capacità di farsi stimolare come regista e dramaturgdagli attori con i quali si lavora.
O.R.: Tornando al tema nazionale della scrittura, pensate che sia necessario fare un intervento di investimento di strutturazione e di formazione in campo drammaturgico?
G.S.:Credo che sia necessario recuperare il ruolo sociale e educativo della drammaturgia, ovvero scrivere per un’evoluzione del tessuto sociale dello Stato. Deve esserci sempre una reciprocità, deve esserci un investimento statale ma deve anche esserci da parte del drammaturgo un impegno a far crescere la società, non solo celebrandola ma anche cercando un’etica. È importante far comprendere che la drammaturgia è indispensabile per uno Stato che punti sulla cultura, ed è indispensabile riscoprire il senso profondo di comunità e di teatro come rituale sociale. Il teatro è un’arte estremamente umana, se perdiamo l’umanità perdiamo ciò che la rappresenta, ovvero il teatro stesso.