Ad Arsoli, provincia romana al confine con l’Abruzzo, si trova una delle residenze artistiche gestita da Settimo Cielo, che con la Compagnia Twain, Vera Stasi e Ondadurto Teatro costituiscono PERIFERIE ARTISTICHE, Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio per il Triennio 2018/2020. Con l’attenta osservazione e la disponibile partecipazione dei responsabili, Gloria Sapio e Maurizio Repetto (Settimo Cielo), artisti come Giulia Angeloni hanno la possibilità di lavorare e sviluppare la loro ricerca in uno spazio e un tempo apposito; noi Nottole, invece, abbiamo modo di sbirciare uno degli aspetti più intimi e fragili del processo creativo: l’opera nel suo costruirsi, gli artisti nel loro interrogarsi, la creazione nel suo farsi.
Articolo di Valeria Vannucci
Dopo essersi diplomata come attrice presso la Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, Giulia Angeloni prosegue la sua ricerca attraverso il teatro, coniugando comunicazione verbale e non verbale come visualizzazioni di una stessa area di pensiero, con l’intento di veicolare, tramite corpo e parole, uno spirito sociale, artistico e poetico. Nel caso particolare di Che si trovino male, la residenza presso il Teatro La Fenice di Arsoli (dal 3 al 9 giugno 2019) ha dato luogo all’elaborazione del primo monologo dialogato dell’artista, una storia che intreccia rapporti in assenza e comunicazioni presenti, attraverso una dinamica interscambiabile. A questi macrotemi – assenza/presenza – se ne potrebbero aggiungere diversi, come l’istruzione, la migrazione, il rapporto con la diversità in luoghi, tempi e contesti differenti, animati da due personaggi principali per ogni nucleo narrativo.
Partendo da una storia delineata a cui l’artista ha dedicato un anno e mezzo di ricerca – indagando realtà esistenti e intervistando soggetti reali – testo verbale, fisico e spaziale si costruiscono in atto sulla scena, mescolandosi alle ‘provocazioni’ dell’impatto musicale. Le improvvisazioni, a questo punto della creazione, hanno il compito di slegare le vicende del racconto dalle reazioni fisiche, influenzate a loro volta dalla sonorità spaziale e strumentale. I movimenti improvvisati, di cui l’autrice raccoglie e incorpora le tensioni, non vengono restituiti formalmente sulla scena ma sono propedeutici per entrare nella fase successiva delle prove (approfondita più avanti).
Per modellare tali dinamiche, prima di arrivare alla residenza di Settimo Cielo, Giulia Angeloni ha curato l’aspetto registico in collaborazione con Francesca Cassottana, attrice e insegnante di teatro nonché compagna di studi accademici, e quello sonoro/musicale con Francesco Lipari, compositore formatosi al Conservatorio di Musica “G. Verdi”di Milano.
Questa prima fase della residenza ha visto Giulia Angeloni impegnata nella costruzione del personaggio di Lara, maestra di origini sarde trasferita nella provincia romana. Per costruire e narrare la sua vita, è necessario che l’autrice abbia presente un vissuto di riferimento, un conseguente carattere e dei tratti relazionali occasionali che ne svelino un aspetto intimo.
Altro discorso per quanto riguarda spazio, ritmo e movimento. Appena arrivata ho sentito parlare del rapporto con la musica, «un qualcosa che crea sinesteticamente i movimenti come una base metaforica dei testi», in questo caso dei carteggi. Entrando più nel merito del lavoro in scena, Giulia Angeloni cerca una connessione con la musica e una dinamica relazionale per poter codificare la sua partitura di movimenti, mentre la musica fa la stessa cosa. In questo senso verbalizzare le parole e musicare il movimento diventano la base della sua presenza in scena, che non è mai solitaria in quanto i suoni, oltre a guidarla, rispondono alle sue parole. Di fatti, nel corso delle improvvisazioni, non è facile discernere cosa nasca da cosa: i movimenti e la narrazione si fanno guidare dalla musica e quest’ultima si lascia a sua volta influenzare dalle atmosfere e dalle storie raccontate. Questa fase perlustrativa contribuisce alla struttura emotiva e gestuale dei momenti recitativi, componendo fasi differenti delle prove come nuclei fondamentali del processo creativo.
Nella pratica scenica gli elementi che formano la drammaturgia vanno a destabilizzare la zona comfort della performer in maniera funzionale, sia per la fluidità dell’azione e della narrazione, che per intensificare la sua concentrazione. I primi approcci, che combinano testo, musica e movimento, se risultano inceppati e rallentati dai percorsi di pensiero dell’artista, trovano una loro armonia grazie ad alcune ‘frasi individuate’, in modo da poter dare più spazio alle risonanze fisiche (condizionate dagli strumenti/oggetti suonati intorno a lei). Un monologo presenta varie problematicità, come l’ambiguità dell’interlocutore. La questione, in questo processo, viene elaborata e resa proprio attraverso la particolare dinamica che si crea fra le espressioni verbali, musicali e corporee, acquistando fluidità già dopo un paio di giorni di residenza.
Grazie all’influenza reciproca che sostiene il gioco con le due parti, tra musica e narrazione è stato possibile creare delle ricorrenze sonore che, nella fase di ideazione, si sono collegate in maniera sempre più decisa ad alcuni momenti della storia, all’ingresso ideale dei personaggi interessati. Così la drammaturgia musicale, slegandosi in parte dal racconto in fase d’improvvisazione, ci ritorna conferendo dei leitmotiva diversi personaggi.
La prima storia affrontata scenicamente da Giulia Angeloni ha come protagonista la scuola, in cui la voce della maestra si mescola agli sguardi di chi ci lavora, di chi la frequenta e di chi preferisce starsene a casa. Che si trovino male esprime già nel titolo quella che per molti studenti è sempre stata l’atmosfera data per scontata e immutabile nella maggior parte dell’infanzia: scuola come luogo in cui sentirsi costantemente in difetto. La riflessione dell’autrice parte, più che da queste considerazioni, dall’essersi domandata chi sarebbe stata lei stessa, ad esempio, se non avesse incontrato altri luoghi d’apprendimento, realtà diverse come il teatro. Ma non tutti hanno altre possibilità e, oltre perdere questa occasione, c’è il rischio di perdersi e basta.