CastellinAria – Festival di teatro pop: segnali di fumo dal Castello

Dal 3 al 10 agosto 2019, lo spirito sognatore della seconda edizione di CastellinAria – Festival di Teatro Pop ha attraversato Alvito, con la direzione artistica della Compagnia Habitas. Le strade del centro abitato si animano con l’entusiasmo della tribù di “giovani indiani”, come si caratterizzano gli operatori del festival; la sera il Castello si accende di teatro, musica e partecipazione… si lanciano #Segnalidifumo con l’arte viva che richiama alle origini e guarda al cielo. 

Articolo di Eva Corbari e Alessia Pivotto

Chiara AquaroLivia AntonelliNiccolò Matcovich tengono al titolo di questa edizione: i segnali sono urgenti, necessari. In effetti, qui, i richiami non sono slogan, ma cercano un’efficacia che li trasporti dalla terra rugosa di sassi sopra notti che più stellate non si può. L’aria profuma di paesaggio, sa di radici: le curve delle strade in Val di Comino, culla per le sue case sparse, accompagnano le alture con dolcezza, fino alle crepe del Castello Cantelmo, mentre le luci dei tramonti sulla piana introducono bambini per mano, amori danzanti, anziani che si affacciano dal bar. Circondati dai resti murari, gite (anche a cavallo!) e momenti AperinAria (laboratori per famiglie, rievocazioni storiche, musical…) precedono gli spettacoli serali sul palco naturale del Castello, l’antica fortezza di confine che il Comune si impegna a mantenere e che ferito dal terremoto e dal tempo, conserva impronte e le trasforma grazie a iniziative così, che, aprendolo al presente, lo tengono in vita. Parabole di questi luoghi, la poesia e l’adattamento ben si addicono a riassumere il progetto, con una macchina organizzativa in rodaggio e un’identità caratteristica, che forse rischia di passare inosservata in un bisogno di “posizionamento” tipico della generazione, una tensione al futuro in un presente ancora difficile da attraversare. La forza di questo gruppo sta nell’imperfezione: la proposta artistica non si ancora su certezze e l’esposizione a un pubblico autoctono apre a lavori in fieri, giovani e “alla ricerca”, rende l’imprevisto autenticità, con ruoli che perdono senso a confronto con la condivisione, con l’emozione che commuove la direzione nel lasciare la presentazione degli spettacoli ai cittadini di Castello. Insieme alle persone che chiamano “festa” la proposta di un festival che affianca bambini e nonni in prima fila a volti noti (o meno) della critica, si risale alla radice rituale e civile del teatro, si capisce come da questa fucina di relazioni possa crescere un modo di approcciarsi al “festival”: non rincorrere uno standard, verso occasioni di confronto con bacini meno noti che trovino una loro durata, un diritto di restare tali.

La vicinanza è ciò che il duo Montanari-Bardani cerca con La più meglio gioventù, spettacolo della prima serata: due trentenni che divertono e si divertono, condividendo ansie professionali e personali di una generazione immersa in un mondo da «sistemare domani», con tocchi politically uncorrect, gioco meta-teatrale, voglia di immediatezza che attiva le persone a suon di risate, apostrofi ironiche, interazione in barba alla retorica. Una vicinanza opposta è quella di Viziami, un canto d’amore che Ivano Capocciama affida al microfono con voce distrota, alla lettura in abiti femminili di un testo inafferrabile, con insofferenza esibita, cercata, arrabbiata, quasi gridi al pubblico di svegliarsi, attraverso un richiamo universalmente riconoscibile: l’amour fou che squarcia il corpo, dagli antichi (Gabriele de Ritis intervalla il flusso con letture di testi classici sul tema) fino a qui. Tra i curatori della prima edizione, l’attore di Alvito scuote la sua terra con un ritorno che divide e, perciò, incide. 

«Sovvertire gli schemi, perché non c’è nessuno schema, solo lo stupore e la curiosità» spetta anche agli attori di Alice nel paese delle meraviglie?, regia di Paola Jacobone, parte del progetto «Fiabe in carcere-Alice e Pinocchio Liberanti!», vincitore del bando delle Officine di Teatro Sociale promosso dall’Assessorato alla Cultura della Regione Lazio, con madri detenute di Rebibbia e padri della Casa Circondariale di Cassino. Lo spettacolo riflette la precarietà di una condizione di vita, portando provocatoriamente in scena l’innocenza di Alice e le spietate esecuzioni della Regina di Cuori, la comicità di un mondo incoerente, caotico e fantastico, abitato da un Cappellaio Matto, insospettabile custode del valore dell’amicizia. Veicolo di pensiero, dissenso, cambiamento, sotto forma di fiaba raccontata alle famiglie, a noi, apre una discussione in merito alle disposizioni vigenti sulla genitorialità in carcere, con la possibilità di immaginare e vivere altri mondi. Nello stesso clima gioioso di contatto tra territorio, pubblici di diversa età e provenienza e sperimentazione di linguaggi, una menzione, tre le attività collaterali, allo spettacolo di burattini di un imprevedibile Re di Denari Nel Castello di  Denari… con Ivo CotaniRiccardo Pieretti. Il cantastorie Arabatto, con le sue rime, brani improvvisati con l’insostituibile chitarra classica, colori vivaci delle stoffe e il supporto ritmico delle battute del Jolly, crea un clima di serena allegria nella piazza, il racconto è ricco di situazioni che suscitano meraviglia nel pubblico che è invitato a suggerire una soluzione, a prendere posizione rifiutando con semplicità un atto di tirannia. I burattini possono sollevare problemi complessi e affrontarli con l’esperienza della tradizione, l’ironia e l’intelligenza collettiva. Tra i concerti, interessante l’esperimento dei Matutateatro che danno voce a “rock-star shakespeariane” del calibro di Bottom, Macbeth e Lady Macbeth, Romeo, Giulietta, Ofelia… Rielaborazione contemporanea e ibrida, efficace e strutturato secondo la logica metamorfica dei sogni, il concerto-spettacolo elude i confini del genere letterario ed evidenzia la grandezza dei classici nella loro universalità di significato, permeabilità ai nuovi linguaggi e codici estetici. 

Così, conoscere il proprio pubblico, trattare la differenza come inclusione, dà il coraggio di integrare le peculiarità di un territorio con proposte che, forti di una poetica, cercano di emergere senza tradire il contesto, anzi valorizzate dalle sue dimensioni. Il pubblico è la linfa di CastellinAria: il pubblico-spettatore, l’addetto ai lavori, il pubblico-staff che cucina per pranzo, allestisce i gazebo e la sera si incanta; i segnali di fumo non partono da un unico camino, da un’unica pipa… insomma, si respira insieme attraverso i resti di un Castello, resistenti come lui, custodi e artigiani di bellezza. 

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