Due bimbe in seconda fila, forse sorelle, gli occhi spalancati per un albero natalizio di bambù, qualche risolino, la testa abbassata quando tre donne sul palco piangono, il silenzio dell’ascolto: così Rueda Teatro, con Pezzi di Laura Nardinocchi, dopo la vincita del Roma Fringe Festival 2019 cala l’esperienza del lutto nel clima di CastellinAria, con la forza delle narrazioni semplici, attraverso la cura per la dolorosa e sorprendente normalità.
Articolo di Eva Corbari
Al Castello Cantelmo, la brezza muove le sere d’Alvito, sere d’estate, quelle degli album d’infanzia, dei ricordi di famiglia, a riposo in ogni genitore, vitali nei piccoli, tra le panche: affascinati, annoiati (un capriccio, là dietro), comunque presenti. Sul palco, una mamma che chiama due figlie, nevroticamente, nel clima desolato e labirintico di una casa con oggetti che qualcuno sposta e nessuno trova, la confidenza maldestra di tre generazioni lontane, le battute che feriscono, quelle bonarie, le somiglianze. Vestono allo stesso modo – la leggerezza delle vestaglie le fa fragili – così sorridono, soffrono, si cercano… sono famiglia, sotto la luce ocra, tra cubi di legno (un cubo-letto per rannicchiarsi e poi sgabello per toccare il cielo), mentre si passano canne di bambù per un albero di Natale, fil di ferro come tronco, che torna, tutti gli anni, al ritmo dei loro botta e risposta, simbolo di una finta rinascita, sotto una cappa di polvere. Non hanno niente, ci sono loro soltanto.
Maria, sorella minore, Marina, adolescente, Mamma (Ilaria Fantozzi, Ilaria Giorgi, Claudia Guidi): tre Emme come Male, come Mani che si spingono, si evitano, si aggrappano, Emme di Mondo, di Mancanza. Nominarsi per non perdersi, riempire i vuoti di parole, perpetuare movimenti senza riuscire a terminarli, ripetersi interrompersi spezzarsi e, in un andirivieni tra finzione e smarrimento, cercare una pausa, la pace. Lo spettacolo si compone di indizi, di suggerimenti di un’assenza che non si incarna; come ci fosse un fantasma, uno Scarpariello, appunto, mostro buono o leggenda antica, che riemerge dalla soffitta per sanare le ferite. Il processo creativo si trasforma in struttura, giustapponendo emozioni fisiche, atti mancati, ripetizioni che isolano porzioni di spazio scenico: si procede proprio per pezzi, suggestioni scalfite dal vuoto, da uno stato di partenza spoglio che apre possibilità compositive e connette la forma al sentimento. Così i pezzi della materia diventano crepe dell’anima, le tre donne non sono personaggi, ma gesti improvvisi, particolari distintivi… tracce. La nostalgia in teatro si può raccontare come sopravvivenza della memoria in noi, segno tangibile che denuncia l’assenza: le cravatte di un uomo morto diventano addobbi, la voce di un padre riesce a tornare in corpi femminili, finalmente svelata dopo un processo di accettazione che non lascia scampo. Si salva ciò che resta.
Nel racconto delle fratture più intime del lutto, più difficili da tradurre, funziona l’appoggio di un testo fluido e personale (la scrittura è della regista), che si contrappone ai discorsi codificati dei funerali; per illuminazioni progressive si liberano bisogni repressi, talvolta crudeli, carnali, che la morte di un marito-papà si porta dietro: una donna nascosta a se stessa sotto una vestaglia dritta, i capelli legati, riscopre che la sua carne vorrebbe tremare, ballare, desiderare il suo uomo, un’adolescente vorrebbe volare, tuffarsi da un trampolino di legno verso una vita da costruire, una bimba sa, ma preferisce non crescere. Come le tre donne “orfane”, così le attrici sanno affidarsi al nulla, esporsi ad una scena-labirinto-prigione che comincia a respirare pian piano. La coerenza del mezzo espressivo riesce nell’evocare stati d’animo reali, con una regia che usa impronte personali, senza parlare di sé. Così lo spettacolo porta un carico di peso in punta di piedi, insieme a tre giovani attrici che non si caricano di retorica, dosano il mestiere. Intensità senza grido, naturalezza non realismo, che parla a tutti perché presta attenzione alle sfumature, la parte più debole e dura di sé che l’uomo tende a rimuovere, quella più vera che si fa tenacemente spazio.
PEZZI
di Rueda Teatro
regia Laura Nardinocchi
con Ilaria Fantozzi, Ilaria Giorgi Claudia Guidi
premio miglior spettacolo e premio della stampa Roma Fringe Festival 2019