di Doralice Pezzola
Con un’esibizione in piazza della prima nazionale di Frock, la Stopgap Dance Company si è presentata al pubblico del Festival Oriente Occidente che, alla sua trentanovesima edizione, si riconferma un avamposto culturale della danza e della società contemporanea, guidato dalla cura e dalla visione di Lanfranco Cis e Anna Consolati.
Per dare un’idea di cos’è il Festival Oriente Occidente di Rovereto, bastano forse poche parole chiare e importanti. La prima è sicuramente: cura; quella con cui, instancabilmente, Lanfranco Cis e Anna Consolati, rispettivamente direttore artistico e project manager, si occupano della selezione degli artisti e della strutturazione di un programma che somiglia a una festa a zig zag fra l’auditorium del Mart, la sala storica del Teatro Zandonai e le piazze e i cortili che ospitano gli spettacoli circensi. Una festa di piazza, pensata in primis per il pubblico di Rovereto, di cui il Festival armato di uno staff giovane, energico ed entusiasta, ha conquistato favore e fiducia nel corso dei lunghi anni che lo separano dalla sua prima edizione. La seconda parola, infatti, potrebbe essere sperimentazione, o coraggio, o proposta: quella selezione di spettacoli di cui sopra si compone infatti essenzialmente, di anno in anno, di un’avanguardia artistica che con i suoi lavori tratteggia i desideri, le propensioni, le urgenze di quell’enigma rifuggi-definizioni che è la danza contemporanea. A questa qualità libera e ‘inafferrabile’, e alle sue conseguenze, è ben abituato l’affezionato pubblico che durante i giorni di programmazione si vede riempire le sale, con curiosità e con stima, pronto a vedere confermate o tradite le proprie aspettative o a dover rivedere, a volte, alcune certezze acquisite.
È questo certamente il caso della performance pubblica Frock interpretata in strada da sei danzatori dalla Stopgap Dance Company, dal Regno Unito. Tre donne abbigliate da uomini, KJ Mortimer, Hannah Sampson e Alice Shepperson; tre uomini vestiti da donne, Christian Brinklow, Jannick Moth e Nadenh Poan. Le prime, similari anche per stazza e sfumature di pelle e capelli, fanno volteggiare le chiome al ritmo a tratti marziale dei passi di danza coordinati. L’energia con cui occupano la piazza-palcoscenico pare espandersi lungo i cerchi che a più riprese le tre calcano a terra di volata, vicinissime al pubblico assiepato tutto attorno allo spazio. Danzano dentro tre completi neri che paiono le maschere perfette di uomini d’affari, broker, animali da ufficio. L’aura della stoffa rigida ed elegante, agitata dalla frenesia degli agili corpi minuti, sembra venire a patti con un nuovo spazio-tempo in cui si ritrova assolutamente decontestualizzata; da questo scarto scaturisce l’atto poetico di questa performance: il rovescio. Dello stesso segno, e altrettanto d’impatto, è infatti l’effetto dei variopinti abiti femminili indossati dai tre danzatori, le cui stampe floreali ricadono a ogni salto lungo le linee dritte dei loro corpi, aprendo un dialogo coreografico fra la durezza e la morbidezza di tutti gli elementi in campo.
Nella griglia degli stereotipi di genere, danzatori e rispettivi costumi appaiono praticamente invertiti. Sono, per l’appunto, a rovescio. La coreografia è allora la sede artistica di un’azione filosofica: l’atto di rovesciamento di un dato acquisito, con cui si intende riscrivere la segnaletica interpretativa del mondo. Il lavoro della compagnia si concentra su uno studio coreografico nutrito di simboli e oggetti tradizionalmente legati a determinati universi – come la vita domestica evocata nei cucchiai, nelle tazze e nei piattini da tè che i danzatori portano in scena – di cui viene sconvolto il senso attraverso un utilizzo poetico-polemico di quegli stessi simboli e oggetti. Particolarmente suggestivo risulta allora il momento in cui Jannick Moth dissemina a terra, come fiori di campo, i cucchiai tenuti in grembo alla gonna del vestito; e dirompente diventa il frastuono della porcellana mandata con forza in frantumi al centro della piazza, i cui cocci irraggiano l’area disperdendosi fino quasi a raggiungere il pubblico.
A questa lettura della performance non è certo indifferente la composizione della compagnia, che annovera fra i suoi danzatori persone ‘con disabilità’: prima che nel rovescio dei gesti, dei vestiti e dei generi, l’atto poetico risiede nella fondazione stessa di un ensemble che sovverte con la semplicità dell’evidenza le più banali e radicate convinzioni su ciò che un ‘disabile’ dovrebbe potere o non poter fare. Non è un caso che Adam Benjamin, fondatore della prima compagnia di ‘danza inclusiva’ – la Candoco Dance Company, nata nel 1991 – dichiari ancora oggi che a dargli l’idea fu una sessione di prove con Celeste Dandeker, danzatrice in sedia a rotelle, durante la quale entrambi si erano resi conto, mentre lei lo sosteneva su di sé, che con quel gesto stavano rovesciando sottosopra un’infinità di cliché.
Una parola merita infine Frippery, l’esito di laboratorio che ha seguito lo spettacolo, coinvolgendo nella sua realizzazione un numero davvero impressionante di danzatori: all’incirca quaranta. Essendo dichiaratamente aperto a persone di tutte le età e con qualsiasi tipo di ‘handicap’, il laboratorio si è popolato di un corpo di ballo variegatissimo, restituendo tanto ai partecipanti quanto agli spettatori la preziosa dimostrazione che, per generare una realtà diversa, è sufficiente cambiare paradigma.
Oriente Occidente si conferma, insomma, un avamposto culturale di prim’ordine, a cui guardare con curiosità e riconoscenza per l’attenta lettura che qui si fa della società odierna, dei suoi tumulti e dei suoi futuri possibili.
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Frock
Ideazione e coreografia Lucy Bennett
Musiche Hannah Miller
Costumi Martina Trottmann
Assistente prove Siobhan Hayes
responsabile accessibilità Amelia Clark
Danzatori Christian Brinklow, Jannick Moth, KJ Mortimer, Nadenh Poan, Hannah Sampson, Alice Shepperson
Produttore esecutivo Sho Shibata
Prodotto da Dougie Evans
Con il supporto di Without Walls, Arts Council England, and Salisbury Festival, Hat Fair Festival and Stockton International Riverside Festival.
Durata 20’
Frippery
Ideazione e coreografia Lucy Bennett
Musiche Preservation Hall Jazz Band, Dougie Evans
Costumi Martina Trottmann
Assistente prove Siobhan Hayes
Access worker Amelia Clark
Danzatori Christian Brinklow, Jannick Moth, KJ Mortimer, Nadenh Poan, Hannah Sampson, Alice Shepperson, Amelia Clark
Produttore esecutivo Sho Shibata
Prodotto da Dougie Evans
Durata 25’
Foto by Dougie Evans
Foto by Dougie Evans