di Valeria Vannucci
Per quanto grammaticalmente scorretto, l’espressione ‘guardarsi indietro’ viene comunemente usata sia nel linguaggio parlato che in quello scritto. Una storpiatura curiosa in effetti, dà un colore intimo e personale a un’azione che, altrimenti, parrebbe più esterna che interna. Con dei risvolti interessanti visto che ha a che fare col passato, con i conti che non possono fare a meno di tornare a farti voltare sulla schiena: uno scontro fra un tempo che sembra lontano e uno spazio che, invece, non può distanziarsi. L’identità autoriflessiva che comporta il guardarsi viene accentuata maggiormente da quell’indietro che, in realtà, è dentro di sé, in una posizione senz’altro scomoda e, in alcuni casi, difficile. Ognuno poi ha le sue inclinazioni: c’è chi passa una vita a scontrarsi col passato (forse fino a ‘viverci dentro’), altri che riescono a ‘guardarsi’ solo in avanti o altri ancora ad esserci solo nel presente.
In ambito artistico il rapporto col passato ha un ruolo non secondario e, sulle stesse spalle da cui si innalzano i giganti, si trovano anche tutti i resti di quello che è già stato e non può più essere; o forse a teatro ancora si può.
Michela Lucenti, anima fondatrice del collettivo nomade per definizione, ha messo in scena una personale ricognizione della storia artistica di Balletto Civile, una ricerca che nell’arco di quindici anni ha creato diversi corpi pronti ad accogliere (come li definisce l’artista), con le loro origini e risvolti. Concerto fisico, presentato in anteprima al Teatro India (Fuori Programma. Festival internazionale di danza contemporanea, 10 luglio 2019), è uno spettacolo che, attraverso una partitura corporeo-vocale, vuole riattivare il passato, ripercorre e ridisegna un percorso denso di trasformazioni per i singoli artisti, per la compagnia e per il pubblico. «Il passato è attaccato alle nostre spalle – scriveva il giornalista americano Mignon McLaughlin – non dobbiamo vederlo; ma possiamo sempre sentirlo» e attraverso un Concerto fisico si può fare e rifarne esperienza, con voce e corpo, riportando nell’oggi una condensazione di evoluzioni e passaggi di stato che, nella loro singolarità, hanno creato un unico percorso indivisibile.
Nel mettere insieme tutto quello che i nomadi performer hanno creato e ciò che sono stati, Michela Lucenti fa riferimento a un concetto della tradizione tibetana estrapolato dal loro libro dei morti, il Bardo Tödröl Chenmo. Profondamente legato alla lettura della vita buddhista, il testo sacro ha a che fare con una condizione esistenziale essenzialmente umana, cioè la confusione del presente. Che scaturisca dallo spazio di tempo fra morte e rinascita, «fra una confusione e l’altra prima che diventi saggezza», fra passato e futuro, è l’esperienza che si vive nel mezzo, in una condizione di mutazione che è già cambiata ma ancora non è: un flusso in cui si trova l’esperienza del bardo. È la transitorietà di un percorso, dell’essere nel mezzo fra un punto e l’altro, l’esperimento del traghettarsi, lontani sia dal principio che dalla fine, nella distanza che c’è fra lago e isola (da Bar, che vuol dire ‘tra’, e do, tradotto come ‘punto, isola’).
Come interprete che si muove al centro della scena, Michela Lucenti suona tutta, corpo e voce, nel nostro presente come nel suo passato, e viceversa. Attraversa tutti quei piccoli mondi che sono nati dagli spettacoli di Balletto Civile, con personaggi diversi ma che sono tutti corpo, le cui parole hanno lo stesso peso di un passo e che, attraverso il canto, vibrano di una concretezza carnale che li porta altrove, mostrando «la storia di un gruppo attraverso i racconti di cui si è fatto veicolo».
La performer, accompagnata dal montaggio sonoro di Tiziano Scali (ideatore della drammaturgia musicale) e Maurizio Camilli, attraversa una serie di citazioni che vanno dal personale fino alla memoria collettiva. Tornano melodie e voci di vecchi spettacoli, reminiscenze di parole che si confondono fra prima e seconda scrittura/lettura, di propria produzione o altre con risonanze più note; lei – autrice e performer – si muove fra due microfoni, due diari, forse fra due mondi. Riscrivendo nuovamente i nuclei di questi spettacoli, Michela Lucenti ne incorpora le sfumature nel movimento, le strozzature nella voce, la potenza nel canto: un corpo sfaccettato che parte e ricerca la verità fra due punti, fra attivo e passivo, fra azione e passione.
Ripercorrere e ridisegnare – come modalità indicate dall’autrice/performer – sono operazioni che creano difficoltà, come la pluralità di passaggi e linguaggi a cui attingere, gli scenari da evocare o le atmosfere da riattivare, correndo il rischio di perderne la forza. Quegli spettacoli sono stati corpi, hanno abitato luoghi e percorso tempi; ora, con Concerto fisico, il tentativo è di rimetterli al mondo nella singolarità: un solo spettacolo e un’unica presenza che li attraversa. Una prova che comporta dei rischi, il cui procedimento, che si vuole olistico, può al contrario cadere nel riduzionismo, con la probabilità, inoltre, di lasciare lo spettatore fuori da meccanismi e contenuti. Le storie di Balletto Civile hanno una costante forza che trascina chi osserva anche nelle riflessioni più scomode e difficili da affrontare, anche per questo racchiudere il tutto in uno – pur essendo già unico – può lasciare molti effetti in potenza rispetto all’atto da cui hanno avuto origine.
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Concerto fisico
Spettacolo di Michela Lucenti/Balletto Civile
Regia: Michela Lucenti
Assistente alla creazione: Maurizio Camilli
Coreografie: Michela Lucenti
Drammaturgia sonora: Tiziano Scali
Disegno luci: Stefano Mazzanti
Danzato e creato con Gianluca Pezzino
Produzione: Balletto Civile