di Caterina Ridi
L’8 e il 9 settembre, il Teatro Argentina accoglie Augusto, l’ultimo lavoro del Leone d’oro Alessandro Sciarroni. Lo spettacolo rientra nella programmazione di due rassegne distinte: Short Theatre, festival di teatro contemporaneo nella sua quattordicesima edizione, e Grandi Pianure, dedicata alla danza contemporanea e curata da Michele Di Stefano.
Lo spazio scenico del palco si presenta agli occhi del pubblico del Teatro Argentina senza convenevoli: un telo bianco latte ricopre l’assito in legno e si stende in profondità, fino a vestire tutto il fondale. Molti fra gli spettatori si affrettano a leggere il volantino dello spettacolo. «Possibile che si rida per un’ora intera?», qualcuno chiede al vicino. I brusii della sala si spengono al progressivo calar delle luci; giunge il silenzio. Approdano sul palco i nove performer del gruppo di Sciarroni: colpisce subito la monocromia dei costumi, tonalità tra il grigio e il blue jeans che rimanda a un’idea di omologazione, alla scarsa possibilità di differenziazione che si ha all’interno di un gruppo. Come dei collegiali in divisa, i giovani performer, in schiera, prendono posto sulla ribalta e, dando le spalle al pubblico, si siedono.
A questo punto il gioco inizia: uno a uno, dapprima con titubanza, i membri del gruppo si alzano e iniziano una ronda senza fine, camminano in cerchio con assoluta precisione ritmica. Ogni nuovo membro che si aggiunge, si accorda al passo degli altri. I nove corpi hanno un passo, un respiro e un ritmo unici: ogni soggetto è un ingranaggio fondamentale per garantire il funzionamento della macchina. Il modulo geometrico del cerchio, forma che Sciarroni indaga a più riprese nei suoi spettacoli – vedi Chroma (2017) e Turning (2018) –, in Augusto diviene un principio strutturale. La ripetizione della camminata circolare non corrisponde a una vuota esecuzione o a un semplice esercizio: il gruppo, piano piano, inizia a respirare all’unisono come un unico organismo, fino al momento in cui sul palco esplode la risata. La sala non sa come reagire, ancorata alle partiture ripetitive di qualche istante prima. Fin quando qualcuno, tra gli spettatori, non scoppia in una risata liberatoria, e il resto del pubblico si scioglie con lui. Non sappiamo di cosa stiamo ridendo, forse per contagio o forse di noi. Nel frattempo, sul telo bianco che copre il palco dell’Argentina, qualcosa sta cambiando.
Fra i performer, il riso diventa motivo di contatto, i membri del gruppo si avvicinano e allontanano guidati da logiche di attrazione e repulsione: nel bianco, si intessono nuove dinamiche. Qualcosa inizia a incrinarsi: dal gruppo unico originario, si staccano alcuni elementi, a volte due, a volte uno solo. La loro ammissione nella collettività è temporaneamente sospesa, camminano da soli, come derisi. Poi vengono nuovamente accolti: quello che si disegna davanti ai nostri occhi sembra un movimento cellulare sui vetri di un microscopio. Ecco l’anfibologia del riso: sembra farsi spazio una violenza sottile, che tutti in sala conosciamo; una violenza di cui tutti abbiamo fatto, almeno una volta, esperienza: cala un silenzio mortificato. Non abbiamo più voglia di ridere, ci sentiamo stupidi. Delineando i contorni di un carnevale grottesco, i performer, come ebbri, incalzano il loro riso. Ci guardano. Intendono trasportarci, ancora una volta, altrove. Ma questa volta, il compito risulta loro arduo: hanno perso la nostra fiducia.
Tuttavia, correndo nello spazio e tenendosi per mano, i nove performer riescono a guidarci in una dimensione ancora nuova, forse quella del sogno o dei ricordi reconditi: ci troviamo in un mondo dove si è sempre innamorati o davanti a del buon vino, forse siamo nei cortili dei giochi di infanzia. La violenza svanisce, almeno per qualche minuto. La prima mezz’ora di spettacolo ci conduce lungo un sentiero sdrucciolevole, nel quale ogni cosa può trasformarsi nel suo contrario. Difatti, in una coreografia da circo in cui il grottesco deborda da ogni gesto, alcuni performer si estraniano nuovamente dal gruppo, alcuni sono ritmicamente in ritardo, altri decidono di non danzare affatto. Alcuni si distraggono. Ed è proprio da questi “odd-men-out” che, improvvisamente, partono delle grida laceranti: è il primo suono, che non sia riso, che irrompe nella sala. Come i cavalli di Guernica, a cadenza ciclica, ogni membro del gruppo staglia la gola al cielo e intona il suo grido. In modo definitivo, la violenza diviene il centro dell’opera di Sciarroni.
Qualcosa è stato sussurrato sin da subito, sibilava in ogni risata: la realtà non corrisponde mai a ciò che sembra, e spesso ciò che vi si cela dietro è cupo, portatore di dolore, brutale. Lo spettacolo si chiude con una schiera che ci guarda fissa negli occhi: forse ci pone delle domande. O forse è lì per condividere i nostri stessi dubbi, ma stavolta nel silenzio più totale.
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Augusto
Di Alessandro Sciarroni
con (9 performers in alternanza) Massimiliano Balduzzi, Gianmaria Borzillo, Marta Ciappina, Jordan Deschamps, Pere Jou, Benjamin Kahn, Leon Maric, Francesco Marilungo, Cian Mc Conn, Roberta Racis, Matteo Ramponi
musica Yes Soeur!
disegno luci Sébastien Lefèvre
movement coaching, collaborazione drammaturgica Elena Giannotti
styling Ettore Lombardi
consulenze drammaturgiche Chiara Bersani, Peggy Olislaegers, Sergio Lo Gatto
coaching yoga della risata Monica Gentile
collaborazione artistica Erna Ómarsdóttir, Valdimar Jóhannsson
vocal coaching Sandra Soncini
direzione tecnica Valeria Foti
tecnico di tournée Cosimo Maggini
assistenza, ricerca Damien Modolo
promozione, consiglio, sviluppo Lisa Gilardino
amministrazione, produzione esecutiva Chiara Fava
ufficio stampa Beatrice Giongo
una produzione MARCHE TEATRO Teatro di Rilevante Interesse Culturale, corpoceleste_C.C.00#, European Creative Hub – French Minister of Culture/Maison de la Danse grant for Biennale de la danse de Lyon 2018, Festival GREC Barcelona, Théâtre de Liège, Teatro Municipal do Porto, CENTQUATRE-PARIS, apap – Performing Europe 2020
a project co-founded by the Creative Europe Programme of the European Union, Snaporazverein, Theaterfestival Boulevard, Theater Freiburg(Germany), La Biennale di Veneziain coproduzione con Tanzfabrik Berlin, Centrale Fies, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
Alessandro Sciarroni è artista associato del CENTQUATRE-PARIS ed è sostenuto come focus-artist da apap – Performing Europe 2020
Foto by Alice Brazzit