Di Margherita Dellantonio e Valeria Vannucci
Attraversamenti multipli è «un’opera d’arte polimorfa». Così Alessandra Ferraro, che insieme a Pako Graziani forma la compagnia Margine Operativo, definisce il festival che hanno creato insieme.
Da diciannove anni la compagnia tenta di espandere nella città di Roma elementi della propria ricerca, entrando in dialogo con diversi artisti della scena contemporanea. Dopo aver trascorso anni ad “invadere” luoghi di passaggio come le stazioni della metropolitana, da tre anni Attraversamenti Multipli si è stanziato a Largo Spartaco, cuore del quartiere del Quadraro, nella zona sud della capitale.
Andrea Pocosgnich, autore de I teatri di Margine Operativo (Editoria & Spettacolo, 2018), durante la presentazione del libro coglie l’occasione per riflettere insieme agli organizzatori sulle poetiche che hanno guidato il loro percorso artistico e sull’impatto che il festival ha avuto in questi anni. Abbandonare il nomadismo, affermano Ferrero e Graziani, non ha significato modificare gli intenti del festival, anzi, ha arricchito il progetto dando la possibilità di sedimentare una relazione più profonda anche con il pubblico del quartiere. L’obiettivo da raggiungere resta quello di «dissolvere i confini tra performance e spettatori per abitare uno spazio comune».
Foto di Umberto Tati, dal blog del Festival.
Seppur in necessario dialogo con le realtà istituzionali, Margine Operativo vuole mantenersi indipendente. Ad esempio, scelgono di non transennare la piazza di Largo Spartaco e lasciare agli spettatori la libertà di acquistare o meno il biglietto (che, d’altra parte, rispetto allo scorso anno aumenta di prezzo).
La peculiarità del festival è quella di promuovere una serie di performance site specific, fra le quali domina la danza. Il fine è creare un dialogo tra artisti e pubblico, intercettando spettatori abituali e non, restando al di fuori dei “luoghi deputati”. Margine Operativo vuole tenersi lontano dal carattere autocelebrativo che nella loro ottica contraddistingue molti spettacoli. Tuttavia, questo rischio non è totalmente evitabile uscendo dagli spazi convenzionali.
Nella serata di inaugurazione (14 settembre) fa da sfondo alle performance il videomapping Particles di FLxER, proiettato sulla facciata di uno dei palazzi, combinato alle musiche del collettivo Ipologica. In piazza si esibiscono Ivan Bénito con Galápago, Ertza con Meeting point e Consorzio Granolucisano con ALIX MAUTNER AVEVA GRANDE CURIOSITÀ PER LA FISICA ovvero l’inusitato comportamento delle teorie prive di buon senso. Quest’ultimo mette in scena un esperimento fra cinque danzatrici e cinque fisici, di cui curiosamente una sola è donna. Pur nel nobile tentativo di creare un dialogo tra realtà apparentemente distanti, la performance non restituisce pienamente le possibilità percorribili tramite questo incontro. Il confronto e lo scambio dei ruoli tra formalismo matematico e movimento coreografico, come intenti sottolineati dalle autrici Teodora Grano e Chiara Lucisano, restano ancora da sperimentare, in quanto la dialettica fra i perfomer non si manifesta esaustivamente.
Foto di Umberto Tati, dal blog del festival
Il programma di venerdì 20 settembre unisce tre proposte molto diverse. Kinkaleri ripresenta la performance Everyone gets lighter (2013), in cui Marco Mazzoni mostra al pubblico il dispositivo di trasmissione del CodiceK. Un vero e proprio alfabeto corporeo in cui a ogni lettera o simbolo corrisponde un gesto. I caratteri formano parole e poi frasi, fino a comporre una serie di haiku di Jack Kerouac. Non solo un esercizio da contemplare, ma anche da agire. Il pubblico, anche grazie alla semplicità del codice, lo accoglie in maniera spontanea, ripetendo i gesti del danzatore. «Adesso avete gli strumenti per tornare a casa e dire, studiare e danzare la vostra coreografia», chiosa Mazzoni. Kinkaleri, tramite un gesto apparentemente semplice e democratico, mette in campo una provocazione per tutti coloro che ancora nutrono dubbi sul fatto che la danza possa parlare. Sono le parole a entrare nel corpo diventando movimento o è forse il contrario?
La serata continua con Alessandro Carboni, che in As we were dust si propone di indagare gli spazi urbani, studiandone forme e trasformazioni. La performance, di cui è anche autore, lo vede intento a spostare una serie di mattoni componendo di volta in volta patterns differenti. Purtroppo però, al contrario dei mattoni, non riesce a spostare il pensiero del pubblico.
L’interessante lavoro di Carlo Massari (C&C Company) A peso morto, chiude la serata. Per tre giorni consecutivi (20-21-22 settembre) il danzatore mette in scena una trilogia che riflette sul carattere passivo della società e sul disagio che ne consegue, passando per Lui, Lei e L’altro. Movimento, musica e costumi sono scelte drammaturgiche non casuali, anzi sono necessarie per veicolare le riflessioni su cui si fonda la performance. Nei panni di un anziano signore, Massari seleziona il primo dei disadattati spaziando fra le figure maschili. Lui, tuta, maschera e un paio di buste in mano, contempla se stesso e la propria condizione attraverso il movimento. Il disagio si manifesta chiaramente nei vari tentativi di approccio col pubblico, da cui ogni volta si ritrae. Attraverso capriole, rovesciate e sequenze ricche di dinamica, la comunicazione col prossimo non si realizza mai e la voglia resta, fra tristezza e ironia, sempre e solo in potenza.