Parole di Emma Goldman, considerata la prima anarcofemminista della storia, che Roberto Castello cita, fra i tanti, sul palcoscenico gestito dal collettivo Spin Off, nell’ultima tappa (9 novembre) della tournée romana di Mbira. Lo spettacolo, che è stato annunciato con una conferenza stampa last-minute negli spazi occupati dello Spin Time Labs, chiude il suo viaggio nella Capitale proprio dal suo punto di partenza, dopo il Nuovo Cinema Palazzo, il Circo Rosso/238 Hangar delle arti e il Teatro Biblioteca Quarticciolo, con la produzione di ALDES e il sostegno del MIBAC, della Regione Toscana e del Romaeuropa Festival.
«Quanto ha contribuito l’Africa a renderci quelli che siamo?», smontando pezzo per pezzo quelle certezze convenzionali che vedono la cultura occidentale immotivatamente e costantemente superiore rispetto alle altre, Roberto Castello ripercorre la storia della Mbira, termine che indica sia lo strumento musicale tipico dello Zimbabwe che il nome della musica tradizionale del popolo Shona. Nella più comune pratica della cultura occidentale, si può definire qualcosa come un’opera d’arte nel momento in cui è possibile fermarla nella scrittura e farla circuitare nel mercato. Mbira, in questo senso, diventa l’esempio di un meccanismo che gran parte della cultura, dell’arte e della musica africana ha subito nel corso della storia, venendo assorbita e cancellando le tracce del suo percorso. L’informazione è uno dei punti cardine: prima di parlare, bisognerebbe quanto meno saperne qualcosa. Bira è anche una delle feste tradizionali degli Shona, che prende il nome dallo strumento su cui si danza e canta, richiamo che travolge il pubblico in un ballo conclusivo.
Ad aprire lo spettacolo Ilenia Romano con una danza ritmata, ipnotica, giocosa e concentrata, raccoglie attivamente gli stimoli che la circondano e ne assorbe l’energia fluida e accentata. Un corpo, un impulso, una musica che concepisce un elemento sonoro alla volta, in cui la danza reagisce a ogni pungolo come una molla, dalla quiete ai primi cenni di stimolo, per arrivare a esplodere. Non un assolo, dunque, ma un corpo musicale e coreografico che invade la scena con forza, inglobando lo spazio e le sue componenti, le percussioni e la limba suonate da Marco Zanotti, la kora, il tamanì, la voce e il bafalon animati da Zam Moustapha Dembélé. Quest’ultimo è un griot maliano, membro di una lunga discendenza di poeti che conservano e tramandano la tradizione orale. Mbira è una musica profondamente calata nel presente, come il fiume che nel suo passare non è mai uguale.
Questi sono alcuni degli elementi che rendono lo spettacolo di ALDES una prova di grande sapienza, capacità tecnica e profonda sensibilità, in cui ogni movimento sembra scaturire dal momento e dall’atmosfera che invade i gesti, i quali invece, a seconda delle parti, sono costruiti con una precisa meticolosità – fino ai sorrisi e alle sopracciglia – oppure lasciano spazio a dinamiche improvvisative. Con Roberto Castello che, a metà strada fra un direttore d’orchestra, un cantastorie e un rapper, disegna tappa dopo tappa il percorso di Mbira, si scopre che la musica tradizionale fu trascritta da un compositore per due clavicembali, suscitando un’importante controversia sulla legittimità della sua operazione, senza che nessuno prendesse neanche in minima considerazione i diritti degli unici proprietari possibili, cioè gli Shona. Ecco un altro punto: definizione e proprietà, una storia che porta a riflettere sulla necessità tutta europea di codificare un bene per questioni di appartenenza, per prendere possesso di qualsiasi cosa incidendola in un tempo e uno spazio definiti. Il primo e il secondo brano dello spettacolo, proprio per questo motivo, non mettono in contrasto le due tendenze e, con l’entrata di Giselda Ranieri, rendono visibile come gli opposti non si oppongano, ma, al contrario, possano convivere e illuminarsi a vicenda. Si va avanti con una sorta di botta e risposta coreografico, in cui le danzatrici costruiscono onde di movimenti che vanno e vengono nel ritmo, si versano fluidamente nella dinamica dei loro corpi e si concludono l’una nell’altra. La loro danza manifesta apertamente che «siamo ciò che siamo per quello che gli altri sono», come sottolinea, tra un intermezzo e l’altro, la voce aedica di Roberto Castello.
Il razzismo non è ancora morto e troppi avvenimenti recenti lo confermano ogni giorno. Insulti, pregiudizi, scene violente e gesti d’odio fanno vergognosamente parte del quotidiano, nei luoghi e sulle piattaforme più disparate, ricollegabili nel loro insieme a un unico comune denominatore: la macchina dell’ignoranza. Perché l’ignoranza è lo strumento per eccellenza dello sguardo unico, della chiusura al dialogo che porterebbe alla conoscenza, del confronto come via per scoprire se stessi nell’alterità. Chi odia l’altro dovrebbe prima comprendere quali sono gli elementi che compongono l’individuo, da dove vengono, poiché spesso «capita che la cultura dei conquistati influenzi quella dei conquistatori» e non solo il contrario. Tanti racconti, riflessioni e sguardi in Mbira, un concerto di musica, danza e parole che diventa, allo stesso tempo, un manifesto per la buona accoglienza culturale, veicolato dalle grandi capacità tecno-espressive di ogni performer. Anche perché, la prima cultura da accogliere è proprio quella occidentale, con tutti i percorsi che hanno contribuito a formarla, confutando quei luoghi comuni da cui scaturiscono sensi di superiorità e aggressività infondate.
coreografia e regia ROBERTO CASTELLO
musiche MARCO ZANOTTI, ZAM MOUSTAPHA DEMBÉLÉ
testi RENATO SARTI / ROBERTO CASTELLO e la preziosa collaborazione di ANDREA COSENTINO
interpreti ILENIA ROMANO, GISELDA RANIERI / SUSANNAH IHEME (danza/voce), MARCO ZANOTTI (percussioni, limba) ZAM MOUSTAPHA DEMBÉLÉ (kora, tamanì, voce, balafon), ROBERTO CASTELLO
produzione ALDES – Teatro della Cooperativa
con il sostegno di MIBAC / Direzione Generale Spettacolo dal vivo, REGIONE TOSCANA / Sistema Regionale dello Spettacolo, Romaeuropa Festival
media partner NIGRIZIA
un ringraziamento a Cooperativa Sociale Odissea