I Tradimenti al presente di Harold Pinter e Michele Sinisi

Dove tutti sanno tutto, niente si sa per davvero. Harold Pinter, nel ripercorrere a ritroso la relazione di una moglie con il migliore amico del marito, corrosa da una dinamica di coppia parallela (con tanto d’appartamento condiviso), segreta fino ad un certo punto (si sa, si tace… si accetta?) sembra dire così. Nel 1978, un dramma sull’adulterio borghese, amore per noia che pretende il suo lato sentimentale, tra i divertimenti noiosi (feste, drink, squash…) di due editori inglesi in carriera e di una gallerista d’arte, nascondeva negli spazi del non-detto la sua forza tragica: un gioco tra verità e apparenze che sottende ai dialoghi una sensazione di stortura e pizzica la morale comune. I mondi di Pinter non si comprendono del tutto, i suoi umani che non riescono a parlarsi, eppure ne hanno urgenza; poi, dal sentore di qualcosa che sfugge, s’intravedono gli orrori di un’epoca, gli errori dell’uomo. Questa tensione provocatrice non sembra bastare all’“italiano medio” tra il pubblico, per cui quella realtà è diventata scontata: il presente non conosce scandalo e i silenzi non lo smuovono, non c’è più niente da tacere, niente da nascondere… se il testo va rispettato, le rese lineari (frequenti) rischiano di trasmettere solo un contenuto che non turba più.

Sinisi raffredda il peso del silenzio e la centralità del dialogo, moltiplica le possibilità interpretative con rimandi concettuali più o meno immediati, affidando agli elementi scenici, in primis alla scenografia di Federico Biancalani, un’atmosfera di fondo: una cena con pollo di plastica cotto da una fiamma ossidrica, il marito cornuto con una testa di cervo che perde bava dalla bocca, quella sensazione di sgradevolezza, di rabbia trattenuta, che si fa strada tra un parlato che simula naturalezza (con tanto di inflessioni dialettali) o un corpo femminile che ha conosciuto la violenza ma fluttua sui tacchi, sospendendo l’azione finale con un lungo ballo, una sorta di performance estranea. In linea con la sua ricerca sulla finzione come motore relazionale ed espressivo, Sinisi potenzia il tema attraverso un discorso sul dispositivo; vincolato dalla fedeltà al testo, intoccabile, ne riattiva l’intenzione mettendo in scena la sua operazione registica: i cambi in vista, i personaggi (di Sinisi stesso, Stefano Braschi e Stefania Medri) resi caricatura di se stessi, le coordinate spazio-temporali della didascalia in un quadro luminoso al centro della scena, manovrato da ciascuno degli attori che, a turno, si fanno autori e che, quando cade, svela il meccanismo scenografico… Il testo diventato teatro apre altre modalità di svelamento dei suoi segreti e la riflessione sull’umano si rinnova grazie ad un lavoro sul linguaggio; una regia da artefice della scena affida ai suoi strumenti la vitalità del dramma e, confrontandosi con esso, mette alla prova se stessa, alla ricerca non tanto di soluzioni, quanto di vie d’uscita.

É la forma a veicolare la sensazione di imprevisto, lo straniamento come nucleo da ri-attualizzare, con cui tradire (trasmettere, appunto) un testo noto, più che classico (non un Riccardo III, o un Edipo): quel famigliare che perturba e si rivela in sala con risatine nervose, la vergogna come forma di consapevolezza. Allora, niente cambia: il benessere copre istinti basici, l’attrazione o il capriccio diventano amore declamato da ubriachi con retorica da romanzo, la tentazione della bellezza e la sfida tra maschi per possederla, il gioco della trasgressione che riemerge dall’abitudine alla perfezione, Io (isolati da un paio di cuffie) che si fingono Noi e non vorrebbero altro che scappare dai doveri del successo o da una banalissima normalità. L’amore lecito come scusa per giustificare il proibito, che finge d’essere relazione per avere una posizione, un posto in agenda, famiglie (ciascuno la propria) da condividere. Se conta questo, la vita resti pure dietro, ma che se ne continui a trasmettere l’ombra, dal palco in platea, tra quanti probabili adùlteri di ogni tempo, quanti corpi nuovi può far toccare il desiderio.

TRADIMENTI

DI HAROLD PINTER
TRADUZIONE DI ALESSANDRA SERRA
REGIA MICHELE SINISI
CONSULENZA ARTISTICA FRANCESCO M. ASSELTA
CON STEFANO BRASCHI, STEFANIA MEDRI E MICHELE SINISI
SCENE FEDERICO BIANCALANI
AIUTO REGIA NICOLÒ VALANDRO
PRODUZIONE ELSINOR CENTRO DI PRODUZIONE TEATRALE
SELEZIONATO A NEXT-LABORATORIO DELLE IDEE

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