«Troveranno gli spettatori, entrando nella sala del teatro, alzato il sipario, e il palcoscenico com’è di giorno, senza quinte né scena, quasi al bujo e vuoto, perché abbiano fin da principio l’impressione di uno spettacolo non preparato». Queste le indicazioni, accuratamente prescrittive per quanto rivoluzionarie, con cui Luigi Pirandello apre l’edizione dei Sei personaggi in cerca d’autore andata in stampa nel 1925, poi consacrata come versione ufficiale da lasciare ai posteri, e infondo non così diversa – almeno nella sostanza di questa didascalia iniziale – da quella che aveva debuttato al Teatro Valle nel 1921.
Sei, al contrario di quanto raccomandato dal testo a cui si ispira, parte con il sipario chiuso. Anche la scenografia disattende la tradizione: non un palcoscenico nudo, «com’è di giorno, senza quinte né scena», bensì un fondale dipinto che riproduce l’alveare dei palchetti tipico del teatro all’italiana. Quindi il proscenio diviene il luogo dell’azione, delimitato, sia davanti che dietro, da due platee, una fatta di spettatori in carne e ossa, e l’altra solo dipinta.
«Oh, qua non ci si vede. Per piacere, faccia un po’ di luce», dice il Capocomico entrando in scena, dopo un cortocircuito che ha lasciato il teatro al buio più completo. E subito il tecnico, arrampicato su una scala, tenta di ottenere una «viva luce bianca» da un faro. Le mani tese verso la graticcia, fendono l’aria senza stringere nulla, ruotano viti distanti e impalpabili. Tutte è finto, dunque. Finti i palchetti, finto il gesto del tecnico, e inconcludenti sembrano gli sforzi della compagnia che prova: il debutto dello spettacolo è lontano, rimandato di giorno in giorno. «Domani. E magari dopodomani. Forse. E così di seguito. Insomma… Finché non verrà. Doveva già essere ieri», si ripetono gli attori come Estragone e Vladimiro in attesa di Godot.
La riscrittura di Spiro Scimone si rivela efficace: la drammaturgia viene enormemente snellita, la compagnia è ridotta a quattro attori, il Capocomico e il tecnico luci. Senza maestranze, segretari e servi di scena, la compagnia assomiglia molto di più alle conformazioni che oggi riescono – a fatica – a girare per la penisola. Eliminati molti dialoghi, e aggiunti di nuovi, che riecheggiano le battute di altri testi pirandelliani, soprattutto da I giganti della montagna. I sei personaggi entrano sì dalla platea, non da quella vera di noi spettatori come richiedono le didascalie dell’autore, ma da quella dipinta nel fondale. La bambina è sostituita da una bambola meccanica, e l’ingresso sempre spiazzante di Madama Pace viene meno, eliminato il personaggio.
La regia, firmata da Francesco Sframeli, rimane fedele al linguaggio specifico della compagnia. Bravissimi gli attori – si segnala in particolare il giovane Bruno Ricci che interpreta Il Figlio. Il gioco scenico si sposta dal rapporto tra realtà e finzione caro a Pirandello, e indugia soprattutto sulla relazione tra personaggio, attore e spettatore, «la vera magia del teatro, che ci fa andare oltre la finzione e la realtà».
SEI
di Spiro Scimone (adattamento dei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello)
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber, Bruno Ricci, Francesco Natoli, Maria Silvia Greco, Michelangelo Zanghì, Miriam Russo, Zoe Pernici
regia Francesco Sframeli
scena Lino Fiorito
costumi Sandra Cardini
disegno luci Beatrice Ficalbi
musiche Roberto Pelosi
regista assistente Roberto Bonaventura
foto di scena Gianni Fiorito
produzione Compagnia Scimone Sframeli; Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale; Teatro Biondo di Palermo; Théâtre Garonne Scène Européenne Toulouse
in collaborazione con Napoli Teatro Festival Italia