L’autorialità che inibisce l’oralità

Cos’è una barzelletta? È un racconto che riempie un vuoto. Quale barzelletta si racconta? Le barzellette cambiano? Quante e quali sono? Si possono raccogliere tutte le barzellette esistenti nel mondo? Rispondere a queste domande sarà la missione, la destinazione, che non è un destino, del protagonista di Barzellette, un neoassunto alle ferrovie. L’incontro con il capostazione al terminale cambierà la vita di questo dipendente. Nelle stazioni i treni vanno e vengono, al terminale i treni partono la mattina e tornano la sera, ma durante il giorno che succede? Si raccontano le barzellette. Il ferroviere inizia un viaggio alla ricerca delle barzellette e, nel contempo, della risposta al dilemma postogli dal capostazione. In questa ricerca, il ferroviere scoprirà che esistono tante barzellette diverse fra loro e conoscerà le persone che le raccontano.

Uno spettacolo dinamico, nonostante il poco movimento sulla scena delle persone presenti in scena, Ascanio Celestini e Gianluca Casadei, musicista. Il protagonista, questo ferroviere vagabondo, è un tipo simpatico, con un po’ di balbuzie che dà ritmo alle barzellette che racconta, un ritmo che caratterizza tutto lo spettacolo e che viene arrotondato dalle note suonate da Casadei con la sua fisarmonica. La cornice nella quale lavora Celestini è costituita da un ambiente incredibilmente familiare, caldo, con una striscia di lucine che disegna una parete di fondo sulla quale è attaccato un quadro, davanti una panchina e sul lato sinistro una sedia per il “geometra”, è così che viene chiamato il musicista che accompagna. Questa casa accogliente e un po’ poetica, non è che la stazione ferroviaria, anzi: è tutte le stazioni. Queste fermate sono il simbolo di tutte le tappe di questo viaggio, dove le stazioni sono tutte uguali, e le persone cambiano di continuo. Un bel viaggio, che non annoia mai, di barzellette che scorrono fra le storie, gli incontri e le riflessioni.

Quello che viene sottolineato dallo spettacolo è la bellezza dell’interazione, del rapporto fra diverse persone che si incontrano, che parlano, che si scambiano pezzi dei loro mondi e della loro tradizione. Quando una barzelletta viene raccontata, essa si lega all’immaginario che unisce le persone presenti in quel momento; in questo senso, la ricerca antropologica di Celestini è tutt’altro che trascurabile. Ogni tappa del viaggio porta con sé una serie di barzellette che descrivono il contesto in cui nascono. È facile dialogare con le barzellette, si riesce subito a comunicare un’idea, un modo di pensare, di raccontare, perché la barzelletta è un gioco che permette di usare parole che nella vita quotidiana non sono permesse. La barzelletta è libera, una valvola di sfogo, un mondo parallelo, nel quale si entra con delle regole precise, che nessuno ha mai scritto, ma che tutti conoscono. L’assurdo diventa possibile e questo non ci smuove.

La barzelletta è quindi un simbolo molto potente che appartiene alla comunità, all’individuo ed al contesto di cui fa parte. Questo simbolo, oggi può essere messo in discussione. Chi racconta oggi le barzellette? Ascanio Celestini, la star del web Geppo, Berlusconi. Ma ci sono dei giovani che le raccontano? Questa oralità rischia di estinguersi? Celestini, in un’intervista, dice che non è importante chi la racconta, ma la barzelletta stessa. Celestini racconta anche che quando non sono più autoriali le barzellette mantengono la loro struttura, ma si arricchiscono di contenuto. Il racconto è ciò che le rinnova e le mantiene in vita. «Ma Geppo le racconta meglio, se ti faccio vedere un video ridi, se la racconto io la rovino», e con il cellulare ci vuole poco per trovare un video o una foto. Raccontare una barzelletta è una performance, è un piccolo spettacolo, e se fosse vero che una barzelletta non basta e una tira l’altra, allora si tratta di creare uno spettacolo di dieci o quindici minuti, cercando di avere l’attenzione di tutti, affidandosi al proprio corpo, alla propria voce, alla propria interpretazione. Raccontare quindi diventa un’esposizione di sé stessi, il ché pone l’attenzione su uno dei più grandi paradossi legato ai tempi che stiamo vivendo: la sovraesposizione a fronte di un’esasperata protezione delle nostre informazioni personali. In questo caso, persiste la volontà di raccontare la barzelletta, si prende l’attenzione, ma poi non si ha il coraggio di raccontare. Se la barzelletta diventa di qualcuno, ha una sua autorialità inviolabile, la comunità perde la propria tradizione orale e la libertà di cambiare il racconto in favore del successo di una star. Forse dovremmo avere più fiducia in noi stessi e diventare tutti per dieci minuti protagonisti del momento. O forse stanno solo cambiando le nostre tradizioni.

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