Trimalcione inghiotte tutto

«Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai», è la formula che il prete pronuncia la domenica delle ceneri per ricordare al credente la sua natura e il suo destino. Se è vero che prima fu il verbo, il verbo tornerà a regnare su tutto. La macchina scenica costruita da Andrea De Rosa sembra voler rappresentare il cosmo che torna alle proprie origini. Allora si torna a Petronio, al suo Satyricon che meglio di qualsiasi altra opera descrive la decadenza dei costumi durante l’impero romano e che meglio può far riflettere sulla Roma di oggi. Platone teorizza la struttura del cosmo ipotizzando un’armonia musicale che regola il movimento di tutti i corpi celesti, De Rosa riprende questa teoria facendo comandare la scena a un metronomo, l’unica musica possibile in questo universo, marziale, fredda e soprattutto inarrestabile.

Il lavoro di adattamento di Piccolo è molto ben fatto, filologicamente quasi impeccabile, dati i suoi interventi autoriali, ma dove non arriva la filologia arriva la bravura del drammaturgo. Tutti gli invitati alla cena di Trimalcione sono pieni di parole che li etichettano, permettendo loro di avere un’identità fittizia nella società. Non sono persone, sono categorie. Ciò che ripetono ossessivamente sono luoghi comuni, svuotati di qualsiasi significato, detti solo per riempire il vuoto. Se i festaioli hanno un vestito che decidono di indossare, Fortunata, la moglie di Trimalcione, è privata anche di quello. Lei è nuda, letteralmente, simbolo del completo annullamento all’ombra del padrone di casa. Qui c’è una piccola modifica dell’autore, per Petronio Fortunata era colei che regolava gli affari del marito, per Piccolo invece è un personaggio privo anche di quell’identità fittizia che hanno gli altri invitati. E De Rosa coglie questa differenza rendendo il personaggio ancora più anonimo di tutti gli altri. È come se Fortunata facesse parte della casa, è un soprammobile, una bella statua da esibire, ma che deve ricordarsi di non parlare. Infatti è l’unica che non ha rapporti con gli altri invitati, è l’unica che non si inserisce nelle dinamiche della festa. Prova anche lei a partecipare, cerca di vestirsi di luoghi comuni anche lei, però viene repressa da Trimalcione che la riconduce violentemente alla realtà dei fatti, ricordandole l’origine di tanta ricchezza, facendola sentire nuda, fin quando lei non si sottomette e torna al suo posto. Trimalcione sembra essere il deus ex machina di tutto lo spettacolo, posto al centro della scena, tutti festeggiano intorno a lui e se la festa si interrompe è sempre lui a farla ripartire. Sembra essere l’unico che non si nutre di luoghi comuni, la vera ed unica mente presente, tutto gira intorno al padrone di casa, che rappresenta la ricchezza, la quale non può che essere sporca, come il sistema solare gira intorno al Sole. Ma è veramente fuori dal luogo comune? Anche il ricco malavitoso, come Trimalcione, sembra essere un cliché, così tanto materialista da sfiorare il cinico, egocentrico, maschilista, dominatore. Non è lo schiavo liberato arricchito di Petronio, ma sembra esserci un luogo comune contemporaneo.

Satyricon è un quadro del nostro mondo, che funziona con leggi naturali (le leggi che regolano il cosmo) e che è vuoto di contenuti. Gli attori sono tutti magistralmente bravi a tenere il tempo, a far muovere la macchina scenica senza titubare, senza il minimo errore, perché questo potrebbe far saltare tutto. Bravissimo Antonio Iuorio nel ruolo di Trimalcione, che sa essere crudele, freddo, ingordo, ma che sa far intravedere anche una lieve fragilità del personaggio, in brevi momenti di falsa compassione. Bravo anche a gestire il romano come lingua, nonostante abbia una leggera musicalità forzata.

Si potrebbe accusare lo spettacolo di non dare speranza, non mostrare nemmeno un barlume di libertà fuori da questa macchina che gira intorno ai soldi. È vero, non tutto il mondo è così, non è una novità dei nostri tempi, non tutti quelli che vivono in un posto sono corrotti dalla nascita, ma non è la prima volta che De Rosa esprime un decadentismo privo di speranza, un buco nero che inghiotte tutto senza lasciar respirare nessuno. Discutibile potrebbe essere la scelta di un Trimalcione romano. Roma ladrona, Mafia Capitale. Una città sdegnata, biasimata, spogliata. Vorrei dire che Roma è Fortunata, ormai spogliata e sottomessa a padroni ingordi che la rendono un oggetto, ma se Trimalcione è romano, qualcosa non torna. Se la Roma di Petronio è l’Italia di oggi, allora è giusto che Trimalcione sia romano? Dalla nascita della seconda repubblica ci sono stati presidenti del consiglio di: Firenze, Milano, Reggio Emilia, Torino, Varese, Pisa. Ci sono stati due presidenti di Roma: Massimo D’Alema e Paolo Gentiloni. Un presidente della provincia di Foggia, l’attuale Giuseppe Conte. Le statistiche danno per vincente alle prossime elezioni un partito nato dal razzismo, dall’intolleranza e che grida a gran voce «Nord!». Forse, dare il ruolo di ingordo ricco ad un romano è solo un luogo comune.

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