Il 16 dicembre 2019 ha avuto inizio Oscillazioni, ultimo blocco progettuale di Teatri di Vetro. Dopo il Teatro del Lido di Ostia, il festival si sposta negli spazi del Teatro India fino al 22 dicembre, inaugurando la sezione con The Undanced Dance di Paola Bianchi, #TRE della compagnia Qui e Ora assieme a Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti, Lei dimora nel canto_Conversazioni di Bartolini/Baronio e Himalaya Drumming di Chiara Frigo. In questa sede, diamo conto di due dei processi in atto con cui ha inizio Oscillazioni: The Undanced Dance e #TRE.
Alla sua XIII edizione la manifestazione, diretta da Roberta Nicolai, propone una serie di progetti in studio che attraversano i linguaggi, evidenziano le varie processualità e specificano per ogni artista – o gruppo – le sfumature di indagine, struttura e sviluppo di tutti i lavori. Le ricerche oscillano, appunto, fra una dimensione e l’altra, finito e non finito, lasciando emergere «quella operatività dell’artista e quell’operazione del fare scena» per «superare l’unicità della nozione di opera», come sottolinea la stessa direttrice artistica presentando questa sezione. Oscillazioni, in tale ottica, trabocca dal ruolo di contenitore, diventando per gli spettatori la parola-strumento attraverso cui leggere l’opera e, soprattutto per gli artisti, il fine cui tendere.
Ad aprire la prima serata Paola Bianchi con la sua – e nostra – The Undanced Dance, che propone «una coreografia senza corpo che cerca corpi in ascolto e in azione». Danzatrice e coreografa indipendente, Paola Bianchi raccoglie la sua profonda sensibilità e precisione nelle registrazioni fornite a ogni partecipante, convertendo un solo di una decina di minuti in una vera e propria narrazione coreografica. Costante, lenta e dettagliata, la sua voce diventa immagine danzata nella mente, visualizzazione coreografica di un corpo fluido nello spazio celebrale. Azioni che sfumano e si dissolvono nella compiutezza di ciascun gesto per riversarsi nell’altro, un’operazione che accumula residui di movimento, segni che scompaiono nel loro tracciarsi. Al pubblico viene lasciato il piacere di farsi portare, la libertà di mantenere il coinvolgimento alla visione mentale e la possibilità di abitarlo col proprio corpo. Esserci, presenti, sostanziali e residuali come un gesto o una parola. Che lo spazio sia interiore o esteriore, ne manifesta l’indissolubile sostanza del corpo e coinvolge un investimento personale attraverso gli occhi di un altro. Lo sguardo, spesso si dimentica, è ciò che raccoglie la prospettiva di ognuno, la direzione da cui si osserva, giudica e sente il mondo. È il corpo che condiziona lo sguardo, da lui si parte e si torna: privare una danza della visione ne può comportare la riattivazione, in cui l’energia attraversa la forma come le onde del mare. La danza segna i limiti di ogni corpo e, al contempo, l’irrinunciabile desiderio di tendere altrove, in quel tipo di partecipazione che permette di riconoscerlo.
L’indagine sullo sguardo prosegue nella ricerca della compagnia Qui e Ora in #TRE, con la regia di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti, in collaborazione con Marta Dalla Via per la drammaturgia. Nel tentativo di disinnescare la superficialità degli stereotipi, lo studio oscilla fra la patologia delle icone, la banalizzazione dell’umanità e la fragilità della kalokaghatìa: «Quanto vale un essere umano?» oppure «Cosa guardate per decidere chi è meglio?», queste alcune delle domande che l’incontro fra questi artisti ha posto alla base dei quadri sparsi, all’interno di un processo che terminerà a giugno 2020. Nello stato attuale, la creazione assume le connotazioni di uno schermo in cui le performer, una dopo l’altra, incarnano delle star, dive, super eroine mainstream, dal bianco e nero fino alla contemporaneità.
Uno sguardo critico nei confronti di luoghi comuni, canoni e voghe del momento, che infettano più o meno silenziosamente la sfera della percezione dell’individuo: un esibire che riflette modi di guardarsi e considerarsi. L’essere umano può corrispondere a un numero? Questo il risultato di una “logica del peso” che caratterizza la società coeva, dove una persona può valere più da morta che da viva. Il gesto pesa, in ogni sua declinazione, valore che alcuni criteri estetici – il più delle volte corrispondenti a restrittivi sistemi di pensiero – tentano di svuotare, lasciando il corpo alla stregua di un’immagine proiettata. «Io mi calo dentro lo stereotipo finché non l’ho destrutturato bene», sottolinea Silvia Gribaudi al termine, disponibile, con i suoi colleghi, a rispondere alle curiosità del pubblico. Operazione messa in atto in una drammaturgia efficace, in cui i corpi si fondono con le indicazioni della regia – sia dal vivo che registrate – lasciando scorgere, in queste occasioni, residui del loro processo creativo. Chiaro, ironico, straniante e plastico, la restituzione di questo studio presenta un lavoro che ha ancora diverse fasi da affrontare, altri sguardi da sovrapporre e domande da formulare: «Ora non lo so, non è che sono una pazza: ho fiducia nel processo creativo […]. Può essere un punto di partenza oppure d’arrivo», parole conclusive della coreografa Silvia Gribaudi.
THE UNDANCED DANCE
Concept, coreografia, testo e voce Paola Bianchi
Registrazioni e elaborazione suono Nicola Amato
Tutor Roberta Nicolai, Raimondo Guarino
Sguardo esterno Ivan Fantini
Staff scientifico Laura Gemini, Giovanni Boccia Artieri, Annapaola Lovisolo, Alessandro Pontremoli
Progetto di residenza condiviso da L’Arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale Centro di Residenza della Regione Emilia-Romagna; Centro di Residenza della Toscana (Armunia Castiglioncello – CapoTrave/Kilowatt Sansepolcro)
Nell’ambito del progetto residenze coreografiche Lavanderia a Vapore
Produzione PinDoc
Coproduzione Agar, Teatri di Vetro, Teatro Akropolis
Con il contributo di Mibac e Regione Sicilia
#TRE
Di Qui e Ora Residenza Teatrale
Ricerca materiali Francesca Albanese, Silvia Baldini, Silvia Gribaudi, Laura Valli
Con Francesca Albanese, Silvia Baldini, Laura Valli
Regia Silvia Gribaudi, Matteo Maffesanti
Collaborazione drammaturgica Marta Dalla Via
Produzione Qui e Ora Residenza teatrale e Zebra
Con il sostegno del MIBACT
Immagine di copertina: “Altalena confinante”, dalla serie fotografica di Futura Tittaferrante
Ph. Margherita Masè