«Oltre il deficit?» e «Teatro e carcere»: giornate di studio tra presente e futuro

di Eva Corbari e Caterina Ridi

Nell’ambito di Per fare il teatro che ho sognato – GUT e del Master in Economia e organizzazione dello spettacolo dal vivo, il 26 e il 27 novembre 2019 hanno avuto luogo due giornate di approfondimento sul finanziamento pubblico allo spettacolo dal vivo e sul teatro inteso come strumento di inclusione sociale. Alle Ex Vetrerie Sciarra la discussione integra bilanci teorici a testimonianze di realtà virtuose, e la formula della giornata di studio favorisce la partecipazione studentesca.

La sessione iniziale della prima giornata, «Oltre il deficit?», coordinata da Stefano Locatelli e aperta da Donatella Ferrante e da Guido di Palma, si inserisce in una rilettura legislativa e discussione costante che ha il pregio di problematizzare la contraddizione strutturale (sostenere un deficit, appunto) e identitaria che i criteri d’accesso ad un’unica forma di finanziamento pubblico allo spettacolo da vivo (il FUS) hanno formalizzato: un sistema di cultura che sostituisce alla sua propria finalità umana quella produttiva di mercato concorrenziale. La domanda sulla funzione dello spettacolo dal vivo sostiene gli interventi, che tendono a identificare il motore di cambiamento nel valore della qualità: progettuale, lavorativa, creativa, di buone pratiche e buone politiche. Il modello teorico di Lucio Argano basa la sostenibilità (anche finanziaria) delle organizzazioni sulla progettualità a lungo termine, la cui validità sappia sfruttare i fattori di un mercato complesso, in un’ottica strategica. I dati statistici discussi da Antonio Taormina sull’occupazione nel settore in Italia e sulla formazione culturale-artistica interrogano sulla necessità di vincolare il finanziamento pubblico a garanzie di stabilità del lavoro e di tradurre le competenze studiate in professione. La definizione di una nuova identità di produzione di danza allargata con Gerarda Ventura e Valentina Marini, il modello di distribuzione dei circuiti come rete tra enti e pubblici locali e organismi nazionali con Luca Fornari (ATCL) e l’interessante prospettiva dei teatri nazionali di Emanuele Bevilacqua avviano il confronto con le pratiche di produzione e programmazione.

La Tavola rotonda (369°Area 06Balletto di RomaCasa dello SpettatoreDA.RE.PAVPindocLa Casa d’ArgillaSpellboundTeatro Biblioteca Quarticciolo CrAnPi…) converge sulla necessità di colmare l’incertezza di prospettiva con soluzioni vitali, non puramente economiche. Concretizzare per comunicare allarga le possibilità d’azione in una effervescenza giovanile che non viene meno, ma manca della possibilità di provare sul campo le proprie potenzialità: sarebbe allora essenziale proiettare operatori e creatori verso un terzo polo, quello della domanda. Per un mercato immateriale, non basta la presenza, ma occorre partecipazione. È una questione di bisogno: le persone devono sapere che esistono forme d’arte in grado di custodire l’esperienza di una vicinanza e di una condivisone ad un livello emozionale e percettivo non comune. Occorrerebbe ri-attivare un radicamento che filtri le risorse in base al loro impatto sociale e potenzi flessibilità e semplicità necessarie all’emersione di realtà dal basso che possano poi trovare i mezzi per appoggiarsi a professionalità utili alla gestione d’impresa. 

Al centro della seconda giornata di studio, «Teatro e carcere», il tentativo di mappare e sondare il percorso delle numerose esperienze di teatro all’interno delle carceri italiane e non, con l’obiettivo di individuare quale sia la condizione attuale in cui i vari operatori del settore conducono le loro attività. Attraverso il resoconto di esperienze dirette e il dialogo fra personalità con ruoli molto diversi tra loro, si è ribadita la capacità del teatro di essere una forma di «resistenza preziosa», come asserisce Pasquale Bronzo, docente di diritto penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza. Bronzo sottolinea come il teatro in carcere rappresenti un mezzo potente non solo per l’accrescimento etico e culturale dell’individuo, ma soprattutto come strumento che consente di «ripensare criticamente la propria vita, che è esattamente l’obiettivo a cui dovrebbe tendere anche la pena giudiziaria». Al tavolo della mattina, oltre al già citato Bronzo, erano presenti Annunziata Passannante (reggente di Casal Del Marmo e attuale vicedirettrice di Regina Coeli), Vito Minoia, esperto in Teatro educativo e inclusivo presso l’Università di Urbino Carlo Bo e presidente del Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere, Gianfranco Pedullà, direttore artistico del Teatro Popolare d’Arte di Firenze, e Valentina Venturini, docente di Storia del teatro presso l’Università Roma Tre. A coordinare e mediare il dibattito, il docente presso l’Università La Sapienza Roberto Ciancarelli. I temi emersi dai tre interventi sono stati ricchi di spunti di riflessione: Minoia evidenzia la necessità di costruire all’interno dell’ambito lavorativo dell’operatore «una rete di ricerca e scambio pedagogico». Rigenerazione sociale e Risocializzazione sono due parole inserite all’interno dei titoli dei due interventi di Bronzo e Minoia e, non casualmente, durante la discussione emerge a più riprese il tema della grande capacità del mezzo teatrale di farsi garante dell’inclusione sociale. La citazione di Jacques Coupeau che Bronzo riporta nella sua relazione risulta quindi pertinente e appropriata: «Non nasce teatro laddove la vita è piena e dove si è soddisfatti, il teatro nasce dove ci sono ferite, dei vuoti».

Nel pomeriggio si è tenuta una tavola rotonda, coordinata e madiata dal critico teatrale e docente presso l’Università La Sapienza Andrea Porcheddu, nella quale sono state riportate diverse relazioni su esperienze dirette di teatro sociale integrato tra carcere, scuola e comunità. Al tavolo erano presenti Valentina Esposito, regista e drammaturga della compagnia teatrale Fort Apache Cinema Teatro e docente presso l’Università La Sapienza, Emanuela Giovannini, autrice e regista, Albertina Ianni, docente presso l’Istituto di Istruzione Superiore A. Frammartino di Monterotondo, Martina Storani, dottoranda presso l’Università La Sapienza.

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