Josephine e la scia della lumaca. Teatri di Vetro conduce gli spettatori nello spazio vuoto e silenzioso della creazione scenica

Datemi uno spettatore a cui proporre il progetto del mio ancora fragile e sgangherato spettacolo. Datemi un pubblico che possa guidarmi e sostenermi nel lungo cammino del pensiero. Sembra essere questa la richiesta de Il popolo dei topi, o della gloria_allenamenti, studio teatrale condotto da Tamara Bartolini e Michele Baronio, andato in scena al Teatro India, all’interno del programma di Oscillazioni, quarta e ultima sezione della tredicesima edizione di Teatri di Vetro – Festival delle arti sceniche contemporanee. Il principale intento di Roberta Nicolai, direttrice artistica del Festival, è quello di mostrare – anzi di svelare – allo spettatore la fase di progettazione di diverse performance, di farne cioè trasparire la fragile struttura iniziale, per coglierne a pieno le istanze fondanti.

Fedele a questa linea, il lavoro proposto da Bartolini/Baronio, formazione artistica nata a Roma nel 2009 sempre vicina, come riportato nel sito del Festival, a un teatro “manifesto di prossimità”, si interroga sulla qualità del rapporto fra performer e pubblico, attraverso quattro diversi allenamenti rispettivamente del corpo, del discorso – grazie alla collaborazione con lo scrittore Lorenzo Iervolino –, della musica e dell’anima. Bartolini/Baronio tende così un filo sottilissimo allo spettatore per condurlo a Josephine, simpatica topina protagonista di Josephine la cantante o il popolo dei topi, ultimo racconto di Franz Kafka. Col suo insolito fischio canterino, che per la sua eccezionalità cattura tutti gli abitanti del popolo dei topi, sottraendoli alla propria quotidianità e muovendoli verso la libertà dell’anima, Josephine fa nascere nelle menti dei due artisti una lunga e lenta riflessione su come un gesto semplice come quello del fischio riesca a riunire intere masse e a condurle verso un unico ideale di uguaglianza e solidarietà. Ed è proprio a quest’ultima che i due performer si appellano, riscoprendola nel teatro e nella sua natura relazionale e identitaria, persino capace di assurgere a linguaggio politico.

Ecco allora che la proiezione di quei pugni neri levati in aria contro il razzismo da Tommy Smith e John Carlos nell’Olimpiade di Città del Messico del 1968, o ancora la performance di canto/danza Un violador en tu camino creata dal collettivo femminista cileno Lastesis e recentemente divenuta inno internazionale della lotta alla violenza sulle donne, acquistano senso e valore nel processo riflessivo-creativo di Bartolini/Baronio. I due corridori di colore, così come le attiviste cilene e la stessa Josephine, sono testimoni d’una libertà partecipata e condivisa, che come bava di lumaca lascia una scia luminosa ed eterna sul sentiero della storia. Questa l’ultima immagine che i due performer, rifacendosi apertamente a La lumaca, una delle più recenti canzoni del cantautore Vinicio Capossela, hanno voluto lasciare ai propri spettatori per un ultimo gentile invito alla calma e alla lentezza. Senza di queste, infatti, cogliere fino in fondo l’autenticità di un gesto semplice ma rivoluzionario quale quello di Josephine, non è possibile. Del resto, come lo stesso Kafka asserisce a proposito della propria creatura letteraria: «chi non l’ha mai ascoltata – fermandosi un momento a contemplarla – non conosce il potere del canto».

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