Uno scrittore: così si potrebbe sintetizzare il mestiere di Matteo Antonaci, dapprima critico teatrale, oggi ufficio stampa di Romaeuropa Festival. Scrive narrazioni, piccole biografie o testi che possano mettere in risalto le tematiche dell’artista. Pubblica su giornali, su siti web, su piattaforme social. Come un Trigorin cechoviano, Antonaci scrive, scrive, scrive… Mettendo in gioco strategie di comunicazione, sensibilità artistica, abilità nella scrittura.
Lorenzo Bitetti: Qual è stato il suo percorso formativo?
Matteo Antonaci: Mi sono laureato in Scienze dalla comunicazione all’Università LUMSA e poi mi sono specializzato al DAMS di Roma Tre. Ho cominciato a scrivere per la prima volta come critico per «Teatro e Critica», in seguito mi sono occupato di arte contemporanea finché non sono stato assunto al REF, nell’ufficio stampa. Ho cambiato lavoro: mi veniva chiesta una scrittura completamente differente da quella che ero solito utilizzare, ma questo non mi ha fermato.
L.B.: Come si capisce se è la strategia mediatica ad aver avuto successo e non semplicemente la risonanza di cui il festival gode dagli anni passati?
M.A.: Il festival ha risonanza dagli anni passati e, in un periodo di 34 anni, ha già un impatto mediatico forte, almeno di partenza, suscitando l’interesse della comunità, dei giornalisti ecc. La strategia dell’ufficio stampa riguarda principalmente la costruzione della narrazione e dell’edizione, quindi non del festival in generale. Il successo o il fallimento di una strategia mediatica si determina dalla diffusione degli eventi del festival nei vari canali di comunicazione, testate giornalistiche, piattaforme social, televisione ecc. L’ufficio stampa ha l’obiettivo di far uscire gli articoli, dialogare con la stampa, suscitarne l’interesse e riuscire a far parlare i giornali del festival e dei vari spettacoli che lo compongono. Se se ne parla, la strategia ha avuto successo.
L.B.: Come cambiano le strategie, ad esempio con un artista italiano o romano che ha già un suo pubblico sul territorio e un artista straniero meno conosciuto?
M.A.: In ogni caso la prima cosa che si realizza è la presentazione, la costruzione della narrazione, sia dell’artista che del contenuto dell’opera. A volte si fa più forza sul contenuto dell’opera, altre sul racconto della storia dell’artista. Chiaramente questo dipende dalle biografie, da tante cose. Riguardo le diverse strategie adottate, la differenza è solo nella costruzione della narrazione. È chiaro che ci sono artisti più conosciuti e altri meno; si fa più fatica con quelli meno conosciuti però quello che si cerca di fare è sempre riuscire a costruire, a presentarli raccontando sia chi sono sia quali sono i temi delle opere, degli spettacoli. In alcuni casi i temi sono così forti che possono magari avere più impatto di un nome conosciuto, per cui dipende sempre dai vari casi.
L.B.: In che modo si sceglie quali artisti proporre a una determinata testata giornalistica?
M.A.: Le proposte che vengono fatte a una testata dipendono da quello che noi conosciamo di quel giornale e da quelle che noi pensiamo possano essere le cose che gli interessano di più. Questo a volte riguarda i nomi, a volte riguarda i contenuti. Una testata maggiormente sensibile alle questioni di attualità può essere interessata a particolari temi, oppure una rivista più glamour è forse interessata a un nome.
L.B.: È stato applicato lo stesso principio con la piattaforma Freeda?
M.A.: Con Freeda, per esempio, per Chiara Bersani lavorammo sul contenuto, quindi su ciò che l’artista presentava in quell’occasione, e su ciò che rappresentava (clicca qui per vedere il video).
L.B.: Il 26 Novembre 2019 c’è stata una giornata di studi presso il Dipartimento SARAS dell’Università di Roma Sapienza riguardo al deficit finanziario del teatro: si è discusso sull’applicazione di strategie di marketing nell’ambito del teatro; l’ufficio stampa di un festival multidisciplinare, applica strategie di marketing come se l’arte fosse un prodotto commerciale, oppure ci sono attenzioni differenti?
M.A.: L’ufficio stampa è un lavoro che riguarda la narrazione e il racconto, attraverso gli organi di diffusione stampa, sia dei contenuti delle opere sia del festival. Chiaramente non c’è una strategia propriamente di marketing, si tratta della costruzione di una narrazione. È vero che, in generale, il marketing stesso si è in qualche modo trasformato in narrazione; io personalmente non mi allontano dal lavoro che faccio. Credo che in qualche maniera ci sia sempre un equilibrio fra le due cose. Quando parliamo di comunicazione o di marketing per il teatro, o per le performing arts, in realtà non si tratta mai del 100% di reale comunicazione, ma sempre di una serie di elementi. Il mio lavoro consiste principalmente nel costruire narrazioni che possano essere diffuse dagli organi di stampa, che possano interessare loro, per cui si tratta sempre di scrittura e quando si tratta di scrittura, chiaramente, si tratta sempre di racconto, di approfondimento, ecc. In definitiva, non credo che trattiamo con oggetti.