Il Sistema Teatro è in trasformazione, con esso l’intera configurazione delle politiche culturali. Come sta cambiando l’intervento statale nel mondo della formazione? Quali sono i benefici per la collettività e quali le difficoltà da affrontare? L’erogazione di fondi pubblici nel settore cultura, e in particolare nello spettacolo dal vivo, è un tema dibattuto. In un crogiolo di algoritmi e dati, comprendere a fondo meccanismi e dinamiche di gestione e amministrazione risulta essere ancora una chimera. Per molti. Venuti a conoscenza della protesta degli studenti e delle studentesse della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, sopraggiunta nel mese di dicembre in seguito alla notizia dei tagli economici operati dal Comune di Milano a sfavore delle Scuole Civiche, abbiamo intervistato il Direttore Generale Monica Gattini Bernabò e il Presidente Stefano Mirti della Fondazione Milano. In rappresentanza dell’ente che dal 2000 gestisce, oltre alla Paolo Grassi, la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti, la Civica Scuola Interpreti e Traduttori Altiero Spinelli, e la Civica Scuola di Musica Claudio Abbado, Gattini Bernabò e Mirti hanno chiarito la reale situazione della didattica delle scuole del circuito, approfondendo storia, prospettive e funzionamento di un sistema virtuoso come quello delle Civiche milanesi.
Ornella Rosato: Il Comune di Milano è stato pioniere di una particolare attenzione al mondo dell’istruzione. Nel tempo, questa responsabilità si è estesa anche ad altri settori, come quello della formazione nell’ambito dello spettacolo dal vivo. Ne è esempio la presa in gestione da parte del Comune nel 1967, a vent’anni dalla fondazione del Piccolo di Milano, dell’accademia Paolo Grassi. Dagli anni 2000 è subentrata la Fondazione Milano, che gestisce la Paolo Grassi assieme ad altre tre Scuole Civiche milanesi. Come è cambiato l’intervento statale nel settore cultura e in particolar modo nello spettacolo dal vivo? Come si delinea in questo senso il sistema delle Scuole Civiche?
Stefano Mirti: Milano è un’eccezione straordinaria perché, circa 150 anni fa, è stata l’unica città italiana a comprendere che se studiano anche le classi non abbienti, tutti ne traggono beneficio. Ciò è accaduto anche in altre città ma con altre matrici. A Milano abbiamo una classe di potere molto illuminata che comprende che l’istruzione è un pezzo importante della vita collettiva e che ha dato vita a scuole civiche di ogni tipo. Mi sembra di ricordare che nel momento di massima espansione, ci fossero 150 scuole civiche che coprivano ogni disciplina. Milano ha una presenza pubblica che non è dello Stato ma è cittadina ed è molto democratica perché per l’accesso alle scuole civiche non esiste davvero una barriera di censo: paradossalmente la formazione delle civiche è una formazione d’élite perché popolare. Il problema delle “scuole d’eccellenza” è che hanno un bacino d’utenza molto ristretto. Le scuole civiche, in particolare quelle della Fondazione Milano, sono un’isola di eccellenza perché si crea una compresenza di soggetti dalle provenienze sociali e geografiche più diverse. Tutto ciò rappresenta una straordinaria risorsa che genera cultura, economia, società.
Monica Gattini Bernabò: Tutto il personale di queste scuole era formato da dipendenti del Comune di Milano. Quindi erano civiche per davvero, nel senso che il comune le organizzava e le gestiva, ne assumeva i dipendenti. Nell’ambito delle scuole civiche le nostre scuole si chiamavano “atipiche” e anche questo ne segna il dna, perché sono scuole di arte e cultura: cinema, teatro, televisione, musica, traduttori-interpreti, tutti mondi culturali che hanno bisogno di risposte flessibili, veloci. Il Comune si è reso conto di dover continuare a dare una risposta efficace per mantenere alto il livello e la forma pubblica sembrava meno adatta a rispondere, da sola, a certe esigenze. È stato costituito un ente a cui conferire le quattro scuole d’arte e cultura, attraverso l’atto del 2000 che ha fatto nascere Fondazione Scuole Civiche di Milano, che ha con il Comune una convenzione con obblighi reciproci. Il Comune dà all’ente tutti i dipendenti, che diventano quindi dipendenti dell’ente, dà delle sedi e mantiene l’obbligo di versare un contributo annuale sui costi della formazione.
SM: Le Scuole Civiche milanesi sono scuole del “fare”. In Italia la concezione generale è che i lavori di concetto sono quelli più importanti. Pur mantenendo questa separazione fittizia tra le professioni più concettuali e quelle più manuali, l’Italia è riconosciuta nel mondo come un paese del “fare”. Una delle caratteristiche tipiche delle Scuole Civiche è che sono scuole del “fare”, hanno un legame molto stretto con il mondo del lavoro e con le trasformazioni del mondo circostante. Questo legame genera un’offerta veramente particolare.
MGB: Se crescono i singoli cresce la città. Le Civiche hanno un concetto di formazione di qualità che sa integrare il “fare” con competenze e nozioni teoriche. C’è stata una battaglia per ottenere un riconoscimento universitario, perché è importante far capire che sapere la storia del teatro è diverso dal saper fare teatro, che ci vuole una competenza specifica nel saper fare oltre che nel sapere. Mettere insieme docenti professionisti collega le Civiche al mondo del lavoro, e fa sì che queste professioni, che a lungo sono state considerate come un hobby, vengano riconosciute come competenze acquisite in grado di creare e dare lavoro. L’Italia è riconosciuta nel mondo per questo straordinario capitale della conoscenza, della bellezza della cultura. Esistono due possibili modelli di architettura didattica: quello che prevede docenti più o meno stabili che insegnano a lungo e che creano una sorta di staticità nella docenza; e quello di alcune scuole, anche molto di tendenza, che affidano la docenza a professionisti esterni attraverso masterclass e seminari, correndo però il rischio di diventare dei “seminarifici”. Fondazione Milano ha sempre avuto un altro tipo di metodo: docenze interne, in modo da dare il senso della scuola, della continuità didattica per poter trasmettere tutte le competenze di base e trasversali. Il tutto è accompagnato dall’ingresso di docenti esterni legati alla professione, che portano qualità e che offrono agli studenti un collegamento immediato con il mondo del lavoro. Tutte le nostre scuole oggi rilasciano titoli universitari. Ricordo che durante la visita dell’ANVUR – Agenzia di valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, cui ho assistito per la prima volta in qualità di Direttrice Generale dell’ente, alla scuola di Musica, uno dei membri mi disse che la Civica Scuola di Musica Claudio Abbado era già riconosciuta quindi non trovava così necessaria la nostra ricerca del riconoscimento del titolo. Risposi che facciamo una formazione di qualità, quindi perché non rendere i nostri studenti in grado di competere con il mondo internazionale? Dico con orgoglio che il Sistema-Paese, in questo caso la città di Milano, paga la formazione dei propri giovani e poi evita che vadano via perché riesce a offrire delle possibilità occupazionali. Questo è stato il senso di portare avanti anche il percorso di riconoscimento universitario che è avvenuto nel rispetto della tradizione teorico-pratica delle nostre scuole.
SM: Io sono architetto, ho passato tutta la vita a progettare e insegnare. Qualche anno fa sono stato scelto per diventare direttore di una delle Civiche milanesi che è la Scuola Superiore d’Arti Applicate del Castello Sforzesco. Quello che mi sembrava interessante e promettente era la governance: in un mondo in cui c’è la dicotomia tra scuola pubblica e scuola privata, un sistema come quello delle Scuole Civiche è molto interessante perché si ha il meglio della snellezza e della professionalità del privato con però la relazione e il supporto significativo del soggetto pubblico. Questa cosa che mi sembrava sensata è il motivo per il quale la sfida è diventata più grossa e mi ha condotto alla presidenza della Fondazione. Abbiamo una forte tradizione del passato, un particolare significato del presente e il tema è dove andremo nel futuro. Milano ha avuto negli ultimi vent’anni delle grandi trasformazioni che continueranno nel prossimo decennio, per cui bisogna inserire la Fondazione in questo sistema di cambiamento. Il mandato del consiglio d’amministrazione ha una grande missione: reinventare l’istituzione anche in termini di relazione con la città, con l’amministrazione, con la nazione e il resto del mondo. In questo momento il comune è l’unico socio fondatore che conferisce soldi e progetti all’istituzione, ma potrebbe essere utile averne degli altri. A qualsiasi persona io racconti che ogni anno il comune versa dei fondi, tutti sono strabiliati dalle cifre. Se, però, prima veniva conferita una certa somma che poi diminuisce, è una condizione che cambia e non di poco le prospettive e le modalità di lavoro.
MGB: L’ente ha sempre avuto capacità di aggiornarsi sia sulla tecnologia che sul resto, oggi non possiamo continuare a giustapporre ma dobbiamo ripensare la visione. Il tema dell’architettura della didattica è molto interessante perché ti devi domandare che cosa fare. Se parliamo della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, ciò che la rende unica è che è la sola in Italia ad avere il corso per attori, il corso di regia, il corso di drammaturgia, il corso di teatro-danza e il corso di operatori e organizzatori dello spettacolo dal vivo. È una condizione che permette di iniziare e finire il progetto di una messinscena, di una produzione teatrale. Dobbiamo domandarci di qui a vent’anni cosa e come potrà cambiare. In Italia siamo l’unico esempio di integrazione tra le arti ma in Europa ce ne sono degli altri straordinari a cui continuiamo a guardare. L’utenza della nostra scuola non è solo milanese o lombarda, ma internazionale e per fortuna abbiamo rapporti con scuole e reti importanti a livello europeo e mondiale. Un tempo era una scuola veramente solo civica, oggi è aperta al mondo. Continuare ad avere certamente il Comune di Milano come socio fondatore ma magari anche un altro partner, è un diverso modo di pensare. È un percorso che va fatto, una sfida che va affrontata con serietà, strumenti e consapevolezza.
OR: Nel dicembre scorso, 150 studenti della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi hanno disertato le lezioni per quattro giorni protestando contro il riassetto economico, previsto a partire da gennaio 2020, che comporterà dei tagli ai compensi dei docenti, alcuni dei quali non garantiranno il prosieguo dell’attività didattica. In un articolo di Simone Mosca, pubblicato su «La Repubblica» a proposito della vicenda, si legge che il taglio dei fondi operato dal Comune di Milano a sfavore della Paolo Grassi, nasce dalla volontà di rendere autonome finanziariamente le Scuole Civiche che dovrebbero accrescere le proprie economie attraverso la ricerca di sponsor. Qual è il motivo di questa situazione?
MGB: In quel momento si è avvitata una situazione differente: la situazione personale di un direttore che aveva un contratto in scadenza, per cui l’ente ha aperto un bando cui chiunque con certe caratteristiche, incluso l’oggi ex-direttore Giampiero Solari può applicare, verificatasi per un caso del destino in un giorno in cui poi si è letto il tema economico con un forte spaesamento. La scuola non ha chiuso, dal 7 gennaio le lezioni sono riprese, tutti sono in aula con gli stessi docenti.
SM: Dobbiamo immaginare nuovamente tutto il sistema. In questo momento il cda sta ridefinendo il documento di visione e missione dell’istituzione che verrà presentato il 3 febbraio all’inaugurazione dell’Anno Accademico. Noi dobbiamo agire pensando che nel 2020 ci saranno questi tagli, poi magari tra due mesi troviamo altri fondi. I tagli ci sono ed entrano nella carne viva, cioè ci sono delle persone che guadagnano di meno e questa è una cosa grave. Non è che perché il Comune riduce i fondi noi cerchiamo gli sponsor, è il contrario: se la Fondazione ha tra i suoi soci il Comune, continua a trattarsi di un’istituzione; se la Fondazione ha tra i suoi soci la Camera di Commercio, piuttosto che il Politecnico di Milano o Mediaset (sto facendo degli esempi a caso), cambia proprio la natura dell’ente, quindi il rapporto di causa-effetto è ribaltato. La domanda è: ha senso che un’istituzione come la Fondazione Milano oltre a erogare servizi legati alla didattica, eroghi servizi professionali legati alle discipline di cui si occupa? Ci sono cento motivi per dire sì e cento per dire no. A grandi linee, le cose che riportava Mosca sono abbastanza corrette, secondo me però partire dal taglio fa perdere la prospettiva d’insieme. Convengo che è più facile costruire il treno quando il treno è fermo piuttosto che quando il treno è in corsa. La mia idea è che queste mutate condizioni ancorché difficili e spiacevoli ci danno la spinta a cambiare e a metterci in sincrono con il mondo del 2020, guardando al 2040. Ovviamente valgono le preoccupazioni degli studenti come il malcontento di alcuni docenti. Il Direttore Generale ha dedicato molti mesi a chiudere il bilancio del 2019/2020; il cda è stato nominato con 6 mesi di ritardo. Certo è che se avessimo iniziato prima, questa conversazione sui tagli e sul nuovo direttore l’avremmo fatta a giugno e non a dicembre. Si sono sovrapposte delle cose che hanno riverberato, dando la percezione che la situazione fosse grave. Il 7 gennaio i corsi sono ripartiti regolarmente, nessun docente ha abbandonato la cattedra. Il bando per il nuovo direttore è aperto fino al 31 gennaio, cercando la più ampia partecipazione possibile. Per quello che mi riguarda come Presidente, il fatto che nell’istituzione ci siano forze diverse mi sembra una grande ricchezza.
MGB: Le lezioni si stanno svolgendo in modo regolare. L’ente ha 700 collaboratori, oltre ai docenti fissi quindi ci sono dei numeri cui riferirsi. Non lo dico per minimizzare, perché comunque i tagli ci sono stati e si sono avvitati con una serie di altre difficoltà di cui abbiamo parlato. Vorrei raccontare due cose belle: il 13 gennaio è partita la radio dell’ente FM Web Radio. La prima trasmissione è giornaliera, in pausa pranzo, il titolo è Frequenza Obbligatoria, la gestiscono gli studenti e noi non catechizziamo gli studenti su cosa devono dire. Ogni giorno della settimana la trasmissione tratta di un tema diverso: musica, teatro, autorialità, lingue e quando la si ascolta c’è una ricchezza data dalla diversità di formazione e di sguardo dei diversi studenti che la conducono. Ieri la trasmissione era in diretta dalla Paolo Grassi, gli studenti hanno sottolineato di essere senza direttore in questi giorni – anche se ci sono tutte le deleghe per coordinare tutte le funzioni – quindi hanno fatto un toto nome del possibile futuro direttore. Voglio dire che dei problemi si parla, ne parlano anche gli stessi studenti, in questo caso in maniera positiva. Presto sarà attiva anche FM People, un sistema su cui verranno caricati tutti i profili dei nostri diplomati, che darà la possibilità agli studenti di connettersi con il mondo e trovare delle nuove occasioni lavorative. È un modo di dare visibilità a chi si è diplomato da noi e far sì che diventino benefattori di progetti specifici di engagement e di narrazione dell’ente.
OR: Il riassetto economico che ha generato il caso delle proteste in Paolo Grassi, ha riguardato anche le altre Scuole Civiche gestite da Fondazione Milano. Con la ripresa delle attività didattiche quali sono le variazioni riscontrabili sul piano dell’offerta formativa, in seguito ai tagli e alle polemiche dei giorni scorsi? Avete aperto un dialogo diretto con gli studenti?
MGB: Siccome ci chiedeva se abbiamo incontrato gli studenti, le dico di sì. Li abbiamo incontrati nuovamente il 17 gennaio. Per gli studenti è una faccenda molto seria, ognuno ha il proprio ego singolo, la sua proiezione del proprio anno accademico. Gli studenti della Paolo Grassi si erano riuniti in assemblea, non avevano partecipato alle lezioni, cosa di cui sono venuta a conoscenza dopo, altrimenti avrei tenuto la scuola aperta oltre l’orario di lezione per non fargli perdere ore di studio, perché ho grande rispetto per le esigenze di chiunque. Loro non sono andati a fare lezione perché erano preoccupatissimi ma quando li abbiamo incontrati ho spiegato loro che pur non essendosi presentati, i docenti erano comunque stati pagati quindi non avrebbero potuto recuperare la lezione perduta. Quando abbiamo fissato l’incontro successivo, infatti, sono stati loro in primis a dare precedenza alle lezioni. Questa amministrazione ha introdotto una modalità che prevede la presentazione del bilancio sia ai dipendenti che agli studenti. Il bilancio presentato agli studenti ha fatto comprendere loro molte cose. Gli studenti hanno dei rappresentati e questo fa sì che siano in dialogo tra di loro oltre che con noi. Mi va di raccontarle della presentazione dell’Anno Accademico scorso: dovevano prendere la parola dei ministri, il Sindaco, oltre che i docenti e alcuni studenti. Nessuno sapeva cosa avrebbero detto, perché è nella consulta degli studenti che si decide chi farà da portavoce. Questo studente ha detto: «Quando mi sono iscritto e ho iniziato a frequentare questa scuola, la Direttrice ha incontrato me e i miei compagni, chiedendoci di memorizzare cosa eravamo in quel momento, in modo da ricordarlo al termine dei tre anni di corso per capire cosa questa scuola ci avesse realmente dato. Io oggi sono verso la fine del terzo anno, sono una persona diversa, al di là di saper fare, io sono una persona che si è formata e che oggi si sente in grado di camminare con le proprie gambe». Il Presidente diceva che facciamo una formazione popolare ancorché di élite: siamo di élite perché nei nostri corsi c’è pochissima gente, ma non di élite in termine di censo in quanto siamo in linea con le tariffe di un’università pubblica. I modi per portare dentro altri fondi possono essere diversi, tante sono le cose che possiamo fare ma con una volontà di sviluppo. Questo è il dato forte che possiamo garantire, non solo a chi si iscriverà ma anche a chi è già iscritto e sta attraversando questo momento.
SM: È un momento di trasformazione. La contemporaneità è in costante cambiamento. Quando gli studenti ci chiedevano se questa fosse una situazione temporanea e se sarebbe tornata come prima, gli rispondevo che non sarebbe dovuta tornare come prima. È necessario sempre un avanzamento.
MGB: Sottolineo che sulle nostre scuole civiche, molti interventi di miglioramento sono stati compiuti sia in termini di offerta formativa che di strutture: la Paolo Grassi ad esempio, e lo dico perché non credo che altre scuole ce l’abbiano, ha al suo interno un teatro con licenza di pubblico spettacolo. Quindi in questo senso sono state fatte cose belle per fare didattica in un luogo moderno, all’altezza della qualità che vogliamo garantire.