Quando Dante e Virgilio giungono nell’altro emisfero, con uno sguardo di pura felicità contemplano la volta celeste.
«E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno, XXXIV, 139)
Una nuova attesa, il presagio della salvezza concretizza l’espressione per aspera ad astra: dopo le tenebre dell’Inferno, la luce di quelli che i poeti chiamano “gli occhi del cielo”.
Ma gli sguardi intenti e fissi dei tre fratelli, Massimo (Fiorenzo Madonna), Italo (Alessandro Gioia), Christopher (Luca Sangiovanni), e della Madre (Lia Gusein-Zadé) osservano un cielo indifferente, vuoto, che non suggerisce speranza.
Supernova, in anteprima nazionale sul palco dell’ÀP, Accademia Popolare dell’Antimafia e dei Diritti, è uno spettacolo curato e prodotto dalla giovane compagnia campana under 35 I Pesci e dalla Scuola Elementare del Teatro diretta da Davide Iodice, con la regia e drammaturgia di Mario De Masi.
«La supernova è un’esplosione stellare provocata da una stella che ne ingloba un’altra più piccola, dando luogo a una reazione violentissima e luminosissima che dura per un certo tempo. La materia prodotta dall’esplosione si disperde nell’universo dando vita a nuove stelle, mentre il nucleo collassa su se stesso e crea un buco nero».
Il fenomeno cosmico costituisce così il correlativo oggettivo della storia della famiglia Tosti che percorre esattamente le sue stesse tappe.
Esplode la famiglia alla morte improvvisa del padre, dopo l’incontro grottesco con una prostituta riprodotto con agghiacciante realismo.
Evolve, quasi per istinto di sopravvivenza, quando Massimo, fuggito da casa, torna dopo sette anni ristabilendo un equilibrio precario, un ricongiungimento necessario alimentato dal dolore, non dalla volontà individuale di risoluzione, che è effimera, in fondo.
Collassa, nel suo stesso buco nero, trovandosi in un punto di non ritorno, quando la Madre è ormai prossima a morire. In questo senso, i tempi della vita degli uomini sembrano accordarsi con quelli della Natura di cui essi sono parte, ma soltanto meccanicamente. In effetti, se da un lato è possibile instaurare quest’analogia, dall’altro si potrebbe considerare, “leopardianamente”, l’indifferenza della natura al male dell’umanità e la sua ciclicità che, invece, non appartiene all’uomo. Il parallelismo cioè è possibile soltanto razionalmente.
È per questo che la vita familiare dei panettieri Tosti assurge a una sorta di emblema della condizione umana destinata alla distruzione. Destino che vive la sua sventura non soltanto per la stessa pasta di cui è fatto ma anche perché ostacolato dalla disapprovazione sociale che costringe la famiglia a un isolamento deleterio. I personaggi della pièce si muovono sul palcoscenico con un ritmo dinamico e raccontano la storia non a un interlocutore immaginario, ma al pubblico presente, pronto a ricevere dal racconto il sapore di una quotidianità assai vicina alla propria. Sulla scena oggetti semplici, essenziali, vita distillata nella materia del libro di Massimo, sempre sul punto di sdottoreggiare con aria superba; nelle figurine da collezione di Christopher, interpretato da un attore in grado di restituire in modo sorprendente la sensazione di un’innocenza a tratti infantile e compassionevole, esente dai meccanismi di maturazione del tempo e propria di chi «non conosce le misure, non riesce a calcolare le distanze»; nei biscotti alla calce di Italo, tosti ma buonissimi, raccontati da una voce che, rispetto alla prima parte, assume un tono sempre più pacato, saggio, quasi rassegnato a un destino di ineludibile disfacimento. E la Madre. Che ora è madre, ora Madre, ora donna amata trasfigurata in pura immagine.
La toccante performance dell’attrice russa Lia Gusein-Zadé ha inserito nel contesto di una drammaturgia verbale l’evoluzione della danza contemporanea, espressione improvvisata di un corpo che parla emozioni contrastanti. Una fisicità spasmodica, ora fatta di movimenti meccanici come sono meccanici i movimenti della Natura, ora animata da una forte pulsione animalesca di morsi, di corse folli. Una Madre spettinata che scandisce il ritmo del mondo, balla senza essere accompagnata da una musica, perché è lei stessa musica e movimento. Scatena l’azione, innesta meccanismi di reazione e muove desideri che si configurano innanzitutto come mancanze di ciò che non si possiede.
E così, in un punto di non ritorno, non resta che prendere la borsa della Madre, una sorta di ventre primordiale nel quale inserire il libro, i biscotti e le figurine: insomma, la vita dei figli. Riveder le stelle non per cercare conforto nell’ombra di una possibile salvezza, ma per immergersi in una bellezza distante, illusoria. Riveder le stelle senza uscire dall’Inferno perché non c’è nient’altro che si possa fare se non alzare lo sguardo e perdersi nella propria nullità riflessa dal cosmo.
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In nome della parola “resistenza” lo spettacolo è stato uno degli appuntamenti della terza stagione teatrale dell’Accademia (qui il sito), uno spazio sito in Via Contardo Ferrini 83, un fiore nel deserto della periferia romana di Cinecittà che lascia intravedere, questo sì, una speranza, un’opposizione creativa all’abbandono, con spazi che hanno ospitato l’AperinScena Alla fine delle spine c’è La Rosa – il teatro come antidoto.
«Dalla periferia orientale di Napoli sono arrivato all’Accademia Internazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” su una vespa 125», il regista Davide Iodice racconta così la sua rocambolesca avventura che lo ha portato a coltivare professionalmente la sua arte. «Lì mi sono diplomato in regia con il Maestro Andrea Camilleri».
L’artista vanta una teatrografia molto vasta, collaborazioni, direzioni artistiche e riconoscimenti, l’ultimo dei quali conferito nel 2019, Premio Associazione Nazionale Dei Critici di Teatro.
«Koltès affermava: “Quando entro a teatro capisco che la vita è da un’altra parte”. Io mi colloco all’opposto di questo pensiero. Gli attori sono specialisti dell’esistenza e si trovano a tenere in mano un filo che crea un cerchio e che li lega in una dimensione comunitaria», afferma Iodice sulle immagini di un video del suo lavoro nel teatro sociale.
«Da anni ormai vado alla ricerca della bellezza residuale. Sul ciglio della strada, alla fine delle spine c’è la rosa. È quella che raccolgo, curo e cerco di far sbocciare. Attraverso il teatro, che è l’antidoto, il mezzo attraverso il quale ci si riconosce ancora esseri umani, anche quando non si ha più un tetto sotto cui dormire, anche quando si crede di aver perso tutto».
SUPERNOVA
di Mario De Masi
Produzione a cura di: compagnia I Pesci
Con: Alessandro Gioia, Lia Gusein-Zadé, Fiorenzo Madonna, Luca Sangiovanni
Regia e drammaturgia: Mario De Masi
Aiuto regia: Serena Lauro
Video: Luigi Cuomo
Foto di Giovanni Chiarot
PROSSIMI APPUNTAMENTI:
– 27 febbraio THE SPEAKING MACHINE – Compagnia Ragli
– 5 marzo NON PLUS ULTRA – Argotproduzioni/Teatro Eliseo/Nest
– 12 marzo 9841/RUKELI – Farmacia zoo: È 2015
– 26 marzo IL MIO NOME È CAINO – Bruschetta/Puglisi
– 23 aprile CHI AMA BRUCIA – Ortika
PROSSIMI APPUNTAMENTI (compagnia I Pesci):
– 28 febbraio LA FORESTA – finale premio PimOff (Milano)
– 17-22 marzo SUPERNOVA – Piccolo Bellini (Napoli)
– 27-29 marzo LA FORESTA – selezione premio Anna Pancirolli (Milano)
– 6-7 aprile PISCI ‘E PARANZA – Teatro Sannazaro (Napoli)