Dal 25 febbraio al 1 marzo Davide Valrosso porta al Teatro Vascello Sogno, una notte di mezza estate (2018), una produzione del Balletto di Roma in co-produzione con il Festival Oriente Occidente. In scena gli interpreti della Compagnia Paolo Barbonaglia, Cecilia Borghese, Emma Ciabrini, Matteo Giudetti, Jesùs Gòmez Martìnez, Francesco Moro, Kinui Oiwa e Giulia Strambini.
«Rinuncia al potere di attrarmi, e io rinuncerò alla mia volontà di seguirti», così Elena – uno dei personaggi dell’opera shakespeariana cui rimanda il titolo della corografia di Davide Valrosso – si rivolge nel II atto a Demetrio, il suo amore non corrisposto. Legami controversi, infatuazioni effimere, animali fantastici e atmosfere che si ibridano fra il sonno e la veglia sono alcuni dei punti attorno a cui si svolge il Sogno d’una notte di mezza estate del Bardo inglese. Intrecciando fonti classiche e folklore britannico, l’opera di William Shakespeare si dipana attraverso una serie di intrighi, sotterfugi e scambi di coppia, in cui gli esseri umani vengono costantemente ingannati dalle creature magiche, che si fanno beffa della loro folle sottomissione alle passioni, compiacendosi della debolezza rivelata.
Per il suo Sogno, una notte di mezza estate, Davide Valrosso non rilegge il testo shakespeariano per trasporre le sequenza narrative nella danza, alcune delle quali sono comunque rintracciabili nell’impianto coreografico, piuttosto il suo processo intende condensare il complesso drammaturgico nelle dinamiche corporee che guidano i danzatori. Il sistema di meccanismi relazionali dei loro incontri, la moltiplicazione del personaggio di Puck – in scena come robot/marionetta – che si frammenta negli otto corpi e la convivenza dei contrasti sono tutti elementi che riportano tanto al tessuto shakespeariano quanto alla dimensione del sogno. In questo luci, costumi e musica (in particolare la rielaborazione musicale di Pierfrancesco Mucari, coinvolgente ed efficace) sono gli elementi che, nella tessitura delle atmosfere, indicano i momenti di capovolgimento delle relazioni, i cortocircuiti fra gesto e ambiente, in cui anche un dolce incontro può mutare prontamente.
Corpi appena illuminati, che si intravedono dietro a un telo sul fondo della scena, ritornano più volte nella coreografia come sfumature di un incontro, nell’illusione appannata fra il chiaroscuro delle loro torce, ombre che appaiono dentro a una foresta. I danzatori della Compagnia del Balletto di Roma incarnano la loro presenza in un mondo alla rovescia, svegliandosi in un sogno di cui sono vittime e artefici allo stesso tempo. A guidare l’azione, sia coreografica che dell’opera di riferimento, è lo sguardo, colpevole dell’incanto d’amore, protagonista indiscusso di ogni momento. Gli occhi scandiscono le direzioni, le influenze fra i danzatori, i momenti di coppia o in canone che si susseguono nella coreografia, la manipolazione e la sottomissione che prende forza nelle ripetizioni, in cui non si modificano le legazioni ma il ritmo, la dinamica e la traccia emotiva che li caratterizza. I sogni procedono per frammenti, non seguono una narrazione lineare o una logica matematica, per questo gli elementi del testo possono essere rigirati e scomposti per creare una drammaturgia che è, allo stesso tempo, in dialogo con l’opera shakespeariana e con la poetica del coreografo. Ad esempio l’incontro fra due mondi, quello quotidiano e fatato della narrazione elisabettiana, nella danza diventa movimento che si relaziona con lo stile neoclassico dei danzatori della Compagnia del Balletto di Roma e la pratica-ricerca compositiva di Davide Valrosso. La natura del movimento si muove dunque fra piacere e dolore, tracciando un percorso che è più importante della destinazione, un godersi fino all’ultimo istante del proprio corpo.

Così è possibile che alcuni dei Puck si travestano da asini color pastello, muovendosi fra il comico e l’inquietante sulla musica di Only you (And You Alone) dei The Platterns, e che, da uno di loro, nasca la regina delle fate Titania che, come sovrana delle creature fantastiche, non è esente dai meccanismi di manipolazione.
Più di tutti, come si evince, sono le caratteristiche del personaggio di Puck che influenzano maggiormente la partitura coreografica, che per errore o per strategia manda avanti l’azione fra scherzi e inganni, mantenendo il ruolo-simbolo della mutevolezza dell’amore, come nella tradizione mitologica da cui nasce.
Il grande manipolatore, con tutte le implicazioni politiche, sociali e psicologiche a cui poter fare riferimento, può essere considerato anche in una versione introspettiva: quel destino ineluttabile contro cui i personaggi di Shakespeare sembrano impotenti, andrebbe considerato come la gigantesca giustificazione che l’uomo si dà per svincolarsi dalle sue debolezze. Essere il grande manipolatore di se stessi vorrebbe dire non avere altri capri espiatori, sottostare alla reale scelta di seguire la caduta in uno sguardo d’amore.
«Se noi ombre vi abbiamo irritato non prendetela a male, ma pensate di aver dormito, e che questa sia una visione della fantasia…noi altro non v’offrimmo che un sogno».
COREOGRAFIA Davide Valrosso
PRODOTTO DA Balletto di Roma
COPRODOTTO DA Festival Oriente Occidente
RIELABORAZIONE MUSICALE Pierfrancesco Mucari
Ph. Matteo Carratoni