Infinite volte abbiamo chiesto a qualcuno «come stai?», molto spesso per abitudine, e assai più raramente per sapere come stia davvero il nostro interlocutore.
Con questa domanda Giorgio Barberio Corsetti, direttore artistico del Teatro di Roma, ha iniziato la conversazione, trasmessa sulla pagina Facebook dello stesso teatro, con Emma Dante, e il tono era quello di un pensiero tenero. Un’informale chiacchierata tra colleghi, secondo appuntamento (il primo è stato con Alessandro Serra) del sabato sera di #TdRonline– Talk&Dialoghi.
Il Teatro di Roma, come la maggior parte dei teatri italiani, pubblici e privati, ha risposto all’emergenza Covid-19 che ci costringe ancora alla quarantenacon non poche iniziative: Le fiabe della buonanotte per i più piccini a cura del Teatro delle Apparizioni, o ancora Schegge&Racconti con frammenti di poesia e di racconto offerti da diversi artisti – finora Massimo Popolizio, Lino Guanciale, Monica Demuru, Claudio Morici e Marco Cavalcoli. Dal 3 aprile ha preso il via anche un palinsesto radiofonico giornaliero, Radio India, concepito dalle compagnie residenti al Teatro India per il progetto Oceano Indiano – DOM- , Fabio Condemi, IndustriaIndipendente, MK, MutaImago – alle quali per quest’occasione si aggiunge la collaborazione di Daria Deflorian. Oltre a queste, come accennato, anche Talk&Dialoghi che prevede appuntamenti di confronto e scambio, riservando lo spazio del sabato sere al direttore Giorgio Barberio Corsetti, che dialoga con registi/e della scena nazionale. Il 4 aprile è stata la volta di Emma Dante.
«Diciamo che resisto, però è dura», ha risposto la regista palermitana alla domanda semplice e familiare. «Non sapere quando riusciremo a tornare alla vita di sempre comincia a farmi un po’ paura. Sono a Palermo, in casa con mio marito e mio figlio. Si è fermata la tournée, i laboratori, le prove, però io sono una privilegiata, ho un giardino, ho la possibilità di vivere questo periodo in maniera agiata perché non ho problemi di soldi, mentre ci sono qui al sud molte situazioni in cui non si riesce a fare la spesa. Quindi rispetto a questo andazzo io posso ritenermi assolutamente fortunata».
I teatranti in genere sono abbastanza abituati all’intermittenza lavorativa, ci sono periodi di lavoro intensissimo, senza orari, senza festivi, ma ci sono spesso anche delle pause sostanziose, ma certo diverse da questo stato di “pausa” imposta. «Riesci a lavorare un po’?», chiede il direttore.
«Si, lavoro, scrivo, leggo, rifletto. La riflessione per noi artisti è un lavoro, no? E poi, da quando ho smesso di lavorare, lavoro di più perché una casa è un luogo incredibilmente faticoso da gestire. Questo mi ha fatto molto pensare alla vita delle nostre mamme e nonne, che facevano questo lavoro senza mai ricevere assegni familiari».
Anche a Roma è dura, mai come adesso ci si rende conto che una città vale l’altra quando si corre tutti lo stesso rischio. Un rischio presente e futuro. Tutti nella stessa incertezza.
«Ragioniamo tutti sul prima e sul dopo, – continua Emma Dante – nessuno si sta preoccupando del “durante”… Lo stiamo sottovalutando. Il durante adesso ci costringe a non poter pianificare il futuro. Che cosa ne vogliamo fare? Lo vogliamo abolire, cancellare? O deve servire, e servirà, sicuramente, a programmare il futuro? Il durante è il presente, e non è una minchiata, il presente. Non ci stiamo congelando o spegnendo… Siamo vivi. Io la sento questa vita. Questo ci mette di fronte a una impossibilità di riempire i nostri calendari, e ci fa pensare a domani, ma domani tra 24 ore: cos’è? Anche per quegli artisti fragili e precari, soprattutto, che lo erano già prima. Se prima erano precari, adesso che cosa sono?». (Bella domanda…).
Emma Dante sarebbe stata – tecnicamente potrebbe ancora essere, ma tutti sappiamo che dire che sia difficile che accada è un eufemismo – al Teatro di Roma, dal 17 aprile al 3 maggio, con il suo ultimo spettacolo: Misericordia.
«Lo spettacolo – racconta – è stato a Milano prima che esplodesse la bomba. È riuscito a debuttare e si è fortificato. Ma, parlando della mia poetica, del mio modo di affrontare le storie: io racconto storie tragiche. La mia domanda è: dopo questa tragicità e pesantezza, gli artisti che come me e come te, che non sei proprio un artista di intrattenimento, quelli come noi, che hanno cercato sempre di sollevare la polvere sotto i tappeti borghesi, noi che abbiamo sempre raccontato la maledizione della società, adesso che la gente secondo me non ne vorrà sapere, noi che fine faremo?». Questa domanda suscita una leggera risata a entrambi. Non c’è niente da fare: per quanto si cerchi di fare esperienza della durata di questo presente, per dirla con Peter Handke, «come il momento in cui ci si mette in ascolto,/il momento in cui ci si raccoglie in se stessi», porsi la domanda al tempo futuro è inevitabile.
«Io spero che i teatri riaprano, e credo di sì – continua – perché del teatro non possiamo fare a meno. Possiamo stare a casa, guardare film, ascoltare musica, leggere libri, disegnare, dipingere, possiamo fare statuette di zucchero, possiamo fare quello che vogliamo, ma non possiamo “vedere” il teatro, perché ha bisogno della comunità, del respiro contagioso degli altri. E come si fa?».
Giorgio Barberio Corsetti viene dal mondo della ricerca degli anni Settanta (lo ricorda la stessa Dante), gli anni in cui si è rotto tutto per ricostruire e, forse per questo, con tono pacato e rassicurante: «Il teatro lo faremo ovunque sarà possibile, – dice – nelle condizioni più strane e più inattese».
Sorvolando sulla parentesi, interessantissima, di approfondimento rispetto al lavoro di Emma Dante sugli attori e sulla scrittura, di questa conversazione risulta interessante soprattutto il desiderio di confronto sul momento che ci costringe, che mette alla prova i progetti, le agende, i conti in banca e pure la creatività, laddove questa spinta resiste, perché, come ha detto lo stesso Barberio Corsetti, «inevitabilmente, quando crei assorbi tutto quello che ti sta intorno: il silenzio, il vuoto, il rumore dei vicini di casa che diventano una presenza costante…».
Al termine di questa intensa chiacchierata si ripassa dal via, il direttore del TdR rivolge l’ultima domanda all’artista palermitana: «Cosa pensi che potresti fare dopo l’apocalisse di questo momento inatteso di cui non sappiamo la fine?».
«Potrei fare giardinaggio!», risponde sorridendo. Poi, facendosi seria: «Io spero di continuare a fare quello che facevo. Trovare insieme alla comunità una strada, non la posso trovare da sola. Ho riflettuto molto su questo. Secondo me, in questo momento, quello che dobbiamo fare è adeguarci, essere solidali, cercare di aiutare i più deboli, essere misericordiosi… La misericordia, ecco, in questo momento della nostra vita, non solo per il corona virus ma anche in relazione al mondo di prima, al brutto mostro a cui rischiavamo di assomigliare e che poi invece – per fortuna – si è rivelato falso».
Nessuno sa da dove ripartire, né si è in grado di comprendere adesso che direzione prenderanno le cose, ma potrebbe essere il momento, questo, per capire verso quale direzione non andare. Cosa non si vuole che accada. Comprendere che l’azione del singolo ha una forza nella comunità, che la solidarietà ha un valore morale, ma anche civile e politico.
«Ti vogghiudiri ca quattr’occhi vidinu megghiu, ca miliuna d’occhi vidinu chiù luntanu», direbbe il poeta siciliano Ignazio Buttitta.
«Dobbiamo aiutarci – ha concluso Emma Dante – e se a uno viene un’idea, gli altri devono dare forza. Quindi se tu hai un’idea per fare ripartire il teatro, sappi che io ti verrò dietro».