In questi giorni di forzata astinenza da ogni forma (o quasi) di socialità, l’intero comparto teatrale nazionale cerca di immaginare quello che sarà il proprio futuro con quanta più lucidità possibile. Cerca cioè di capire, una volta terminata l’emergenza sanitaria imposta dalla diffusione del Covid-19, quali saranno i nuovi contesti produttivi, quali le nuove forme di spettacolo dal vivo, se si verificherà o meno una riconfigurazione delle varie realtà teatrali presenti sul territorio nazionale e in che modo. Tutte prospettive che abbiamo provato a tracciare insieme a Tiziano Panici, direttore artistico del Teatro Argot Studio, spazio di ricerca teatrale nel cuore di Trastevere a Roma, e responsabile del progetto di Dominio Pubblico- La città agli Under 25, finalizzato alla produzione, promozione e organizzazione di un festival multidisciplinare per artisti U25, in collaborazione con il Teatro di Roma.
Matteo Polimanti: Giovedì 2 aprile l’Argot ha annunciato la sospensione della stagione 2019/2020, dopo aver prorogato fino al 31 maggio il bando del progetto Over – Emergenze teatrali, in collaborazione con Napoli Est Teatro e con la testata giornalistica di Theatron 2.0. Da direttore artistico di uno spazio privato, quali sono secondo lei gli ostacoli di natura economica a cui occorrerà far fronte nell’imminente futuro? Dovremo forse assistere a una drastica riduzione degli spazi destinati alla fruizione di spettacoli dal vivo? Quanto questo la preoccupa?
Tiziano Panici: È importante prima di tutto tener conto del fatto che l’emergenza non sta minacciando tutti alla stessa maniera. Ci sono diversi livelli di difficoltà e necessità. È certo che in un momento assolutamente eccezionale come quello che tutti noi stiamo vivendo il settore teatrale va a collocarsi in una zona d’ombra. Sospendere la stagione per me è stata prima di tutto una grande responsabilità. Per uno spazio privato che fa ricerca teatrale come l’Argot, che in quanto tale non riceve sovvenzionamenti pubblici e paga anche un affitto a Trastevere, quello delle economie è sempre un tema delicato; in questo periodo a maggior ragione mi è sembrato doveroso dover ammettere fin da subito l’impossibilità di garantire ai diversi artisti occasioni di pubblico spettacolo. È stata prima di tutto una forma di rispetto nei loro confronti. Avendo iniziato il mio percorso come attore e regista teatrale, so bene quali possano essere le problematiche del momento. Non solo: se anche dopo l’estate riuscissimo a riaprire il nostro spazio, le misure di distanziamento sociale che ci verrebbero probabilmente imposte ci permetterebbero di fare entrare non più di dieci persone alla volta. Non sarebbe certamente un sistema sostenibile, né per l’Argot né per i singoli artisti. La realtà di oggi ci sta insomma dicendo che lo spettacolo dal vivo non potrà più svolgersi, almeno per un bel po’, come una volta. Che fare, dunque? Fino ad ora, a livello nazionale, si è registrato un grande movimento nel settore: io stesso, dopo essere stato vicepresidente del C.Re.S.co – Coordinamento delle realtà della scena contemporanea, nonché uno dei suoi fondatori, sono tornato a dialogare con questa rappresentanza teatrale e politica che negli ultimi anni era andata smembrandosi e che adesso invece sta ricostituendosi. Lunedì 6 aprile è a tal proposito partita una lettera rivolta al Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti per chiedere delle misure straordinarie riguardo la questione economica. Muoversi velocemente e in maniera coesa non è facile, ma sono piuttosto ottimista. Prevedo nei prossimi mesi una rete di supporto alle principali imprese teatrali, che poi avranno la responsabilità di garantire ulteriori misure di sicurezza alle realtà più circoscritte del settore. Nel frattempo è chiaro che la situazione richiederà a tutto il comparto teatrale un ripensamento della relazione con il pubblico.
M.P.: A questo proposito l’Argot ha anche lanciato un comunicato pubblico «per immaginare insieme il Teatro di domani», invitando tutti a riflettere e a condividere le proprie proposte sul teatro che verrà. Da dove si comincia?
T.P.: Ad ispirarmi è stato il drammaturgo pakistano Shahid Nadeem e il suo messaggio in occasione della giornata mondiale del teatro lo scorso 27 marzo. Ciò che più mi ha colpito è stata la riflessione sulla sacralità del lavoro artistico rapportata alla mortalità dell’uomo, e la cosa mi ha fatto sorridere pensando a tutti coloro che oggi si chiedono se il teatro morirà. Tutt’al più saremo noi teatranti a non farcela. Credo allora che la cosa più urgente per coloro che operano nel settore sia parlarsi, coordinarsi a vicenda e mirare tutti a una maggiore concretezza, come appunto stiamo cercando di fare. Nelle ultime settimane confrontandomi con diversi operatori ho visto nascere sempre più il dibattito sull’individuazione di nuove forme di spettacolo. È normale che questo crei delle spaccature, ma un confronto del genere è l’unico che al momento possa garantire nuove efficaci soluzioni.
M.P.: Uno degli ultimi spettacoli ospitati dall’Argot è stato Segnale d’allarme – La mia battaglia VR, progetto in realtà virtuale diretto da Omar Rashid e con Elio Germano, la cui natura mira a stravolgere le consuete modalità di fruizione degli spettatori a teatro. Ritiene che questa linea produttiva, questa tipologia anomala di spettacolo dal vivo possa rivelarsi un’utile risorsa in futuro?
T.P.: Quando dieci anni fa io e i miei collaboratori abbiamo preso in gestione questo spazio, siamo stati tra i primissimi a Roma a utilizzare Facebook per la promozione delle nostre attività. Ovviamente col tempo siamo stati superati da imprese più grandi di noi, come il Teatro di Roma ad esempio, ma credo che questo possa far riflettere su quello che è un modello di ricerca. Lo spettacolo di Germano e Rashid ha creato un significativo dibattito attorno a sé: ci si è addirittura chiesti se quello fosse teatro o meno. Noi non siamo tenuti a dare una risposta, abbiamo semplicemente fatto quello che è il nostro lavoro, sostenendo, finanziando e programmando un esperimento, i cui esiti sono oggi per me un punto di partenza per cominciare a sviluppare un teatro del domani. Se prossimamente la mia sala non potrà ospitare più di dieci persone alla volta, penso che il lavoro che Germano e Rashid stanno portando avanti possa costituire un buon livello di programmazione. Ho recentemente contattato Omar per capire quanto fosse cambiato il suo lavoro in questo momento particolare, e lui mi ha detto di essere molto tranquillo per l’avvenire. La sua impresa, la Gold Enterprise, aveva già da tempo scommesso sulla realtà virtuale come possibile evoluzione del mondo delle arti sceniche. Questo non avverrà certo nel giro di un anno, ma è chiaro che a breve si aprirà un nuovo mercato.
M.P.: Non crede che questa nuova possibilità di intrattenimento possa andare a danneggiare il teatro vero e proprio, quello della prossimità e della relazione umana non mediata da alcun dispositivo tecnologico? La cosa non la spaventa?
T.P.: In una certa misura. Mi piace pensare all’Argot come a una palestra, dove si viene per allenarsi e crescere tutti insieme. Una palestra da cui in passato sono nate grandi cose, e questo perché abbiamo sempre rispettato la sua natura, quella di spazio di ricerca teatrale. Abbiamo prodotto e lanciato a cavallo fra gli anni Novanta e gli anni Zero del 2000 una serie di autori che rimarranno nella storia del nostro teatro contemporaneo, come Antonio Latella, Roberto Latini, Elena Arvigo e tanti altri, oggi punti di riferimento per le nuove generazioni. Sono convinto che molti soggetti con cui stiamo collaborando, alcuni scoperti anche attraverso Dominio Pubblico, avranno visibilità nei prossimi anni. Il nostro lavoro all’Argot continuerà sicuramente in questa direzione: nulla ci vieterà di ospitare residenze artistiche, di produrre nuovi spettacoli dal vivo o programmare nuovi progetti, dando così spazio ad una nuova generazione di artisti. La forza economica per farlo non ci manca, in quanto attività di produzione riconosciuta e attiva a livello nazionale. Ciò non vuol dire che un mercato del genere sarà facile da affrontare, ma di certo non verrà del tutto cancellato. Quel che è sicuro è che noi non arresteremo la ricerca, dopodiché sarà responsabilità del teatro nazionale, economicamente molto più forte di noi, tenere conto o meno di un nuovo panorama artistico che andrà via via delineandosi. Ciò che invece non sarà possibile per noi fare nel prossimo anno sarà mettere in piedi una programmazione. Il progetto Over, ad esempio, riesco ormai a immaginarlo solamente riservato a un certo numero di persone selezionate, come appunto potranno essere i ragazzi di Dominio Pubblico, sicuramente non aperto a un pubblico di più ampia portata. Un discorso diverso va invece fatto per gli anni a venire, dato che la rete dei finanziamenti pubblici non potrà certamente tutelarci tutti, e che molti di noi rimarranno inevitabilmente esclusi dal sistema. Non so se l’Argot sarà in grado di sapersi evolvere e ripartire, ma di sicuro faremo il possibile perché ciò accada.
M.P.: Questo per quel che riguarda il destino dell’Argot. Come immagina invece il progetto di Dominio Pubblico in futuro?
T.P.: Il futuro di Dominio Pubblico è sicuramente più fragile rispetto a quello dell’Argot. Da anni ormai riusciamo ad attirare i ragazzi proponendo loro un abbonamento più che vantaggioso alla stagione del teatro nazionale, per poi coinvolgerli nell’organizzazione del nostro Festival. La formazione del pubblico, o audience engagement che dir si voglia, che tempo fa non era uno dei nostri principali obiettivi, da qualche anno si è invece rivelata essenziale per il nostro progetto. Potrà questo modello resistere anche in futuro? Non possiamo saperlo. Credo che anche in questo caso dipenderà tutto dalla capacità di sapersi reinventare, e se avremo successo sarà sicuramente grazie ai ragazzi che nel tempo abbiamo coinvolto e con cui collaboreremo. Non sono moltissimi sul territorio nazionale, ma possono fare molto, con tanta determinazione e altrettanto coraggio. Quello che ci sta capitando è senza dubbio una tragedia che rimarrà nella storia, ma potrebbe benissimo rivelarsi anche una grande opportunità per le nuove generazioni, e più in generale per tutti quelli che riusciranno a fare della propria mente un luogo di incontro e riflessione. Come ci insegna il teatro, il mondo è pieno di segni che noi dobbiamo saper interpretare. Circa un anno fa Greta Thunberg, una ragazza di appena sedici anni, ha lanciato un urlo di dolore e disperazione all’intero pianeta, denunciando il più grande rischio di collasso ambientale nella storia dell’umanità e venendo sbeffeggiata da gran parte degli uomini di potere nel mondo. Che si creda o meno nel destino, la situazione in cui ora ci troviamo ha bloccato le nostre attività ed i nostri spostamenti, contribuendo al calo dell’inquinamento atmosferico. Se, quando tutto questo finirà, non ne terremo conto, avremo fallito come società. Abbiamo tutti una grande responsabilità sulle spalle, perciò testa alta e occhi aperti.
M.P.: Come lei stesso ha dichiarato un anno fa in occasione della VI edizione del festival di Dominio Pubblico, «l’arte del futuro sarà la partecipazione».
T.P.: Anche se verrà filtrata da uno schermo. Ormai la rivoluzione digitale c’è stata, non approfittare di tutte le nuove possibilità comunicative garantiteci dall’universo intermediale sarebbe un’occasione mancata. L’iperconnessione ci ha permesso in questi giorni di rimanere saldamente legati gli uni agli altri, anche se fisicamente distanti. Spesso mi viene rimproverato di essere troppo ottimista, io rispondo sempre che quello che mi interessa è utilizzare quello che abbiamo. Credo sia fondamentale. Questo nuovo format dei talk o delle web-radio potrebbe rivelarsi interessantissimo e applicabile al teatro del domani. Magari l’Argot si dotasse di una web-radio che facesse parlare la propria comunità! Anche questa è partecipazione.
Non avevo mai voluto fare un paragone simile ma il teatro in generale è come la struttura del cov19 a un RNA indistruttibile e si adatterà agli umani nel bene e nel male
Sono d’accordo Tiziano; infatti è ľottimismo che ci permette di realizzare i nostri sogni, e il focus sull’utilizzazione di quello che abbiamo ci tiene con i piedi per terra: niente volo senza una poderosa spinta a terra
La ricerca e l’esplorazione sono senza dubbio una strada maestra, specialmente per un teatro come l’Argot. Mi chiedo se oltre a immaginare una creatività per mezzo di frame e premontaggio, che è comunque univoca, senza immediata risposta del pubblico davanti al suo ‘farsi’- non si possa investire su una programmazione in diretta. È quanto di più vicino al teatro che a mio parere non può rinunciare, come evento di comunicazione biunivoca, al rapporto diretto col pubblico. Per mia ricerca sono andata sempre più verso un teatro dal vivo e in mezzo alla gente, in luoghi spesso non teatrali. Evidentemente questo percorso nei prossimi, e parecchi, mesi, si dovrà arrestare. La ‘diretta’ tuttavia mi sembra una via attraente. Pensaci, Argot.