Grande incertezza in tutto il mondo sta provocando questa pandemia. Nessuno sa cosa succederà dopo il Covid-19, quando e soprattutto quale sarà la normalità alla quale torneremo. In questo periodo di allarme ci si chiede quali siano le condizioni attuali di un mondo che fa fatica a vedere la propria identità, il circo contemporaneo italiano, e quali i progetti futuri dei festival dello spettacolo dal vivo. Lo abbiamo chiesto ad Aurelio Rota, coordinatore e referente per l’associazione Forum Nuovi Circhi, un’associazione nata a gennaio che si batte per il riconoscimento di una specificità del circo contemporaneo. Rota è anche direttore artistico dei festival Città di Circo, Lonato in Festival e Circo D’Inverno.
In cosa consiste la specificità del circo contemporaneo che fa parte del Forum Nuovi Circhi?
Al Forum Nuovi Circhi possono aderire compagnie che esercitano spettacolo circense contemporaneo, con un tendone, o una struttura simile, che sia di loro proprietà, o sul quale abbiano una concessione esclusiva, e che svolgano attività itinerante. Che vuol dire? Che, nonostante il grande rispetto che abbiamo nei confronti di ciò che consideriamo l’origine di tutto il mondo circense in tutte le sue variazioni ed i buoni rapporti che abbiamo con esso, noi non siamo circo tradizionale; le nostre compagnie hanno un loro tendone ed esercitano la loro attività in maniera itinerante proprio perché questo tipo di circo crea una comunità creativa, fatta di artisti in viaggio e che interviene in termini socioculturali nel territorio. C’è una differenza nel portare uno spettacolo caratterizzato da certi meccanismi e andare in piazza con un tendone, o allestire un accampamento in un parco. Noi portiamo un modello di vita comunitaria, di condivisione, in una realtà urbana; questa è una delle nostre caratteristiche principali. Poi avere un tendone di proprietà ti permette di essere libero, quindi di fare delle residenze da solo, allenarti, creare nuovi spettacoli, ospitare artisti senza dover dipendere dall’organizzatore o da altre dinamiche esterne al circo.
Pensa che dopo questa emergenza possa essere riconosciuta una specificità del circo contemporaneo rispetto ad altre forme di spettacolo dal vivo? Come pensa che saranno i provvedimenti da parte delle istituzioni?
È possibile che si possa arrivare a un riconoscimento. Il problema sono i limiti che potrebbero essere imposti alla nostra categoria. In occasione di una situazione emergenziale, fuori dall’ordinario, di solito vengono fatte delle normative inadeguate; forse hanno un loro senso per grandi eventi, come il concerto di un grande cantante che coinvolge ventimila persone, ma ne hanno meno per una realtà con un tendone da duecento o centocinquanta posti, oppure per un piccolo festival da tremila o duemila persone. Quasi sempre ci troviamo ad affrontare decreti che fanno fatica a supportarci, perché non conoscono i differenti contesti, non distinguono una grande realtà, complicata, complessa, sempre legata ad un grande rischio, da una realtà minore, dove c’è meno pubblico ma una maggiore attenzione alla singola persona. Quindi molto dipenderà dai decreti che usciranno quando ci permetteranno di riaprire. Sicuramente da parte nostra ci sarà l’attenzione per l’aspetto sociale e per l’aspetto artistico e lavorativo dei singoli artisti e delle compagnie. Delle idee ci sono, però andranno ripensate con l’uscita dei nuovi decreti, che ci spaventano un po’ perché di solito sono dannosi per le piccole realtà, come dicevo poc’anzi.
Nei giorni scorsi, su «Il Fatto Quotidiano» si è parlato del Cirque Du Soleil al tempo del Covid-19, che con un debito vicino a un miliardo di dollari e l’annullamento di tutti gli spettacoli a tempo indeterminato, rischierebbe seriamente un fallimento che coinvolgerebbe quasi 5 mila dipendenti. Secondo lei, il possibile fallimento di questo modello circense potrebbe significare il fallimento del circo contemporaneo?
Il circo contemporaneo non è un monolite e soprattutto non è la stessa cosa in tutti gli Stati nei quali lo si analizza. Per esempio, in Francia è molto tutelato, ha una storia molto più lunga, in Italia non siamo considerati. Il nostro circo contemporaneo in chapiteau (questo è il nome con il quale si indica il tendone per il circo) non ha come modello il Cirque du Soleil. Il paragone fra noi e loro è come fra un artigiano e una grande industria. Anche il tipo di emozione sulla quale lavorano le due realtà è differente: il grande circo si basa su un grande dispendio di forze, su grandi investimenti e, in generale, su un grande contesto al costo di una maggiore freddezza; il piccolo tendone da duecento posti cura molto di più il contatto con le persone, lavora su un’emozione diretta senza grandi artifici, si basa sulle tecniche della giocoleria, della teatralità e della drammaturgia.
Quindi anche economicamente non correte lo stesso rischio?
Anche a livello economico il Cirque du Soleil non è assolutamente il nostro modello. Come un’industria, loro hanno grandi costi e in un momento in cui si ferma la macchina entra in crisi tutto il sistema. Penso che i proprietari certamente non falliranno, ma la società probabilmente sì, anche se in seguito potrebbe rinascere sotto altra forma. Nel nostro caso è una questione di resilienza a livello personale: se non lavoriamo non mangiamo. Poi il tendone è lì, fermo per un anno. In qualche modo si dovrà ripartire. Noi abbiamo la fortuna di essere una comunità. Per meglio dire, il circo stesso è una comunità di artisti, ma il Forum è una comunità di circhi. Avremo la forza di trovare delle forme di solidarietà, di collaborazione reciproca, su questo non ho dubbi.
L’emergenza Covid-19 ha coinvolto, insieme agli altri eventi, anche il festival dell’associazione Forum Nuovi Circhi, Città di Circo, che è stato rinviato a data da definirsi. Quando verrà autorizzata la ripresa degli spettacoli dal vivo, come pensate di ripartire? Avete già un accordo di massima con il Comune di Bologna?
Il Comune di Bologna ha sempre sostenuto il movimento del circo contemporaneo in chapiteau. Il Comune ha praticamente permesso di nascere al movimento dandogli ospitalità, per cui non sussisterà un problema nel momento in cui noi saremo pronti e i decreti ci permetteranno di lavorare. Dovremo capire com’è la situazione, capire artisticamente ed economicamente come raggiungere un accordo, ma non ci saranno problemi da questo punto di vista. Il problema, in generale, è che non si sa cosa accadrà e come potremo ripartire perché il circo in chapiteau non può permettersi di tenere le persone a due metri di distanza. Fare spettacolo rischierebbe di diventare antieconomico, come già lo è restare fermi un anno. Inoltre, lavorare con poche persone farebbe perdere quell’atmosfera che è il motore trainante dello spettacolo dal vivo.
Lei è Direttore artistico anche di altri festival di circo contemporaneo, come Lonato in Festival; come influirà sull’organizzazione di festival di questo tipo l’attuale instabilità emergenziale? Come immagina i festival dopo il Covid-19?
Onestamente faccio molta fatica a immaginare un possibile futuro in questo momento, sempre per gli stessi motivi. Non conosciamo le condizioni alle quali dovranno sottostare realtà come Lonato in Festival, che non è uno dei festival più grandi, ma non è nemmeno fra i più piccoli. Chi è già stato a questo festival sa che per godere degli spettacoli nelle varie postazioni si crea un gruppo di spettatori attorno. Questa aggregazione è necessaria sia per creare la giusta atmosfera, sia per caricare l’artista: è la magia di questo genere di festival. Anche in questo caso, tutto è molto legato ai decreti che usciranno e anche alla tempistica: se, per esempio, uscisse un decreto a fine giugno si potrebbe anche provare a lavorare per un festival nei primi giorni di agosto, ma non sarebbe facile. Non ci si può impegnare, è una situazione anomala che va misurata un passo alla volta. La principale preoccupazione è che non ci siano le condizioni per poterlo fare, anche volendo e facendo tutto il lavoro in poco tempo. Forse le imposizioni e le restrizioni che verranno imposte ci costringeranno a rinviare di un anno. La prospettiva è abbastanza triste da vari punti di vista, un po’ perché la gente si aspetta questi festival, un po’ perché è il nostro lavoro. Questa situazione, in definitiva, sconvolgerebbe il nostro stile di vita. Noi siamo un festival estivo e l’estate viene una volta l’anno. Sentendo alcune realtà a livello nazionale, in molti hanno rinviato a settembre-ottobre, ma non sappiamo se si potrà fare attività. E poi cosa succederà se tutti i festival verranno rinviati ad autunno? C’è chi ha dei contributi ministeriali, a livello locale o regionale, e quindi vorrebbe spendere quei soldi perché ne va del lavoro degli artisti e del sostentamento delle proprie strutture. L’obiettivo è di non perdere tutto questo, però sarà un caos. Sta emergendo anche la tendenza di far lavorare nei festival artisti italiani. È una scelta sia etica (sostenere gli artisti italiani) che pratica, a causa delle complicazioni nel far arrivare degli artisti dall’estero per via delle quarantene, dalle difficoltà di varia natura e dell’immagine dell’Italia vista come “paese untore”, un’immagine che non corrisponde alla realtà, ma che influisce sulla decisione di molti artisti che potrebbero venire, ma non vogliono.
Quindi questa situazione rischia di cambiare le future scelte artistiche?
Sicuramente i festival, qualora vengano organizzati, ne risentiranno anche artisticamente. Questo non vuol dire che saranno brutti, ci sono artisti italiani bravi, ma sicuramente il panorama globale artistico verrà ridimensionato. Ha un senso questa scelta, se nessuno li aiuta saremo noi a supportare gli artisti italiani. Sarà una situazione difficile perché se tutti rimandano allo stesso periodo sarà difficile trovare artisti liberi. Ma sono tutte ipotesi. Molti decideranno di rinviare di un anno, perché non ha senso spendere tutto quello che serve per l’organizzazione non potendo accogliere tutto il pubblico che normalmente ci si aspetta e che ti garantisce una buona parte d’incasso. In questa situazione si rischia di rimetterci economicamente e non è consigliabile, già è grave di per sé.