Dall’inizio della pandemia da Covid-19 la discussione si è ampiamente concentrata sulla prossimità come elemento caratterizzante e improvvisamente problematico della produzione e della fruizione dello spettacolo dal vivo, che oltre al pericolo della malattia subisce i principi cardine della ripresa: distanziamento fisico e utilizzo di dispositivi di protezione ne modificano lo statuto. Il teatro trasmesso, o ritrasmesso come utile forma di conoscenza, non è che non vada bene, ma è altra cosa – si pensi come la paventata piattaforma “Netflix della cultura” eluda interi comparti di tecnici dello spettacolo nonché la sua specificità comunicativa –. Il ripensamento teorico e progettuale dei momenti di crisi obbedisce al principio della sopravvivenza connaturato alla cultura teatrale e pure alla tendenza di auto-osservazione vivace – quanto esclusiva – che caratterizza il settore, mentre la gestione immediata e pratica dell’emergenza privilegia gli interventi di sostegno, integrando, in buona sostanza, le risorse statali e da fondi emergenziali e da finanziamenti a valere sul FUS.
Per le realtà non interessate dai contributi FUS nell’anno 2019, la Direzione Generale dello Spettacolo, su Decreto del MiBACT del 23/04/2020, ha emesso l’avviso per l’assegnazione e l’erogazione di 20 milioni di euro dai fondi per le emergenze di spettacolo e cinema (130 milioni) stabiliti dal decreto “Cura Italia” del 17 marzo. Sono ammessi alla domanda soggetti con un minimo di 15 rappresentazioni tra il 1° gennaio 2019 e il 29 febbraio 2020 e contributi previdenziali per almeno 45 giornate lavorative, oppure di 10 rappresentazioni ospitate.
Nella serata del 13/05/2020 il Cdm ha approvato il Decreto Rilancio e il Presidente del Consiglio, in conferenza stampa ha citato la Cultura tra le priorità del Paese, per la prima volta dall’inizio dell’emergenza: il Decreto conferma l’indennità di 600 euro (aprile-maggio 2020) per i lavoratori dello spettacolo con reddito fino a 35mila e 50mila euro riducendo il numero minimo di giornate lavorative a sette, una dotazione di 50 milioni di euro da un fondo cultura per il 2020 che prevede la possibilità dell’apporto di finanziamenti privati e «sconti fiscali per ristoranti e anche teatri che dovranno adattare alla normativa anti-Covid le loro strutture».
Per il dettaglio sui fondi per lo spettacolo dal vivo, si attende il testo ufficiale non ancora disponibile dal Governo, ma in un’ultima bozza di poco precedente alla conferenza (qui tratta dal sito dell’AgCult, ma rilanciata da più organi di stampa) si legge:
- incremento del Fondo emergenziale per spettacolo, cinema e audiovisivo di 245 milioni di euro per il 2020 (145 milioni per la parte corrente e 100 milioni per gli interventi in conto capitale);
- ipotesi di anticipo del contributo FUS per gli organismi diversi dalle fondazioni lirico sinfoniche pari all’80% dell’importo per il 2019. Le modalità d’erogazione della restante quota sono rimandate a successivi decreti ministeriali, in considerazione delle attività svolte (non-svolte) nell’anno e della tutela dell’occupazione e della riprogrammazione. Si parla anche di erogazione di contributi per il 2021, in deroga alla durata triennale, sulla base delle attività effettivamente rendicontate nel 2020. Inoltre, le risorse possono essere utilizzate per integrare le misure di sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti per il periodo di ridotta attività e in misura non superiore alla parte fissa della retribuzione erogata prevista dalla contrattazione collettiva nazionale.
- L’Art Bonus si allarga alle società concertistiche corali, ai circhi e agli spettacoli viaggianti;
- Si estende a 18 mesi il termine per usufruire dei voucher per gli spettacoli cancellati, che possono essere emessi fino al 30 settembre 2020.
- Si estende ad ulteriori nove settimane di trattamento ordinario di integrazione salariale anche continuative per i lavoratori dipendenti, fino al 31 ottobre.
Anche in base ai pochi dati annunciati, la perdita che gli organismi e i lavoratori affrontano in emergenza richiede l’assegnazione di risorse straordinarie, ma con criteri che non si discostano dalla sovvenzione del debito usuale ad un settore considerato “improduttivo”, secondo i canoni d’impresa, e la specificità della professione resta trascurata. Se i numeri danno respiro per le spese immediate e si occupano dell’incertezza, come farle bastare per la ri-progettazione di un modello produttivo? Rimane così un problema di specificità che emerge anche dai criteri di sicurezza abbozzati nel Verbale del Comitato Tecnico Scientifico del 06/05/2020 per eventuale riapertura ad inizio giugno di sale teatrali all’aperto o al chiuso. Distanziamento di almeno 1 metro, accesso contingentato, dispositivi di sicurezza (gel e mascherine) se attuabili dal punto di vista organizzativo, sono impraticabili per gli artisti e riducono gli spettatori, con la generalità di una prospettiva lontana dalla pratica, che necessita di una revisione condivisa con le parti in causa e che, per ora, sancisce solo uno stato di crisi. Se il motore non è in condizioni di ripartire, l’emergenza diventa perenne o la spinta sull’acceleratore produttivo controproducente, soprattutto quando costringe a dimezzare e trascurare le risorse umane.
La corsa agli aiuti prosegue, ma manca il terreno sotto i piedi. Se le piccole realtà possono aspirare ad una considerazione, essa ne intercetta certo la condizione di minoranza, più che indagarne la particolarità dell’offerta artistica, molto spesso legata a dimensioni locali, territoriali.
Fermo restando che senza risorse non si può né vivere né cambiare, il punto resta: come e perché lo spettacolo dal vivo deve salvarsi? Perché i suoi lavoratori necessitano di garanzie ad hoc totalmente ignorate dal “modello italiano”? Le contestate parole del Presidente del Consiglio su «i nostri artisti che ci fanno tanto divertire e ci fanno tanto appassionare» forse riflettono un immaginario per cui lo spettacolo resta accessorio, cioè di intrattenimento (anche il divertimento sembra essere delegato ad altre attività). Per corrispondere, anche nella crisi, a logiche incompatibili con la sua dimensione di piccola scala, di vicinanza, di eccezionalità si deve contrattare il proprio reale valore, senza magari ricavarne peso contrattuale, oppure ragionare in perdita. Tutto d’un tratto, lo stato di necessità, pur elevato al quadrato, basta a far percepire l’azione trasformatrice del teatro un bene essenziale su larga scala? La comicità è propria del commediante, ma nella sua funzione sociale e umana che, in questa immobilità, spingerebbe a rivalutare la reale fruizione della sua arte, ragionando su modelli di partecipazione, ancor prima che di produttività e consumo.