Può capitare a tutti di trovarsi in difficoltà, trovarsi davanti un ostacolo e non sapere come superarlo; di arrovellarsi, impuntarsi sullo stesso punto perché una soluzione ci deve essere, c’è sempre. Poi scatta qualcosa, si accende qualcosa dentro di noi che permette di risolvere il problema, con semplicità. Molte volte, questa semplicità sorprende e fa sorridere; altre volte, come chiave di lettura, è necessario adottare un po’ di umiltà per comprenderla. La Compagnia Sclapaduris ha saputo essere tanto umile da riuscire a trovare la sua semplice soluzione. Attenti al Loop è il titolo della pièce di quaranta minuti presentata al festival di Dominio Pubblico nella sua ultima serata.
Attenti al Loop racconta la tradizionale favola di Cappuccetto Rosso da vari punti di vista, analizzando le scelte e le ragioni sia dei personaggi principali che di quelli meno importanti – come la mamma di Cappuccetto. Uno spettacolo che unisce varie tecniche di recitazione: la compagnia si diverte attraverso giochi d’ombra, la pantomima e la lettura, variando molto nella coordinazione, nella musica e nel ritmo, realizzati attraverso l’uso di oggetti quotidiani, come i guanti chirurgici che gli attori indossano. Si gioca e ci si diverte tutti insieme, compagnia e spettatori. Non solo il racconto che si narra è semplice, ma anche l’attrezzeria, i costumi e la scenografia lo sono. Tutto è perfettamente bilanciato per divertirsi con poco.
Lo spettacolo è in realtà un esercizio di stile che prevede l’improvvisazione su una favola tradizionale: a turno, ogni attore è invitato a dare il proprio contributo con una parte di racconto da lui improvvisata, mentre gli altri devono dare vita alle parole del compagno con una pantomima, dei suoni, delle rappresentazioni simboliche di ciò che viene descritto. L’ordine di chi parla è casuale così come gli elementi della favola, i quali cambiano ad ogni singolo intervento, fornendo una versione rivisitata della fiaba originale. La Compagnia Sclapaduris decide di fissare un percorso che non rivoluzioni la storia nota a tutti, ma di analizzarla e riempirla di tutte quelle parti solitamente lasciate alla fantasia di chi ascolta. Nel lavoro drammaturgico, vediamo l’intima immaginazione del gruppo che arricchisce l’ossatura della favola. La messinscena mette in mostra gli attori che la abitano, i quali si dimostrano capaci di passare da una forma di racconto all’altra senza mai perdere quella “serietà demenziale” che caratterizza tutto lo spettacolo.
È negativo se si usa il verbo “giocare” per indicare l’attività teatrale di un attore? È negativo che si divertano? È negativo se il loro spettacolo è in realtà un esercizio di stile? La risposta è semplice: no. Permettere a questo tipo di messinscene di rientrare nella definizione occidentale di spettacolo può solo che arricchire i nostri orizzonti. Si tratta di uno spettacolo sincero: gli attori hanno deciso di portare in scena qualcosa che ha fatto parte delle loro vite, che hanno condiviso e che hanno creato insieme. È umile, perché sono giovani attori sostenuti dalla loro scuola, la Civica Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe, che non si aspettano di rivoluzionare subito il teatro, ma si presentano a questo mondo con il loro modesto contributo. È divertente e ben studiato. Questa coerenza di base la ritroviamo anche nella scelta della durata dello spettacolo: quaranta minuti, non di più, perché non servono. Semplice, proprio perché ciò che non serve, non c’è.