Nella folla di figure legate al mito che popolano questo nostro Occidente, molte se ne posso incontrare sotto mentite spoglie, vive a dispetto del tempo. Nelle strade di una qualche periferia, forse inglese o forse no, un ragazzo si aggira nel bosco della sua adolescenza, una giovane donna rincorre l’amore su un marciapiede, un uomo stanco sopravvive nel grigiore quotidiano. In loro Kae Tempest, poeta-cantante inglese, riconosce un pezzo grosso della mitologia greca: Tiresia. Della nota vicenda di questo personaggio – divenuto cieco per rabbia di Era, e indovino per dono di Zeus – Tempest mette a fuoco il suo aver vissuto da uomo e da donna (e di nuovo uomo) e l’aver sperimentato il piacere del corpo di entrambi i sessi, prima della vecchiaia, prima della cecità, prima della chiaroveggenza. Ed ecco che fa di un adolescente, di una giovane e di un uomo stanco, i tratti di un’unica vita in perenne trasformazione. Le pagine tenere e dense di inquietudine di questo Tiresias, (tradotte da Riccardo Duranti) sono state messe in scena da Giorgina Pi – che ancora torna alla drammaturgia di Tempest – al Teatro Angelo Mai di Roma. Tra vinili e microfoni, Tiresia ricostruisce il suo vissuto, e raccontando rivive le sue vite di uomo e di donna, l’esplosione del suo corpo, gli spasmi di intensi piaceri e dolori. L’impianto scenico di Giorgina Pi è essenziale, le luci sono poche, usate al meglio, con capacità evocativa, la regia accompagna con discrezione, senza inutili orpelli, Gabriele Portoghese, solo in scena, disarmante nella semplicità, corpo e voce di un Tiresia che parla di sé in terza persona, indossa jeans e maglietta – con su scritto χορεύσομεν, un futuro “danzeremo” che tanto ricorda Le Baccanti – e narra, con un certo candore, di trasformazioni, di desideri, di smarrimenti e continui nuovi inizi, di «serpi, sesso e innocenza». E il suo dire è fluido, ma non privo di insoliti accenti, scivola in toni che a volte sanno di ubriachezza leggera, come di chi è frastornato, sbattuto da un lato e dall’altro dalle cose della vita.
Da qualche mese Tempest ha comunicato attraverso i suoi canali social un importante cambiamento: da Kate a Kae, da she a they, affermando la propria identità di genere non binario (genderqueer). Ecco che in Tiresias, nell’inquieta giovinezza, nel terrore e nella meraviglia delle trasformazioni, il racconto assume i contorni di una lotta personale, combattuta con le antiche e affilate armi del mito. Nel dire lotta, non si intende una lotta di genere, ma una lotta di essere. Essere e restare te stesso, «in ogni te stesso che sei stato». E dunque Tiresia, che nell’immaginario di ognuno è l’indovino cieco le cui profezie scuotono gli uomini di potere, diventa qui paradigma del complesso concetto di identità.
L’identità non è certo solo un fatto di genere, ma la “questione di genere” è sempre calda, problematica, affrontata non di rado con toni forti, arrabbiati. Ebbene, Tempest la affronta senza bisogno di dichiararlo. In questo il testo ha la sua maggiore efficacia, nel lasciare che il tema affiori da solo, con naturalezza, nell’essere privo di intenti psicanalitici – per la verità, chi non conosce la sua vicenda personale potrebbe non cogliere alcuna corrispondenza –, nel saper essere intimo e universale, urbano e mitico, nel saper adoperare un linguaggio crudo e lirico allo stesso tempo. Kae Tempest ha qualcosa da dire, non v’è dubbio: si può affermare con decisione ma senza arroganza, si può parlare inglese e pensare greco, si può essere ciechi e vedere l’invisibile, si può essere uomo e donna. Forse non possiamo più semplificare, non più distogliere lo sguardo dalla complessità dell’Uomo. E, soprattutto, bisogna essere all’altezza di questa complessità.
Gli applausi commossi si sono consumati su una canzone-manifesto di Tempest e di Tiresias: Hold your own. Andando via, un pensiero: restare se stessi è una lotta silenziosa. E il pubblico che si siede in sala, con mascherina e distanze, in questo momento di cambiamenti, il pubblico che non rinuncia all’incontro, dichiara il proprio sforzo, dichiara di voler restare comunità, per poter restare se stesso.
TIRESIAS
un progetto di BLUEMOTION
da Hold your own/resta te stessa di Kate Tempest
traduzione di Riccardo Duranti
regia Giorgina Pi
con Gabriele Portoghese
dimensione sonora Collettivo Angelo Mai
bagliori Maria Vittoria Tessitore
echi Vasilis Dramountanis
costumi Sandra Cardini
luci Andrea Gallo
direzione di produzione Alessia Esposito
comunicazione Benedetta Boggio
una produzione 369gradi/Angelo Mai/Bluemotion
ringraziamo il Comune di Ventotene, Massimo Fusillo, Cecilia Raparelli, e la Terrazza Paradiso per la collaborazione e il sostegno
Foto di copertina: Simone Cecchetti