Se il corpo è ed è stato in ogni tempo soggetto di discussione privilegiato, costantemente ghettizzato o liberato a seconda dei contesti, adesso in pieni tempi di seconda ondata da epidemia di Covid-19 è di nuovo il corpo e la vicinanza fra corpi a essere negata, rendendo impossibile anche solamente iniziare un discorso senza chiamarli in causa. Alla luce di quella che non può che essere una mancanza necessaria in questo momento, il teatro ha ancora la possibilità di essere quel luogo altro in cui il corpo ritrova la sua libertà, il dialogo, l’incontro, la vicinanza, il rispetto e la conoscenza, nel segno della resistenza endemica che caratterizza anche l’arte teatrale. Mettendo l’accento su qualcosa che già era, l’evento spettacolare, l’opera, i festival, gli studi e i processi possono permettere a oggi, nel regno del divieto, di partecipare e abitare luoghi in cui, con tutte le misure e le accortezze del caso, quel negato diventa ancora possibile.
Fra democrazia dei corpi e libertinaggio si muovono due lavori presentati nelle prime settimane di ottobre nelle sale del Teatro India, ossia Pezzi anatomici del gruppo MK, progetto coreografico di Michele Di Stefano, e La filosofia nel boudoir con la regia e la drammaturgia di Fabio Condemi. Presentati negli stessi spazi in cui hanno avuto origine, questi spettacoli rientrano nel progetto Oceano Indiano per la residenza e la produzione di artisti a opera del Teatro di Roma, in cui sono state ospitate anche le compagnie romane DOM-, Industria Indipendente e Muta Imago, con un percorso che «proseguirà la propria abitazione del Teatro India con progetti radiofonici, momenti di apertura e di affaccio sui processi creativi, un programma immaginato per il pubblico, continuando a dare corpo a un’idea di produzione artistica espansa e plurale, intrinsecamente collegata tra dentro e fuori il teatro», in un periodo in cui il sostegno è quanto mai necessario e in cui, fra l’altro, il teatro sembra essere uno dei posti più sicuri in cui stare.
Rompendo la distinzione fra il luogo della sala prove e quello dello spazio scenico, Michele Di Stefano propone i suoi Pezzi anatomici come territorio che non prevede confini fra sperimentazione e realizzazione, fra formati e contaminazioni, mettendo alla prova i suoi interpreti in una serie di intrecci che basano la loro struttura sull’incontro con l’altro, l’inaspettato, l’ascolto e la reazione, con un cast variabile che dal 6 al 10 ottobre ha visto in scena Philippe Barbut, Biagio Caravano, Francesco Saverio Cavaliere, Marta Ciappina, Andrea Dionisi, Sebastiano Geronimo, Luciano Ariel Lanza, Giovanni Leone, Flora Orciari, Laura Scarpini, Loredana Tarnovschi e Francesca Ugolini.

Strutturare il proprio ritmo sull’incontro, cercare una qualità che appartiene al singolo e che viene allo stesso tempo determinata dagli aspetti circostanti sono le principali qualità prensili del progetto del gruppo MK, dove si riceve dall’Altro, dal luogo e dalla circostanza per restituirsi in un flusso continuo di andirivieni di corpi in movimento. In un ambiente dal carattere museale, che per quattro ore permetteva al pubblico l’ingresso e l’uscita in assoluta libertà, Michele Di Stefano sottolinea il carattere di ricerca del suo lavoro prendendo in prestito un termine del campo medico che descriveva gli antichi luoghi di studio dei praticanti negli ospedali, ovvero il gabinetto anatomico rinascimentale. Questo aspetto viene alla luce anche nella dinamica che il coreografo instaura con i suoi performer, non solo cambiando la traccia sonora o il disegno luminoso nel corso dell’esibizione, ma anche lanciando delle frasi come «l’oblio più ricorrente è quello del possibile» oppure «la gente è il flusso del possibile» o ancora fermando completamente l’azione e rivolgendosi direttamente a tutta la sala presente. Alcuni momenti di esitazione, fisiologici per l’azione ricercata, portano alle volte al manifestarsi di quel flusso, al far apparire e trascinare fugacemente lo spazio che lo ospita, condensandosi per poi dissolversi, alternando unioni e divisioni di entità gestuali che si ripetono attraverso declinazioni differenti.
Sul versante del libertinaggio dei corpi troviamo la nuova proposta di Fabio Condemi, che dall’1 all’11 ottobre ha portato in scena la sua lettura de La filosofia nel boudoir coniugando il celebre dialogo del Marchese de Sade in cinque lezioni che vanno dai principi della masturbazione, alle stereotipate figure di nudi femminili nelle arti visive, al rapporto essere umano-natura, moralità e omicidio, fino a ricalcare la domanda di Simone de Beauvoir: «Dobbiamo bruciare Sade?».
In una scenografia mobile che a volte cela e altre rivela, con pannelli che fungono da lavagna per le lezioni oppure su cui scorrono delle videoproiezioni, i precettori immorali incarnati dai personaggi di Madame de Saint-Ange e Dolmancé (rispettivamente Elena Rivoltini e Gabriele Portoghese) smontano un tassello alla volta tutti quei principi etici e morali su cui la società mantiene la sua istanza, mostrando alla giovane Eugénie (Carolina Ellero) il carattere effimero di ogni limite imposto. Con l’aiuto di Augustin, strumento di piacere vigoroso e aitante interpretato da Marco Fasciana, i dettami del libertinaggio si rivelano alla fanciulla apprendista andando a scardinare, un orgasmo dopo l’altro, i codici di condotta, le regole della religione, la virtù come compassione o umiltà, fino a toccare le estreme conseguenze che si manifestano con violenza radicale sulla scena.
Esasperando il concetto di libertà, travalicando i confini dell’indipendenza e della dissolutezza sessuale, Fabio Condemi e il suo notevole cast arrivano a mettere l’accento sui meccanismi viziati della società contemporanea, sul nostro attuale concetto di morale e sul dilagante nichilismo che come uno stampo di fabbrica dà forma a ogni individuo. Ed è proprio qui che La filosofia nel boudoir incontra il presente, nel mostrare come un contraccolpo l’altra faccia della libertà estremizzata, l’individualismo che tutto può giustificare, passando dalla rottura dei freni inibitori imposti dalla società e dalla religione fino al poter legittimare persino l’omicidio per bieco piacere. Così si concludono gli insegnamenti, con l’ingresso della madre di Eugénie (interpretata da Candida Nieri) e l’inevitabile massacro finale.
Ai grandi bisogna ricordare che sono ancora liberi, ai giovani si ammonisce ogni scelta libera come errata, ma la libertà non è di qualcuno e come una terapia d’urto lo spettacolo di Condemi mostra senza alcun velo cosa succede quando la libertà di una persona non finisce dove inizia quella di un’altra.
Pezzi anatomici
uno stato eternamente nascente
mk
cast variabile, con Philippe Barbut, Biagio Caravano
Francesco Saverio Cavaliere, Marta Ciappina, Andrea Dionisi
Sebastiano Geronimo, Luciano Ariel Lanza, Giovanni Leone
Laura Scarpini, Loredana Tarnovschi, Francesca Ugolini
progetto e coreografia Michele Di Stefano
coproduzione mk/KLM e Teatro di Roma – Teatro Nazionale
con il contributo della Regione Lazio – Assessorato alla Cultura e Politiche Giovanili
Ph. Andrea Macchia
La filosofia nel boudoir
di D.A.F. De Sade
traduzione e adattamento di Fabio Condemi
regia e drammaturgia di Fabio Condemi
drammaturgia dell’immagine, dispositivo visivo e costumi di Fabio Cherstich
sound designer Igor Renzetti
light designer Camilla Piccioni
con Carolina Ellero, Marco Fasciana, Candida Nieri, Gabriele Portoghese, Elena Rivoltini
assistente ai costumi Marta Montevecchi
composizioni vocali Elena Rivoltini
assistente alla regia Marco Fasciana
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale e Teatro Piemonte Europa
Ph. Futura Tittaferrante