La ruvida poesia di uno Scannasurice

Ha girato a lungo, cinque anni in Italia e all’estero, “l’ammazzatopi”, e ripassa, ora, da Roma. In testa una calza e indosso una pelliccia, il volto truccato, il corpo stanco e vivo, la voce limpida e segnata, parla un napoletano antico, denso, a tratti incomprensibile: il premiato e apprezzatissimo Scannasurice, dell’autore (e poeta) napoletano Enzo Moscato, interpretato da Imma Villa con la regia di Carlo Cerciello, torna a Roma al Teatro Vascello.

Se è vero ciò che dice il filosofo coreano Byung Chul-Han, che «La levigatezza è il segno distintivo del nostro tempo» e che questa levigatezza cancella ogni traccia di profondità, è vero anche che Scannasurice è un esempio di quella profondità misteriosa e abissale che toglie lo smalto e preserva la bellezza. E negli abissi si muove, il femminiello ammazzatopi, vive in cunicoli che si intuisce essere (forse) loculi vacanti, in una dimensione letteralmente sub-urbana, precaria, sudicia, di una Napoli senza tempo.

Molti erano i senza casa negli anni ‘80, subito dopo il tragico terremoto dell’Irpinia, quando Moscato partorì questo testo che è un ribollire continuo, come la caffettiera sul fuoco, come il Vesuvio silenzioso. Ribollire di inquietudine, di energia, di vita tormentata e ostinata. Imma Villa fa scorrere un fiume parole veloci, non una sfumatura si perde, di quella lingua che scopre un’immagine dietro l’altra, vive di figure leggendarie e uomini “terra terra”. Racconta i fantasmi e le ambiguità del mondo in cui vive, nascosti in aneddoti apparentemente casuali, campa sul marciapiede, è maschio e femmina, è madonna incorniciata e ammantata nella bandiera del Napoli, parla coi topi, litiga coi topi, ne conosce la «razza», la genealogia. Tutto questo terremoto di contraddizioni, che è Napoli, sentimento e “fetenzia”, sembra scorrere nelle vene e sotto la pelle dell’attrice che dà prova di grandezza.

Le scene, di Roberto Crea, sono chiaramente underground, scheletro della città, illuminate, da Cesare Accetta, con lame di luce, ferite aperte. I costumi di Daniela Ciancio, sono connotativi ma non eccessivi. Tutta la messinscena ha un che di non definitivo, di ambiguo, di aperto. Una fessura che dà spazio a un’amarezza, dopo il riso: quante vite senza casa ai margini delle nostre città, guardate con lo stesso distacco, oserei dire disgusto, che suscitano i topi? Quale terremoto ha sconquassato la loro vita e li ha resi, essi stessi, macerie? In questa dimensione il femminiello di Moscato, figura tipica della tradizione campana, non è un fatto meramente sessuale, è un’identità a metà, grezza, non levigata, per insistere. Pur nella distanza emotiva garantita dalla cifra espressiva scelta, che gioca sull’ambiguità e l’eccesso, non certo sulla ricerca di un naturalismo, la ruvida scorza di questo Scannasurice, scuote, turba, esalta e diverte. Gli applausi della platea commossa (e distanziata) del Vascello sono stati lunghi e partecipati.  

Foto di Tommaso Le Pera

SCANNASURICE

di Enzo Moscato
regia Carlo Cerciello
con Imma Villa

scene Roberto Crea
costumi Daniela Ciancio
suono Hubert Westkemper
musiche originali Paolo Coletta
disegno luci Cesare Accetta

produzione Elledieffe, Teatro Elicantropo

Premio Mario Mieli 2018 ad Imma Villa come Miglior interprete
Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2017 ad Imma Villa come Miglior interprete di monologo
Premio della Critica (A.N. C. T.) 2015 come Miglior spettacolo
Premio Annibale Ruccello 2015

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