Ormai da un mese davanti alla maggiore istituzione teatrale della capitale, il Teatro Argentina, è in atto una protesta permanente da parte di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo. Trentasei giorni, per l’esattezza. La cosa non è stata oggetto di particolare attenzione, non ha fatto notizia. Forse per mancanza di tafferugli. Certo è che il fatto dà la misura esatta della pressione che esercita il comparto “spettacolo dal vivo” sulla classe politica.
La cosa, del tutto prevedibile e amaramente scontata, suscita una serie di punti interrogativi, tanto per cambiare, circa l’operato del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Volendo sorvolare sui massimi sistemi, è notizia di qualche giorno fa, che il ministro Dario Franceschini, insieme a Cassa Depositi e Prestiti, abbiano stanziato 19 milioni di euro destinati a una piattaforma simil-Netflix. L’idea della suddetta piattaforma, in circolo dal mese di aprile circa, nasceva dall’esigenza di un mezzo che concedesse allo spettacolo dal vivo di resistere alla quarantena, al lockdown, alla pandemia. Ora, l’emergenza sanitaria è tutt’altro che finita, ma certo tutti noi abbiamo bisogno di pensare che il peggio sia passato, che arriverà un vaccino, che questa condizione di coprifuoco e distanziamenti stia per finire. O, se così non è, è bene che qualcuno lo dica chiaramente. Altrimenti non si spiega perché, invece di progettare il teatro in presenza, il nostro ministro si sia seduto attorno a un tavolo per ragionare di teatro in streaming. Mentre al centro di Roma una rappresentanza, ristretta ma testarda, porta avanti delle istanze che quello stesso ministro dovrebbe, se non altro, ascoltare. Come se i ristoratori protestassero in piazza e il ministro di competenza si occupasse di un nuovo Just Eat.
Ma finché c’è piazza c’è speranza.
Per questo abbiamo incontrato Barbara Folchitto, attrice in prima linea dei Presidi Culturali Permanenti, per sapere di più su cosa avviene a Largo di Torre Argentina.
Che cosa è Presidi Culturali Permanenti?
Il presidio è nato spontaneamente dopo il DPCM del 25 ottobre da una chat di Attori e Attrici Uniti (A2U). Ci siamo dati appuntamento a Largo di Torre Argentina per chiedere di tornare a lavorare nel rispetto dei protocolli sanitari, o che ci venissero dati dei sussidi per l’intera stagione sospesa. Tutto questo ci serviva per non sparire. Quale posto migliore del Teatro Argentina, che è il simbolo culturale pubblico della città? Eravamo alle soglie della manifestazione nazionale del 30 ottobre a Montecitorio. Quella piazza è stata bellissima, però non è accaduto nulla dopo. Perciò, fatta la manifestazione, abbiamo deciso di continuare, inizialmente di giorno in giorno in modo spontaneo. A un certo punto abbiamo deciso di mettere ordine alle idee e stilare una proposta per un programma di formazione retribuita e permanente (sul modello di altri Paesi europei). Il documento tratta di formazione per professionisti di tutto il comparto, da tecnici a drammaturghi, ad attori. Con la possibilità di estendere il percorso al pubblico, al cittadino, quest’ultimo chiaramente non retribuito.
Avete ricevuto dei riscontri in merito?
Il nostro documento è arrivato a chi volevamo che lo leggesse, nostro principale interlocutore è la Regione, dal momento che sono le Regioni a erogare fondi per la formazione. E al 35esimo giorno siamo riusciti ad ottenere un appuntamento per la prossima settimana. Nessuno grida al miracolo, ma noi crediamo che l’idea oltre a essere bella sia fattibile. Forse succederà qualcosa, sicuramente sta succedendo a noi. Non siamo in attesa di un bonus, di un ristoro. Chiediamo e speriamo di poter stare a fianco della politica.
Quali sono i vostri programmi futuri?
Continuare col presidio, perché ci piace. Perché ci scambiamo idee, parliamo tra di noi, sentiamo di fare qualcosa di valido e condivisibile. Perché il confronto è continuo e orizzontale con ogni parte della “fabbrica” del teatro, non solo con chi si occupa della componente strettamente artistica. Perché la continuità, questa goccia cinese che scava la roccia, può diventare un fatto. Noi continuiamo a condividere contenuti e interrogarci. Stiamo lì, fermi con i nostri cartellini. Stiamo: stare per diventare qualcosa.