Massimiliano Civica, per un teatro necessario

Procede il ciclo di incontri online nell’ambito del progetto Sapienza Per un teatro necessario. Il 9 dicembre Guido Di Palma e Andrea Porcheddu si son dati appuntamento virtuale con Massimiliano Civica.

Civica gode di un talento (tra i tanti): è in grado, come Porcheddu sottolinea, di provocare con pacatezza e garbo, come fosse immune da passioni, essendo invece animato da una passione che non si consuma in vampate, ma è fuoco costante. E dunque «il teatro non c’entra nulla con l’opera d’arte» è la prima istigazione a riflettere, giacché «il teatro è il teatro», continua. Sembrano paradossali massimi sistemi, è invece un fatto tutto di concretezza. Il teatro per Civica è una cosa più simile al rito, o al basket, è un gioco al cui centro sta l’attore, che per un buffo lapsus Civica più volte chiama autore. Massimiliano Civica è un regista che, ha bisogno di tempo. Un tempo per tradurre o lavorare ai testi (anche anni, se necessario), un tempo per “torturare” gli attori con la memoria, un tempo necessario perché gli attori trovino un certo agio e una certa libertà. Questo tempo di gestazione lungo – lungo per i tempi striminziti in cui si fa il teatro oggi, certo non in assoluto – è compensato dalla fiducia con cui consegna lo spettacolo agli attori, senza affezionarsi alla paternità. Non gli importa di essere tradito nelle intenzioni comunicative, non interessa a lui la “restituzione” del suo punto di vista, ma la condivisione. Gli importa che sia autentica la relazione che fa accadere il teatro e riesce a sospendere il tempo. Con questo obiettivo scegli i testi su cui lavorare, si muove tra drammaturgia contemporanea e classici greci, giacché «nei fatti umani non c’è progresso, ma solo evoluzione», dice, «i sentimenti sono sempre gli stessi. […] È l’eterno contemporaneo dell’essere umano: morte, amore, amicizia, dolore». I nodi mai sciolti dell’uomo sono, per lui, la chiave per entrare in relazione col pubblico, per dar vita a quello che definisce un «teatro d’arte popolare».

Oltre a essere un regista, Civica è anche uno sperimentatore che si muove all’interno dell’istituzione, direttore artistico del Teatro della Tosse tra il 2007 e il 2010, consulente artistico, ora, del Teatro Metastasio di Prato. Non si può quindi non passare sui carboni ardenti, la questione bruciante che l’emergenza sanitaria ha acceso più che mai: le contraddizioni del sistema teatrale italiano.

Fin dalla chiusura di marzo, Civica ha preso parte alla discussione, sui social e non solo, (mi torna in mente il suo intervento su Doppiozero a riguardo, alla vigilia della riapertura estiva) e anche qui, con il garbo e la pacatezza di cui sopra, sottolinea come l’autoconservazione del teatro italiano riguardi soltanto i numeri, il mina la funzione del teatro pubblico. Ma la struttura-teatro non può prescindere da un aspetto economico e quindi «finché non si troverà un sistema che renda economicamente conveniente assumersi un rischio artistico, i nostri teatri tenderanno all’autoconservazione».

Per parte sua, Civica al Metastasio, insieme al direttore Franco D’Ippolito, tenta al meglio di dare una risposta al momento, con l’utopia – «tutto quello che ha senso è utopico», dice – del Gruppo di lavoro artistico: attingendo ai grandi finanziamenti che lo Stato ha destinato alle strutture, sono stati scritturati dieci artisti (drammaturghi, attori) e cinque registi dell’aria di ricerca per otto mesi, per lavorare a diversi progetti, radiodrammi, sceneggiati, spettacoli che a un certo punto debutteranno. Il lavoro di questi dieci artisti ricade, chiaramente, su scenografi, costumisti, musicisti. È un esperimento, un modo per fare formazione, per incrociare percorsi e creare scambi. «Serve indignazione», come non esser d’accordo, agire con indignazione, perché oltre che i paramenti ministeriali, che Di Palma sottolinea essere «non neutri, ma espressione di una visione del mondo», il problema del sistema italiano è anche morale, di onesta gestione della cosa pubblica.

Parafrasando Armstrong Civica risponde alla domanda, interrogativo ricorrente nei diversi incontri, Che cos’è il teatro?: «Se chiedi a un musicista cos’è il jazz, non lo saprai mai». Siamo in chiusura ma la questione resta felicemente aperta.

Foto di Ilaria Costanzo

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