Via la polvere da sotto il tappeto: le proposte di legge per riconoscimento dei diritti dei lavoratori dello spettacolo

Restio, se non sordo. Il legislatore italiano negli ultimi settant’anni si è dimostrato poco sensibile ai diritti dei lavoratori dello spettacolo che continuano a vivere succubi di provvedimenti temporanei e confusionari che non guardano alla specificità del settore.

Con la pandemia arriva a braccetto l’emergenza socio-economica da cui lo spettacolo dal vivo non resta escluso. Bisogna partire dal basso, ma per un cambiamento reale è necessario che chi sta in alto abbia orecchie attente. In effetti, che valore ha la voce di più di 300mila lavoratori dello spettacolo per uno Stato che non ha saputo ascoltare le raccomandazioni europee riguardanti l’industria creativa? Già nel 2007 il Parlamento Europeo chiedeva agli Stati membri di «sviluppare e applicare un quadro giuridico e istituzionale al fine di sostenere la creazione artistica mediante l’adozione o l’attuazione di misure coerenti e globali che riguardano la situazione contrattuale, la sicurezza sociale, l’assicurazione malattia […] [considerando] la natura atipica dei metodi di lavoro dell’artista».

E qui casca l’asino: l’atipicità del lavoro artistico deve stare alla base di qualsiasi normativa in materia; al contrario, i nostri lavoratori dello spettacolo vivono come nel 1947, anno in cui un legislatore (all’epoca) visionario, ma ignaro del futuro, ha creato quella che è ancora oggi la legge di riferimento (D. Lgs. C.p.S. n. 708/1947). Ma la creatività non è un’attività statica, intrecciata com’è con i cambiamenti e con le miriadi di sfaccettature della società.

L’emergenza sanitaria ha il merito – si fa per dire – di aver sbattuto il tappeto e aver “semplicemente” messo in luce le carenze di tutele per i lavoratori dello spettacolo.

Alla fine del 2020 arrivano due proposte di legge in Parlamento, che affrontano le problematiche in modo diverso e non sovrapponibile. 

I nodi centrali sono gli stessi ma le voci sono due: l’11 novembre 2020 viene presentata la proposta di legge “Disposizioni per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo” firmata dalle parlamentari Chiara Gribaudo e Alessandra Carbonaro e nata dal confronto tra i sindacati (Slc Cgil Nazionale, la cui portavoce è Emanuela Bizi) e i lavoratori; neanche un mese dopo (il 9 dicembre 2020) gli onorevoli Matteo Orfini e Francesco Verducci depositano il disegno di legge sullo “Statuto sociale dei lavori nel settore creativo, dello spettacolo e delle arti perfomative”, ispirato dalle proposte di riforma del Forum Arte e Spettacolo (FAS).

La questione più dibattuta è quella relativa all’agognata continuità di reddito, dal momento che la stabilità è un’eccezione e che il reddito medio dei lavoratori dello spettacolo è ben poca cosa (in media 10mila euro annui): la proposta Gribaudo-Carbonaro prevede lo Strumento di Riconoscimento e tutela professionisti discontinui dello spettacolo (Srt), richiedibile solo dopo aver accumulato 120 giornate contributive nei 3 anni precedenti, di cui almeno 40 nell’ultimo anno (con modifica in caso di malattia e maternità) e a una condizione: una flessione di reddito di almeno il 30% rispetto all’anno precedente. Tuttavia il vero problema è la coesistenza naturale tra periodi pieni e periodi vuoti, il livello di reddito e non la flessione. Il disegno di legge Orfini-Verducci propone invece il Reddito di discontinuità, un reddito giornaliero che lo Stato offrirebbe a chi ha accumulato 51 giornate di lavoro nell’anno prima (tetto minimo raggiungibile da pochi) e che tamponerebbe i “periodi morti” tra un ingaggio e un altro: al lavoratore verrebbe corrisposto l’80% del reddito percepito nei due anni precedenti prevalentemente derivante dal lavoro nello spettacolo, che si alza all’85% nel caso in cui le giornate lavorate siano state più di 80.

Altro tema scottante è quello del lavoro in nero, grande costante nell’ambito dello spettacolo. La proposta di Legge Gribaudo-Carbonaro per l’emersione del lavoro in nero prevede lo Sportello Unico per lo Spettacolo Occasionale presso l’INPS, che permette a qualsiasi datore di lavoro di richiedere il certificato di agibilità per il lavoratore, lasciando la messa in agibilità a carico di quest’ultimo. Diversamente Verducci-Orfini si fa carico di regolare i contratti a prestazione occasionale, limitandoli alle situazioni in cui il massimo di paga sia inferiore a 2500 euro e in cui non si superino i 5 contratti occasionali tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore.

Altro punto è quello relativo ai lavoratori autonomi: entrambe le proposte vanno nella direzione giusta, equiparando autonomi a subordinati per quanto riguarda le tutele previdenziali e la disoccupazione. Il ddl Verducci-Orfini però va oltre, proponendo che i lavoratori autonomi possano sia richiedere autonomamente l’agibilità, che procedere direttamente al pagamento dei contributi, contando su una corresponsabilità tra lavoratore e datore di lavoro. 

Alle molteplici differenze tra le due proposte fanno da contraltare gli articoli di entrambi i ddl su indennità di malattia, maternità e disoccupazione, che chiedono per i lavoratori una tutela previdenziale coerente con le misure generali del settore terziario. 

Questi sono solo alcuni dei punti presentati al Parlamento e – pur nella loro distanza e nei buoni propositi – sono solo un granello di sabbia nel deserto. Perché, se come dice l’On. Gribaudo, «il lavoro [degli artisti] non è una finzione e i loro diritti devono essere una realtà», appare quantomai utopico pensare a un sostegno e riconoscimento sociale se non si rivedono in toto le scelte di politica culturale di questo Paese: la strada è ancora lunga, andrebbe contestualmente rivisto il sistema del FUS (in particolare le modalità di interazione con gli enti locali), il ragionamento dovrebbe aprirsi a prospettive che guardino al di là dell’imminenza della situazione attuale. Vedremo se e come cambierà lo stato delle cose ora che la Direzione Generale dello Spettacolo dal vivo è passata in mano ad Antonio Parente

Il vaso di Pandora è scoperchiato. È necessario che lo Stato tolga la testa da sotto la sabbia, che guardi sì ai modelli dei cugini francesi (l’intermittence du spectacle fa gola da sempre), ma con un occhio di riguardo alla specificità del sistema italiano.

1 commento

  1. E’ fondamentale scrivere con rigore per evidenziare che aspetti legislativi che vanno adeguati nel rispetto dei lavoratori dello spettacolo. Complimenti all’autrice Margherita Dotta che con quanto riportato ha un ruolo di agente del cambiamento, fondamentale, per il presente e sopratutto per il futuro di tutti i giovani lavoratori.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *