La lotta delle madri lavoratrici in Francia: Amandine Thiriet, racconta di “Matermittentes”

La stagione che stiamo vivendo, di lockdown, di pasque blindate, di strette, di nuove riaperture che fanno a pugni con nuove chiusure, di scandali sanitari, di disastri economici e sociali, è forse il risultato di quello che Antonio Gramsci definiva un vivere «disabituati al pensiero, contenti della vita giorno per giorno» per cui «ci troviamo oggi disarmati di contro alla bufera».

L’impossibilità delle azioni ha causato un’esplosione di parole, un bisogno di confronto, che oggi, a 13 mesi dalle prime chiusure, rischia di perdere d’urgenza e trasformarsi in un ingorgo di parole. In questo fermento causato dalla paura e dalla necessità, si sono però create occasioni di prezioso scambio, di ampliamento di orizzonti, tutti ci siamo sentiti più vicini, dal momento che il virus non conosce dogane, e lo sguardo si è fatto più attento alle realtà non solo nostre, ma anche di altri Paesi. Si spera che questa ampiezza di orizzonte non vada perduta.

Per ciò che riguarda il comparto dello spettacolo dal vivo in Italia, la pandemia ha acceso molte micce, ha sollecitato gli animi di lavoratrici e lavoratori, per ottenere tutele e risposte, per disegnare leggi adeguate alle peculiarità del settore. Non si sono avuti interventi concreti, e questo ha portato oggi ai presidi permanenti nei cortili del Piccolo Teatro di Milano e del Teatro Mercadante di Napoli, incoraggiati certamente dalle occupazioni numerosissime (ne abbiamo parlato qui) avvenute in Francia. Giacché proprio i francesi sono, un po’ per vicinanza geografica, un po’ per tradizione di  rapporti, un “modello” tirato in ballo di frequente nelle ipotesi di riforma del sistema italiano, abbiamo voluto approfondire con il prezioso contributo dell’attrice e cantante e attivista Amandine Thiriet, una importante realtà, il collettivo Matermittentes, che in Francia si batte per la tutela dei diritti delle lavoratrici madri del settore spettacolo (e di tutti i settori che prevedono lavoro intermittente).

Amandine Thiriet, foto di Pierre-Jerome Adjedj

Cosa è Matermittentes?

Le Collectif Les Matermittentes è un’associazione, un collettivo, nato nel 2009 a Parigi. Matermittentes è un nome che abbiamo inventato, un misto di “maternità” e di “intermittentes”, e comprende le donne che lavorano con discontinuità, alternando contratti brevi e periodi di disoccupazione compensata, come nel settore dello spettacolo o del cinema in Francia.
È nato, come detto, nel 2009, quando tutte le donne intermittentes che avevano partorito e avuto un congedo di maternità nel 2007 o nel 2008, si sono ritrovate con l’indennità di disoccupazione bloccata, perché Pôle Emploi (l’agenzia che registra i disoccupati, assimilabile in qualche modo ai centri per l’impiego, ndr), dopo un ricalcolo dell’indennità, ha ritenuto che la cifra di congedo di maternità fosse troppo elevata. Improvvisamente migliaia di donne intermittentes sono state private della loro indennità di disoccupazione. Io ero tra quelle. Ci siamo ritrovate e unite per contestare questa decisione, abbiamo occupato delle agenzie Pôle Emploi con i nostri bambini, abbiamo incontrato dei funzionari e fatto rivedere la decisione.
Ma soprattutto, ci siamo rese conto che la legge non era adeguata né per le donne intermittentes che avevano figli, né per tutti intermittents che avevano un congedo per malattia: non c’era la sicurezza di ottenere una retribuzione, e, in più, quel congedo era anche una minaccia per la continuazione del sussidio di disoccupazione intermittente. Insomma, avere un bambino o ammalarsi era discriminatorio e questo poteva portare a una perdita di diritti. Da quel momento, abbiamo cominciato a organizzare un collettivo, una lotta a lungo termine per i diritti sociali delle donne e delle persone malate che lavorano con discontinuità. Abbiamo già ottenuto molto, ma la lotta non è finita.

Quali sono le tutele per le lavoratrici madri e per i lavoratori padri?

Normalmente, tutte le lavoratrici hanno diritto a un congedo di maternità di 16 settimane (6 prima del parto e 10 dopo). La cassa da cui si attinge per questo tipo di congedi è alimentata con contributi salariali di tutti i lavoratori francesi. Per una donna che lavora con un contratto a tempo indeterminato, o contratti di lunghi periodi, è semplice: il congedo viene pagato attraverso il datore di lavoro e la lavoratrice riceve il suo solito stipendio. Per una donna disoccupata che prima ha lavorato con un contratto lungo, l’indennità  di maternità è calcolata sulla base del salario del lavoro precedente. Per una donna che lavora con discontinuità, per un’intermittente è più complicato: deve avere accumulato 150 ore di lavoro in tre mesi, o 600 ore di lavoro in un anno, prima dell’inizio del congedo o prima dell’inizio della gravidanza. La lavoratrice, che ha svolto lavori diversi nel periodo richiesto, deve occuparsi lei stessa di radunare tutte le sue buste paga e tutti i documenti da consegnare all’assicurazione sociale, per dimostrare che ha diritto al congedo. E se non ha diritto, non riceve niente. Eppure non è una scelta, è un obbligo dal momento che non è permesso lavorare due settimane prima del parto e sei settimane dopo il parto. Ciò nonostante, è possibile che una donna in Francia non riceva nulla durante le 8 settimane del periodo pre/post parto.
Per i padri, il congedo consiste in soli 11 giorni, a oggi. Nessun lavoratore intermittente lo prende perché è troppo complicato in rapporto ai pochi giorni. Non ne vale la pena, insomma.
Però, dal 1 Luglio 2021 il congedo di paternità sarà di 28 giorni di cui 7 obbligatori. Allora il problema sarà lo stesso anche per gli uomini.

Quali sono i diritti per cui vi battete come associazione?

Ci battiamo perché tutte le lavoratrici abbiano diritto a ricevere un congedo di maternità pagato, perché non sia possibile che venga negato alle donne che non hanno lavorato abbastanza al momento giusto. Durante la crisi pandemica, il problema è stato amplificato, molti intermittents non hanno lavorato abbastanza perché non era possibile. In questa crisi, chiediamo degli aggiustamenti per proteggere i diritti dei più vulnerabili, colpiti gravemente dalla crisi, nello spettacolo e in altri settori in cui i lavoratori sono assunti con contratti brevi  (ristoranti, eventi, alberghi, autori, scultori, ecc.). Ci rendiamo conto che, in generale, per le professioniste che lavorano con discontinuità non sono previste dalla legge tutele sufficienti. L’ideale sarebbe un congedo di maternità automatico per tutte le lavoratrici, con un minimum garantito per tutte.
E che fosse lo stesso per una lunga malattia. Inoltre, l’istituzione che si occupa dei diritti sociali, che si chiama Caisse primaires d’assurance maladie (CPAM) – Fondo di assicurazione Sanitaria Primaria –, fa molti errori quando esamina i casi. Riceviamo decine di email ogni giorno da donne che hanno bisogno del nostro aiuto per ottenere il congedo di maternità adeguatamente compensato. Se tutto funzionasse bene non esisteremmo. Il nostro desiderio è che un giorno non ci sia più bisogno di noi.

Quali risultati avete ottenuto fin qui?

Nel 2010 abbiamo sottoposto la questione della discriminazione al Défenseur des droits (Garante dei Diritti), che nel 2012 ha riconosciuto che la discriminazione era effettiva. Ottenuto questo risultato, abbiamo incontrato politici, deputati, e siamo riuscite a far modificare la legge: prima una donna doveva accumulare 200 ore in tre mesi, o 800 ore in un anno per ottenere una retribuzione del congedo di maternità, da 2015 si è passati a 150 o 600 ore.
Abbiamo collaborato con altri collettivi, come la CIP (Coordination des Intermittents et Précaires) e sindacati, per far modificare nel 2016 le regole dell’indennità della disoccupazione quando si è in maternità o malattia, per evitare ulteriori errori di calcolo che causino discriminazioni.
Abbiamo anche vinto diverse cause contro le CPAM che avevano fatto errori in fase di esame delle domande.
Dalla crisi sanitaria non siamo riusciti a ottenere risposte concrete dal Governo, solo vaghe promesse, ma i teatri occupati stanno inglobando le nostre richieste nella loro lotta.

Pensa che una donna lavoratrice in qualsiasi settore e non solo nello spettacolo,  possa subire delle discriminazioni sul lavoro (nei colloqui, nelle assunzioni) per il fatto che può diventare madre?

È possibile se la donna non lavora con persone che conosce. Se deve fare casting, colloqui, è possibile che una produzione preferisca una donna che non sia in gravidanza o che non abbia figli, perché non vogliono assumersi “rischi”, quelli che loro reputano essere rischi – ma chi meglio di una donna sa quello che può fare senza rischi sul lavoro?
Per fortuna, nello spettacolo ci sono anche compagnie che sono un po’ come famiglie, che accettano di lavorare con un’artista incinta nella squadra, o di tenere i bambini sul posto di lavoro. Il teatro è spesso un mondo di solidarietà. Io stessa, per esempio, come attrice e cantante con due figli, ho potuto tenere con me i due occasioni il mio bambino per le prove e per una tournée, perché lavoro con amici e amiche. È una bella cosa.

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