Foto di copertina Valeria Tomasulo
«Torniamo a teatro. Riprendiamo il filo del pensiero, del fare, del guardare, dell’incontrarsi». Così il Teatro di Roma – Teatro Nazionale, il primo nella capitale a riaprire i sipari, invita il pubblico a tornare ad “affollare” le sue sale dopo la lunga chiusura. Riaprire i luoghi della cultura equivale a riaccendere uno sguardo sulla realtà, sui mondi invisibili eppure così vivi che l’arte crea, a potersi finalmente riconoscere come comunità presente, suo malgrado frammentata negli ultimi mesi.
Al Teatro India, a inaugurare la (ennesima) ripartenza, che si spera più duratura, è La Classe di Fabiana Iacozzilli. Un docupuppets con pupazzi e uomini, un racconto dichiaratamente autobiografico che parla di infanzia, di educazione e delle ferite del crescere.
La regista apre al pubblico le porte della sua aula e dei suoi ricordi, di una scuola vissuta nella paura della temibile, dura e violenta maestra Suor Lidia. A narrare la storia sono le marionette realizzate da Fiammetta Mandich – autrice anche della scena –, arti di legno sottili e occhi grandi, tra lo spaventato e il curioso. I bambini-pupazzi prendono vita grazie agli abili performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni e Marta Meneghetti, mentre le voci sono quelle degli stessi compagni di Iacozzilli, intervistati dalla regista. Le voci adulte arrivano dal futuro, fuori campo, ricostruiscono la propria storia forse – o almeno sembra questa l’intenzione personale di Iacozzilli – alla ricerca di una sorta di rito collettivo di liberazione da un’infanzia in cui la ritualità apparteneva solo alla violenza.
Suor Lidia è l’unico personaggio in carne e ossa in scena, una figura smisuratamente grande in confronto alle marionette tremanti. Suor Lidia è incappucciata, non ha volto, è una figura fumosa come lo sono i ricordi che la descrivono, che non sanno distinguere le sue fattezze o i suoi occhi, coperti da occhiali tanto spessi da farli apparire scollegati dalla sua persona. Quest’ombra umana contrasta con la mancanza di umanità che dimostra nei confronti dei bambini di legno, piccoli e fragili, disarmati, segni di anime ferite. Suor Lidia è l’incarnazione della paura, la sua voce tuona e tutto va in frantumi, grazie anche all’atmosfera creata dal progetto sonoro di Hubert Westkemper, Premio Ubu 2019. Lo spettacolo, tuttavia, non accade in un clima totalmente cupo, il teatro di figura dona momenti di leggerezza e regala qualche sorriso. Nell’incontro tra il movimento dei corpi e delle marionette La Classe sa evocare con delicatezza questo racconto doloroso.
La scelta di lavorare con i pupazzi si rivela inoltre coerente con la storia di Iacozzilli, a cui da piccola, nella notte, le bambole parlavano. Nella narrazione di quest’infanzia vissuta nel segno della paura emerge infatti anche un discorso sulla vocazione teatrale della regista, nata proprio in quel contesto. Dalla paura bambina si passa a un timore tutto adulto, la paura di essere segnati nel profondo dalle ferite infantili che spesso non sappiamo gestire. Però, afferma Iacozzilli, se nessuno guarisce dall’infanzia, dipende poi da ciò che ne fai. E allora sale in scena, silenziosa e sicura, a dimostrare – forse più a se stessa che al pubblico in sala – che può prendersi cura del suo sé bambina, dei suoi compagni, delle proprie ferite. «Pensa alla meraviglia», è il consiglio di Suor Lidia alla regista nel suo unico momento comprensivo, tutto si trasforma in vento e i sogni dei bambini, principesse e supereroi, nonostante tutto possono crescere.
La classe
uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli | Cranpi
collaborazione alla drammaturgia Marta Meneghetti, Giada Parlanti, Emanuele Silvestri
performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti
scene e marionette Fiammetta Mandich
luci Raffaella Vitiello
suono Hubert Westkemper
Un ringraziamento speciale ai compagni di classe
produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello, Carrozzerie | n.o.t