Henri-Louis Bergson, filosofo francese, contrapponeva due caratteristiche proprie del concetto di scansione inesorabile del tempo: una materiale, matematica, tangibilmente misurabile in subunità, definita dallo stesso tempo della scienza e un’altra più sottile, embrionalmente legata alle modalità con cui l’individuo esperisce la qualità degli attimi che vive, i quali si dilatano, accorciano, intersecano, sbiadiscono, ripresentano e risultano non distinguibili o divisibili: è l’interiorità dell’uomo a definirli. Questo tempo qualitativamente altro, soggettivo e personale, viene descritto come durata o tempo della coscienza. La performance Kairos, portata in scena dal laboratorio Officina – idee in cantiere dell’Istituto di Istruzione Superiore Statale Cine-tv Roberto Rossellini, indaga gli anfratti di questa temporalità contorta e confusa, non oggettiva e, sebbene l’obiettivo risulti in prima istanza velleitario, l’intera macchina scenotecnica, facendo propri espedienti interessanti, riesce a raccontare un groviglio di nodi drammaturgici che assumono senso nel loro stesso darsi allo spettatore come caos.
I corpi dei giovanissimi attori, tutti allievi del laboratorio Officina guidato da Roberto Renna e Daniela Venanzangeli, raccontano vicende diversissime che, tuttavia, nei paesaggi del mondo che Kairos dipinge, abitano e respirano in uno stesso luogo, o, per meglio dire, un non luogo: uno scompartimento di un vagone ferroviario. Scevro della volontà di relegare il contesto a una precisa epoca e ambientazione, l’impianto scenico si presenta piuttosto spoglio. A identificare le fattezze del vagone ferroviario, solo quattro sedute e dei finestrini: due di questi affacciano sul pubblico, l’altro, uno schermo adiacente al fondale, mostra per tutta la durata della performance, lo scorrere di paesaggi indistinti. Lo spazio scenico risulta claustrofobico: ciò qui accade è sospeso, non sottostà alle regole della realtà quotidiana, al buon costume sociale, nessuna traccia di convenevoli casuali scambiati con altri passeggeri: le leggi a cui rispondono le storie narrate hanno come comun denominatore la volontà di inquadrare la sostanza del tempo della coscienza, del kairos.
La scelta di demarcare il fuori dal dentro attraverso un’area così ristretta, seppur estremamente funzionale al percorso che intraprende la drammaturgia, nasce in realtà come risposta ad un’esigenza pratica, come afferma il regista Roberto Renna: «Quest’anno, proprio in virtù della necessità di capire come gestire il laboratorio e lo spettacolo in funzione delle normative contenitive dell’epidemia da Covid-19, ci siamo posti la questione principale relativa al come realizzare la messinscena, rispettando il distanziamento sociale e le altre restrizioni. La prima idea sorta nelle varie riunioni è stata quella di creare un dramma dell’angustia (rifacendomi alla definizione che ne dà Szondi)». In questo habitat angusto, si anima una drammaturgia che prende le mosse da spunti multipli: i testi di Agota Kristof, Woody Allen, del trio Marchesini-Solenghi-Lopez, Anton Germano Rossi, Slawomir Mrozek, Gabriele Galloni. I fili narrativi, come fossero perle di un collier rotto, si aprono e scivolano via su tutto il pavimento, allontanandosi e scontrandosi a seconda degli ostacoli che incontrano nelle loro traiettorie. Un individuo protagonista di una storia, diviene comparsa casuale di un’altra. La chiamata enfatica di un guidatore rimasto a secco di benzina con cui si apre lo spettacolo, viene presentata agli spettatori da solo una delle due voci ai capi del telefono. L’altro interlocutore apparirà invece alla fine, immerso in tutt’altra vicenda che lo vede impegnato ad attendere una donna misteriosa nel vagone del treno. Si affacciano timidamente alla struttura drammaturgica la Teoria della Relatività, le ipotesi sugli Wormholes, il paradosso di Schrödinger, quasi a testimoniare come il tempo sia una realtà attraversabile, circolare, affatto casuale, a patto che l’individuo si ponga, per poterla davvero osservare, in una postura di sufficiente scetticismo e, al tempo stesso, sana ingenuità.
Il kairos, inteso come tempo non cronometrabile, non risulta unicamente essere il cardine attorno al quale ruota la performance, ma anche l’essenza stessa del progetto e idea dai quali nasce il laboratorio Officina. Difatti, ogni competenza artistica e tecnica legata alla costruzione dello spettacolo, come spiega il regista Roberto Renna, è presieduta da studenti ed ex-studenti dell’Istituto Rossellini: il teatro si fa catalizzatore di una comunità salda, riconoscibile, grazie alle possibilità offerte dallo spazio e dal tempo laboratoriale. È il processo a divenire protagonista, senza che questo offuschi, tuttavia, la necessità di creare un esito di lavoro qualitativamente valido.
«La cosa di cui siamo più fieri è quella di rappresentare uno spazio mentale che continua ad accogliere anche coloro che hanno terminato da tempo gli studi all’interno dell’istituto Rossellini» specifica Roberto Renna e aggiunge: «ci piace l’idea di offrire uno spazio che viva di questa qualità. Ciò che ci preme di più è riuscire a tenere salda questa realtà: il principio che coordina l’intera struttura è quello della compartecipazione all’ideazione, alla creatività».
Di fronte alla bulimia produttiva dalla quale è affetto parte del teatro italiano, al fine di risultare idoneo rispetto ai finanziamenti statali destinati allo spettacolo dal vivo, di fronte alle strutture che offrono residenze artistiche della durata di una settimana, ai tempi corti o cortissimi delle restituzioni che debuttano sui palchi, suona demodé la volontà di circoscrivere e proteggere una realtà che promuova la cura dei processi, dei tempi lunghi, gli unici a garantire una relazione profonda, sinceramente dedita, all’interno della fase creativa. Eppure, è grazie anche a queste premesse che il teatro riesce ad instaurare il suo proprio ritmo vitale, a divenire luogo della qualità della presenza, a radunare una comunità che incontra se stessa, nelle sue contraddizioni e bellezza. Il tentativo, promosso dal laboratorio Officina, di continuare a far respirare questi spazi e luoghi, anche fronteggiando spesso una scarsità di finanziamenti economici, è quindi associabile a una sincera forma di resistenza. Ben venga, dunque, essere fuori moda.
Kairos
Regia: Daniela Venanzangeli, Roberto Renna
Aiuto Regia: Francesca Pupilli
Assistente alla Regia: Irene Troncanetti
Adattamento testi e Drammaturgia: Giorgio Coppola, Francesca Pupilli
Realizzazione contributi: Mattia dell’Omo, Alessandro Gattamorta, Francesco Segreto, Luca Mattioli
Disegno luci: Davide Montalbano
Tecnico Luci: Davide Montalbano
Training attori: Davide Montalbano, Roberto Renna
Scenografia: Gianmarco Rolli, Davide Montalbano, Giorgio Coppola
Fonico: Alessandro Addis
Assistenti audio: Pierpaolo Pelliccioni, Anastasia Virsta, Sara Didomenicantonio
Produzione: Claudia Mariani, Irene Troncanetti, Francesca Pupilli
Regia televisiva: Alessandro Gattamorta
Grafiche: Marco Valensise, Gianmarco Rolli
Backstage: Luca Contini, Federico Turchetti, Marco Alvisini, Nicolò Spampinato, Loris Santini
Con: Matteo Annibali, Emanuele Apicella, Alessio Brevetto, Marco Celletti, Alessandra Cotugno, Alessandro Di Paola, Lea Gargiulo, Marco Gennaro Matrone, Tommaso Gizzi, Daniele Lombardi, Claudia Mariani, Nico Meccia, Leonardo Pocaterra, Roberto Renna, Vittoria Ridolfi, Lorenzo Santini, Daniele Spezzacatena