Portraits on Stage | Arte in cammino Festival 2021

Sinergie e trasversalità fra molteplici linguaggi artistici: Ilinx Teatro e Pollution approdano a Portraits On Stage

La sinergia fra sonorità non quotidiane e le modalità con le quali questa abita lo spazio circostante, mutandolo e trasformandolo nelle sue qualità fisiche e nelle sue vibrazioni percettive, risulta essere protagonista e matrice stessa di ogni input di ricerca dell’ensemble Pollution, il quale si esibirà in Piazza Santa Vittoria ad Anticoli Corrado. Andrea Cauduro, uno dei fondatori del duo, ha risposto ad alcune nostre domande circa il processo di costruzione della performance e la fase creativa che ha dato alla luce Landscape Vision, il quale identifica e riconosce proprio nella Valle dell’Aniene una connessione importante per i due artisti e, consequenzialmente, per il progetto stesso.

La performance Landscape Vision vede come suo asse portante il suono che, grazie allo strumento e alla mano del musicista, acquisisce una qualità materica effettiva, in grado persino di andare a costruire una nuova forma di spazialità attorno a sé. Da cosa si è originata la vostra necessità di esplorare il percorso che guida la sonorità a tramutarsi in abitante fisicamente esistente dello spazio? E in che modalità il suono riesce a tradurre i luoghi che ha intorno?

Innanzi tutto, sia io che Tiziano Teodori, condividiamo una formazione classico-accademica. Siamo partiti facendo esami di musica da camera in conservatorio assieme, quindi da un repertorio classico, eppure, sin da subito, abbiamo cominciato a sperimentare qualsiasi forma di linguaggio musicale. È stato pertanto naturale muoverci da un formato all’altro, operando un transfert: dalla semiotica musicale, alla fisica del suono vera e propria. Parallelamente all’attività concertistica pura, svolta principalmente in Nord Europa, abbiamo portato avanti una sperimentazione che ha dato vita ad installazioni e performance legate alla spazializzazione del suono in luoghi che risultavano interessanti in relazione a questo tipo di ricerca. È molto più peculiare abitare spazi non adibiti alla musica (come potrebbe essere un teatro o una sala concerti): banalmente risulterebbe tutto meno magico. Ipotizziamo, attraverso il nostro lavoro, le modalità con le quali alcune frequenze potrebbero essere suonate in determinati luoghi: è impossibile capire come effettivamente si evolveranno prima del momento effettivo in cui andremo ad abitare quello spazio. Questa scelta è fortemente connessa ad un nostro gusto personale per l’improvvisazione, per le forme libere della musica contemporanea (quelle proprie, ad esempio, del Gruppo di Improvvisazione Consonanza di Ennio Morricone). Ciò che nasce dalla nostra ricerca è una forma ibrida: una parte legata a come risponda il luogo al suono, posizionando gli speaker in maniera inusuale, e una più propriamente performativa che, questa volta, condurrò io da solo, per motivazioni legate alla pandemia da Covid-19 (vivendo il mio collega in Olanda, avrebbe dovuto sottoporsi ai giorni obbligatori di quarantena per coloro che arrivano in Italia dall’estero). Siamo un gruppo aperto, spesso sviluppiamo i nostri concept musicali assieme ad altri musicisti. Creiamo partiture che possono essere eseguite da un piccolo ensemble, così come da un grande gruppo o, addirittura, da un singolo. Queste opzioni figliano direttamente dalle caratteristiche dello spazio all’interno del quale avrà luogo l’evento: a seconda di quanto esso si presenti disteso, possiamo scegliere di inserire più speaker, inoltre, ognuno di questi è connesso, tramite un software elettronico, a ciò che suona il musicista. Alla fine si strutturerà quasi un tessuto orchestrale, anche se dovesse presenziare un individuo solo che suona.

Lo spazio che la vostra ricerca musicale indaga, si presenta ancora oggi, dopo un anno e mezzo di pandemia, mutilato. Ne è stato prima interdetto l’accesso, soprattutto se in compresenza di altri corpi, e, successivamente, lo abbiamo vissuto come dilatato, sforzandosi di rispettare il distanziamento rispetto agli altri individui che lo condividevano con noi. Questa particolare geometria entra in qualche modo nel vostro percorso di lavoro?

Assolutamente no. Entrambi abbiamo vissuto talmente male questa situazione, ci ha talmente nevrotizzati per cercare di capire come avremmo potuto ovviare al problema della distanza da mantenere fra noi due, anche solo per comporre o eseguire un brano e anche a quella da mantenere nei confronti del nostro pubblico, che abbiamo scelto di osservare la performatività di questo evento in modo ancora più visionario. Abbiamo ipotizzato, quindi, di strutturare una performance per un solo fruitore o addirittura immaginarla senza pubblico. Per Landscape Vision, il dato particolare si stanzia nel fatto che suoneremo all’interno di una valle che ha un significato preciso per noi, le siamo molto legati poiché costituisce il luogo nel quale siamo nati e cresciuti. Questa caratteristica ha riprogrammato le nostre prospettive: abbiamo iniziato a suonare per i luoghi e non solo nei luoghi. L’interazione con lo spazio fisico è diventata un cardine del lavoro, come fosse anch’esso parte del pubblico. Può darsi che questo input sia derivato anche dalla condizione di solitudine forzata che tutti abbiamo vissuto. Gli esperimenti che abbiamo tentato di avviare, risultano tutti una sorta di surrogato: è evidente che lo streaming non sia un vero concerto; tanto vale, dunque, immaginare eventi performativi del tutto diversi da ciò a cui eravamo abituati.
LANDSCAPE VISION | Pollution e Andrea Cauduro
LANDSCAPE VISION | Pollution e Andrea Cauduro
All’interno della drammaturgia de I portaroli, firmato da Ilinx Teatro, si fa, invece, mezzo di un incontro obliquo e caleidoscopico fra le arti, quella figurativa. Avendo come punto di riferimento primo l’operato pittorico di Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto, lo spettacolo della compagnia, il cui l’incontro con il pubblico di Portraits On Stage – Arte in Cammino è previsto in Piazza Sebastiano Conca a Gerano, si propone di offrire, ai suoi fruitori, un evento trasversalmente percorribile fra teatro e arte figurativa, avendo come suo strumento principale quello dell’interattività. Nicolas Ceruti ha risposto ad alcune nostre curiosità rispetto alla struttura della messinscena.

Lo spettacolo I portaroli introietta un input, uno stimolo creativo proveniente dall’arte figurativa, traghettato verso la realtà della scena costituita da tre dimensioni e modellata anche da una quarta, quella della temporalità altra del teatro. Quali urgenze sono state matrice di questa vostra ricerca e come la personalità del pittore Giacomo Ceruti si è innestata nel processo creativo?

Urgenza prima è stata quella di creare un ponte tra le arti. È consolidata, all'interno della nostra realtà, un’attitudine che vede la necessità di generare una sorta di melting pot settoriale, sia da un punto di vista della produzione artistica, sia da quello dell'organizzazione, in generale, di eventi culturali. Sono ormai tanti anni che cerchiamo di generare un mixing di arti, questa scelta è da associarsi al fatto che riteniamo che il nostro paese si presenti come un po’ troppo settoriale, quasi autoreferenziale, all'interno degli ambiti d'arte: quella visuale da una parte, quella scenica da un’altra ancora, quella scenico-musicale da un'altra ancora. Per quanto esistano ancora tradizioni consolidate di mixing delle arti, di fatto, risulta sempre più evidente che rimaniamo spesso limitati ad un solo ambito. Noi procediamo attraverso e grazie a quest’urgenza di incontro, confronto e affiancamento nell’adempimento all'interazione comunicativa ed espressiva. Pitocchetto, ovvero il pittore Giacomo Ceruti, è diventato, in un certo senso, cardine e matrice creativa di questo nostro obiettivo. È un pittore che, sulla scia dell'arte Caravaggesca, ha portato e messo in evidenza quello che era il realismo ed il verismo esistenziale delle persone umili, del popolo, a dispetto di un’arte maggiore, istituzionale che andava a rappresentare vicende religiose o a raffigurare grandi personaggi della storia. Ceruti, al contrario, racconta l'umiltà e la povertà dei nostri territori: in particolare ciò che poi, scenicamente, è stato generato, si presenta come una sorta di traduzione in gioco, un racconto immaginario strutturato come una saga. Le opere del Pitocchetto a cui ci siamo ispirati, vengono composte scenicamente attraverso due puzzle, riportati in scena come frammentazioni pittoriche con le quali il pubblico può decidere di giocare un ruolo fondamentale, ossia quello della composizione iniziale. Dapprima, gli spettatori vengono chiamati ad ultimare questi quadri che sono scomposti in tessere di puzzle, dopodiché, a partire proprio da questi soggetti, entra in scena l’utilizzo, sottoforma di gioco, della narrazione. Una vera e propria narrazione in interazione. L’esigenza è quella di avvicinare, in questo caso, anche ragazzi, bambini e famiglie, alla dimensione dell'arte visiva.

Due cardini importanti sembrano costruire le fondamenta di questo spettacolo: la possibilità di instaurare una diversa qualità relazionale tra individui grazie alla struttura interattiva e il riuscirvi anche attraverso il fatto di abitare una piazza, crocevia di incontri per eccellenza. Questi due aspetti che significati assumono nel lavoro, alla luce del periodo di pandemia che ha imposto restrizioni sul contatto con l’altro e vietato lungamente l’accesso alle agorà pubbliche?

Il nostro lavoro ha oggi, sicuramente, anche quest’urgenza, quella cioè di favorire una riconnessione ed un ricollegamento tra arte e pubblico. Nell'anno e mezzo passato, ci siamo interrogati molto su quando avremmo potuto tornare ad avere interazione con le persone. Chiaramente, abbiamo anche mitigato il gioco proposto dalla nostra drammaturgia, cercando di seguire le misure di sicurezza, di distanza e di rispetto delle normative anti Covid. Ad esempio, nel caso della gestione degli oggetti di scena, abbiamo dovuto porre maggiore attenzione sul fatto di non potere manipolare lo stesso oggetto da parte di più persone, se non dopo previa sanificazione, ecco perché avevamo deciso di fornire dei guanti da indossare per prendere parte al gioco di composizione dei puzzle. Tuttavia, al di là dell’elemento tecnico della gestione nel rispetto delle normative, questo spettacolo rappresenta una nuova forma di un nuovo incontro tra le persone e la forma d'arte. La necessità ed urgenza del lavoro si legano alla volontà di tornare a instaurare un contatto con l’elemento dell'opera d'arte, prima attraverso la particolarità (l'elemento specifico della tesserina da inserire nel mosaico dei puzzle). Ciò che accade quando noi guardiamo per la prima volta un quadro, è il fatto di non entrare nel dettaglio, ma di fermarci ad una visione di insieme.  Giocando, invece, facendo leva sull’incontro del fruitore, del pubblico, con un piccolo elemento di un’opera più grande, si porta il soggetto a investigare cosa ci sia all'interno di quella parte, di quella tessera, offrendogli l’opportunità di cogliere il dettaglio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *