Santarcangelo Festival | Futuro Fantastico © Claudia Borgia, Chiara Bruschini

Santarcangelo 2050 chiude con D-Simon e non-scuola / Teatro delle Albe

Dopo undici giorni intensi di spettacoli e performance da tutto il mondo, tra le difficoltà provocate dalla pandemia e l’emergenza sanitaria, l’edizione 2050 (sic.) di Santarcangelo Festival si è chiusa domenica 18 luglio. 

Nello schizofrenico programma dell’ultima giornata, tra installazioni, garage sale e perfino un omaggio a Raoul Casadei, l’evento di richiamo del primo pomeriggio è prove generali della non-scuola/Teatro delle Albe. Uno spettacolo ancora da farsi, un processo in divenire, come anticipa il titolo, o ancora, citando la locandina,

«un tentativo: quello di ritrovarsi per fare teatro insieme, di sperimentare un lavoro collettivo di prossimità e d’immaginazione che nasce in un grande prato sotto il sole di giugno».

Sono le 18:30 e gli spettatori cominciano ad accomodarsi in una zona recintata di Piazza Ganganelli, mentre tanti curiosi, adulti a bambini, si fermano a guardare, attirati dalla musica, nei pressi del recinto. Un suono molto basso, uno alquanto stridulo, una cassa che inizia a battere un tempo, e dopo qualche minuto di sospensione iniziano le prove.

Una ventina di pre-adolescenti in jeans e maglietta fanno il loro ingresso su un palco completamente spoglio. In piedi, in ordine sparso, di fronte al pubblico, cominciano a soffiarsi il naso, aggiustarsi la maglietta, a mettere e togliere la mascherina.

«Qui siamo a teatro, in piazza addirittura», esclama a un certo punto uno di loro, «le prove stanno per iniziare, si prega di spegnere i telefoni cellulari», continua.

Non scuola/Teatro delle Albe, foto di Claudia Borgia e Lisa Capasso
Non scuola/Teatro delle Albe, foto di Claudia Borgia e Lisa Capasso

Da qui, e nei minuti che seguiranno, i ragazzi si rivolgeranno direttamente agli spettatori, chiedendo loro di compiere semplici gesti: «chiudete gli occhi a fessura», «tappatevi le orecchie… oppure chiudetele al vostro vicino», ma sempre ricordando di essere in pandemia, per cui «questo non si può fare, c’è il Covid». Tra il pubblico gli unici a partecipare al gioco sono i bambini, mentre i genitori si nascondono dietro gli schermi dei cellulari, facendo finta di riprendere. 

In questa sorta di “Gioca Jouer Edizione Pandemia 2021”, la pantomima dei gesti, delle azioni, delle parole, racconta, a modo suo, i grandi cambiamenti che stiamo vivendo, e che quotidianamente ci segnano e ci trasformano.

Non scuola/Teatro delle Albe, foto di Claudia Borgia e Lisa Capasso
Non scuola/Teatro delle Albe, foto di Claudia Borgia e Lisa Capasso

Alla fine dello spettacolo, la sensazione è quella di aver assistito a un teatro nato da una necessità di incontro, dialogo, (con)partecipazione: un’incarnazione del teatro che si presta molto bene a far da contraltare, e anche da terapia perché no, ai tempi eccezionali che stiamo vivendo, intessuti di paure, di ansie, ma soprattutto di solitudini e incomprensioni.


dSimon

Qualche ora più tardi, nello spazio Supercinema, è andato in scena un altro esperimento, tanto lontano dal teatro, a prima vista, quanto possono esserlo i suoi realizzatori: la programmatrice uruguaiana Tammara Leites, e il video artist di Ginevra Simon Senn.

Davanti a un pugno di spettatori, i due raccontano la loro esperienza con GPT-3, la più potente e avanzata intelligenza artificiale attualmente esistente.

Tammara, Simon interagiscono con dSimon, foto di Claudia Borgia e Lisa Capasso
Tammara, Simon interagiscono con dSimon

GPT-3, per i molti che molto probabilmente non lo sanno, è una sigla che sta per “Generative Pretrained Transformer”, una tecnica introdotta da Google nel 2017 per prevedere, statisticamente, sequenze di parole, mentre il software vero e proprio, lo stesso GPT-3, è stato sviluppata da OpenAI, un’azienda no-profit finanziata da Microsoft e Elon Musk.
In poche parole, GPT-3 è un software di intelligenza artificiale basato sul concetto di rete neurale, che attraverso tecniche di Natural Language Processing, è in grado di eseguire numerose attività linguistiche (produzione di poesia e prosa, traduzioni, dialogo con umani) partendo da un set di dati estremamente ridotto. Per esempio, fornendogli un numero esiguo di testi scritti da un determinato autore, può produrre storie originali che imitano lo stile, il ritmo, la voce, insomma, di quell’autore. Questo grazie all’enorme quantità di dati che è stata usata per istruirlo; dati che comprendono, tra le altre cose, l’archivio di Common Crawl, ovvero gran parte di quello che è stato pubblicato sul web negli ultimi 10 anni.

L’esperienza vissuta e raccontata da Tamarra e Simon li vede alle prese con le capacità mimetiche di GPT-3, per creare un modello dello stesso Simon Senn, una sorta di doppelgänger digitale in grado di produrre racconti di senso compiuto con lo stile del videoartista.

Il parto di questo esperimento, dSimon, viene evocato e subito compare sullo schermo alle spalle dei due. Con l’aiuto di Tammara, gli vengono fornite alcune informazioni su un gruppo di spettatori in forma di domanda. La formula tipo è:

«Maura, che indossa una maglietta rosa e si trova in ottava fila, chiede a dSimon come sta», e a seconda della persona viene cambiato il nome, il colore dell’abito, la posizione in platea.

Alle prime domande, poste in inglese, l’intelligenza artificiale risponde in modo un po’ confuso, ma sostanzialmente gentile. Quando però si passa all’italiano, il tono si fa decisamente più sgarbato, fino a superare il limite dell’offesa («Ti prenderei a calci in culo» è letteralmente una delle risposte date a una povera signora in quarta fila con un abito lungo a fiori gialli e blu).   

Questa volgarizzazione del linguaggio sembra far parte dello “spettacolo”, perché segna l’inizio di un nuovo segmento in cui Tammara e Simon riportano come a un certo punto del percorso di integrazione dei dati di Simon all’interno di dSimon, i testi prodotti da quest’ultimo siano stati contaminati da dosi considerevoli di minacce, razzismo, immagini violente, e persino tendenze pedofile.

Interviste impossibili, dSimon intervista la copia virtuale di Elon Musk, foto di Claudia Borgia e Lisa Capasso
Interviste impossibili, dSimon intervista la copia virtuale di Elon Musk

I due cercano di spiegare come abbiano provato a “raddrizzare” la copia virtuale somministrando informazioni “positive”, ma ammettono di non esserci ancora riusciti. Questa tendenza di GPT-3 a produrre contenuti violenti non è nuova, in realtà; è stata già osservata e documentata dai ricercatori che si sono occupati del suo sviluppo. E non stupisce, in fondo, considerato che l’educazione di GPT-3, e quindi di dSimon, è rappresentata per buona parte da quello che si può trovare sul web.

L’esperimento si conclude con un QR proiettato sullo schermo. Chi vuole, dice Tammara, può contribuire all’educazione di dSimon.

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