La fila di persone fatica a proseguire, annaspando attraverso la mascherina e bramando un po’ di fresco. È un giorno particolare per il settore teatrale, in generale per tutte le arti sceniche: è il 6 agosto e le ultime disposizioni del Governo sono entrate in vigore, il Green Pass è ora obbligatorio per eventi d’intrattenimento dal vivo.
Il timore è evidente, soprattutto dopo un anno di chiusura e tanti progetti andati in fumo.
Ma le restrizioni sembrano non interferire con la programmazione dell’INDA, l’Istituto Nazionale del Dramma Antico. Superata la prova Green Pass, la visione lascia senza fiato.
Il Teatro Greco di Siracusa si dipana, immenso, tra bianche scalinate di pietra e terra arsa e vento di sale e voci e memoria. Eppure, figure ciclopiche stonano con l’armonia arcaica del luogo: un volto in metallo bianco, una sagoma divina più simile a un demone e, infine, un manichino, quasi una bambola di pezza fantascientifica.
Le mostruose creature sono frutto del genio di Carlus Padrissa, fondatore della compagnia catalana La Fura dels Baus, e regista di Baccanti, in scena al Teatro Greco di Siracusa fino al 20 agosto. L’intento è da subito evidente e perfettamente in linea con lo stile estetico della compagnia: shock visivo, installazioni ipertecnologiche e provocatorie, allestimenti e azioni sceniche complesse ed eversive. Si viene catturati all’istante, ancor prima che lo spettacolo abbia inizio, ma è quando grida di follia giungono dalle spalle della platea che si rimane senza fiato. Le teste degli spettatori fanno avanti e indietro alla ricerca della loro origine. Finché, eccole: le Baccanti. Si dimenano sulla sommità delle scalinate, accerchiano il pubblico, poi si precipitano giù ballando, cantando, battendo i tamburi. Deliranti e sfrenate, sono loro a riempire l’orchestra, a divenire un unico corpo, appese a cavi sospesi, in acrobazie orgiastiche. E sono sempre loro ad azionare il meccanismo scenico, dando vita agli esseri di metallo che popolano la scena. Insieme, corpo baccanale e macchina, creano un effetto visivo eccezionale. A tratti, però, ingiustificato. L’imponente manichino-bambola verrà utilizzato per un solo scopo: quello di partorire Dioniso. È Zeus, che fece crescere il feto del Dio nella sua coscia. Dopodiché, il titano si ritira dietro le quinte per il resto dello spettacolo. Simile la scelta della rampa, macchinario mai utilizzato se non quando Agave appare in scena per la prima volta, con in mano la testa del figlio Penteo. La baccante fa la sua entrata rotolando, in preda al delirio, giù per la rampa, mettendo fine al ruolo dell’oggetto in circa due minuti.
Insomma, le scelte scenografiche ostentano l’originale capacità performativa della compagnia catalana, ma, al tempo stesso, ne mostrano l’intento prettamente spettacolare. E così, la regia e la rilettura del testo di Euripide risentono di questa scelta.
Sì, vi sono sottigliezze simboliche sparse per tutta la messinscena: il volto cavo dietro cui si nasconde Tiresia alla sua entrata e dai cui occhi spuntano le mani dell’attore, le pietre che trasporta Penteo la prima volta che appare in scena (oggetti, in entrambi i casi, che forse rappresentano degli epiteti visivi per i personaggi), l’enorme capo metallico raffigurazione del palazzo reale e allegoria del senno di Penteo violato dalla follia baccanale, Dioniso reso donna da un’eccellente Lucia Lavia, ma vestito di un corpo privo di sesso (astuzia guastata dal gesto didascalico del Dio che spazza via la “O” del suo nome a terra scoprendo il nome “Dionisa”). Eppure, se si prescinde da questi riferimenti specifici e lo si guarda da un punto di vista più ampio, la trasposizione in chiave contemporanea del testo di Euripide non risulta chiara. Una linea drammaturgica che si può trovare è quella della lotta femminista, ma emerge e si consuma nell’ultima apparizione delle Baccanti, ora in veste di manifestanti con tanto di cartelloni e bombolette.
Gli spunti non mancano, ma il risultato di questi “accenni” è l’impossibilità di trovare una chiave di lettura univoca, che non sia quella della meraviglia scenografica.
Forse, tuttavia, il vero protagonista, tacito ma essenziale, della regia di Padrissa è il corpo. Un corpo-macchina che aziona il congegno scenico, che si fa scena, corpo abbrutito e sfrenato come quello delle Baccanti che, unendosi e aggrovigliandosi, divengono un corpo altro, corpo ermafrodita come quello del primo messaggero, corpo travestito come quello di Penteo, corpi di donna e corpi di uomini, complementari ma in guerra, e dalla cui distanza si erge Dioniso, corpo senza sesso, erotismo per gli uni e per le altre.
Il trionfo della performatività.
Baccanti
Opera di Euripide
Traduttore Guido Paduano
Regia Carlus Padrissa (La Fura dels Baus)
Coreografie e assistente alla regia Mireia Romero Miralles
Scene, musiche Carlus Padrissa
Costumi e Scenografo Assist. Tamara Joksimovic
Regista Assistente Emiliano Bronzino
Direzione dei cori Simonetta Cartia
Collaborazione alla drammaturgia Toni Garbini, Michele Salimbeni
Assistente regia Maria Josè Revert
Disegno luci Carlus Padrissa
Assistente Volontaria Ornella Matranga
Direttore di Scena Mattia Fontana
Assistente di scena Giuseppe Coniglio
Coordinatore allestimenti Marco Branciamore
Costumista assistente e responsabile sartoria Marcella Salvo
Progetto audio Vincenzo Quadarella
Responsabile settore scenografico Carlo Gilè
Responsabile trucco e parrucco Aldo Caldarella
Costumi Laboratorio di sartoria Fondazione Inda Onlus
Scenografie Laboratorio di scenografia Fondazione Inda Onlus