In sala è calato il buio, lasciando il pubblico solo con il suono remoto di un ticchettio. La cecità dura qualche attimo, ma abbastanza per far sì che l’immaginazione vaghi tra fantasie ipotetiche per spiegarne l’origine.
Quando le luci tornando a illuminare il palco, si vedono quattro figure riempire altrettante sedie, disposte in fila sul fondo di un palco praticamente vuoto. Una di loro, una donna dalla corporatura robusta, batte a tempo un paio di ferri per l’uncinetto. Una seconda figura, esile e dinoccolata, avvolta in uno straccio di tessuto, si avvicina al proscenio, sciogliendosi in una danza grottesca. E poi, le risate. La donna robusta e quella al suo fianco si scambiano commenti divertiti, incomprensibili, e ridono, senza che sia chiaro se ridano insieme al ballerino che si scatena in proscenio o se ridano di lui.
Non sappiamo ancora che rapporto ci sia tra di loro, né chi siano, né dove siano, ma per i primi dieci minuti di Misericordia di Emma Dante – in scena al Teatro Argentina dal 31 agosto al 10 settembre – si ride, tanto.
Eppure, i personaggi non dicono nulla. Le due donne hanno iniziato a pettegolare fra di loro, ma in una lingua incomprensibile. Il grammelot gonfia la scena e ne fa un fumetto, ma il dialogo senza senso delle due comari ha un effetto esilarante.
Poi, finalmente, le parole assumono un senso, anche se marcate da un forte accento siculo. Ora, a formare una fila lungo il proscenio, ci sono quattro donne. Anzi, in mezzo alla seconda e alla quarta c’è una figura incapace di stare ferma, un uomo/bambino che si dondola sul posto guardandosi intorno. Arturo indossa un vestito femminile, camuffandosi all’interno del terzetto che lo circonda, ma lo spazio vuoto che si ritrova a occupare non fu anzitutto il suo, ma della madre, morta di parto. Anzi, “di parto” non è l’espressione corretta. Lucia muore per le botte del marito, un falegname che chiamavano Geppetto e che “alzava le mani”. E da quelle stesse botte nasce Arturo. Ce lo racconta Anna, picchiando sul legno del palco, a imitare i cazzotti dell’uomo sulla pancia gonfia dell’amica; mentre Arturo, accartocciato sul lato opposto del proscenio, feto nella pancia della madre, si contorce sotto quei colpi.
La storia di questa famiglia anomala, composta da tre madri e un bambino nel corpo di un uomo, viene ripercorsa attraverso frammenti drammaturgici di passato e presente. A fare da sfondo, un sud violento, gravido di povertà, ignoranza e depravazione. Un sud che costringe Anna, Nuzza e Bettina a guadagnarsi da vivere prostituendosi quando cala il sole, un sacrificio obbligato per poter essere madri di Arturo durante il giorno. Questo paradosso amaro è raccontato dalla Dante in una singola scena, che vede i corpi seminudi delle protagoniste dimenarsi in una danza erotica per gli occhi di noi spettatori, costringendoci a indossare i panni del voyeur, incapaci di distogliere lo sguardo dalla carne nuda e cascante. In mezzo ai corpi, Arturo imita le mosse delle tre mamme, in un gioco tanto innocente quanto grottesco.
È questo, infatti, l’unico mezzo che Arturo possiede per comunicare: il movimento.
Incapace di parlare, utilizza il corpo per esprimersi. La sua è una danza scomposta, precisa, disarticolata, fluida, morbida, scoordinata, infantile e matura al tempo stesso, senza che tutto ciò risulti incoerente.
La direzione impeccabile e maniacale di Emma Dante coordina la partitura mimica di ogni singola scena: a partire dal gioco ritmico del carillon, la cui melodia termina nel momento stesso in cui Arturo torna a dormire (il gioco si ripete più volte e sempre con precisione eccellente), che vede, inoltre, i quattro attori coordinarsi magistralmente e dar vita a uno sketch comico privo di battute; fino al momento strappalacrime in cui Arturo riesce a vestirsi da solo, prima tentando con un calzino, poi con una scarpa, poi inciampando in una spaccata perfetta e rimbalzando di nuovo in piedi. La bravura e la grazia di Simone Zambelli rendono totale giustizia allo scrupoloso sguardo di Emma Dante sul movimento. Movimento che è voce per Arturo e dialogo/relazione con gli altri personaggi. Movimento frutto di un lungo esercizio, di un attento studio. E il risultato è inquietante e appagante allo stesso tempo.
Misericordia è, senza dubbio, una storia amara. Storia di sofferenza, di abbandono, di miseria, di violenza domestica, di un sud che invoca pietà e di omertosa indifferenza.
Ma, forse, è prima di tutto una storia d’amore. Un amore forte quanto le tre protagoniste. Sincero quanto l’urlo di Arturo dal ciglio della strada, che urla “Mamma!”. E tutte e tre si voltano.
Misericordia
Scritto e diretto da Emma Dante
Con Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi, Simone Zambelli
Luci Cristian Zucaro
Foto Masiar Pasquali
Assistente di produzione Daniela Gusmano
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Biondo di Palermo
Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Carnezzeria
Coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma