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Diario di bordo – Day #2 | Ammutinamenti – Festival di danza Urbana e d’Autore 2021

di Margherita Dotta e Lea Paiella

Day #2

In questa seconda giornata [abbiamo pubblicato il comunicato stampa qui e il primo resoconto qui] di Vetrina della giovane danza d’autore il programma si divide tra le Artificerie Almagià, ex magazzino di un complesso industriale, poi divenuto sala polifunzionale dalla struttura simile a quella di una basilica, e il Teatro Alighieri.

Le performance pomeridiane, ospitate all’Almagià, sono About a revolution di Michael Incarbone (in realtà spostato da Piazza San Francesco, causa maltempo) e Anonima di Cecilia Ventriglia.

Mentre Plubel di Fabritia D’Intino e Clémentine Vanlerberghe, Gli amanti di Adriano Bolognino, Pedro di Laura Gazzani e Dodi di Sofia Nappi vengono proposte sul palco dell’Alighieri la sera stessa.

About a revolution

Concept e coreografia Michael Incarbone
Performers Erica Bravini, Mara Capirci, Michael Incarbone
Assistenza drammaturgica Erica Bravini
Musiche GAS, Mercury Rev
Con il sostegno di NINA
Si ringrazia Acrobax Playground

Cerchi e cerchioni, ciclicità e biciclette.
About a revolution, firmato da Michael Incarbone, è un lavoro che inizia, si sviluppa, si ripete e termina. Ma potrebbe non terminare mai.
Perché al centro di tutto – si passi il gioco di parole – c’è proprio un centro, «punto di concentrazione di energia» attorno al quale i corpi (di Incarbone stesso e Marca Capirci in sella a due biciclette e quello “solo umano” di Erica Bravini) orbitano secondo un loro moto proprio.
Lo spazio ampio e vuoto delle Artificerie Almagià si riempie di traiettorie invisibili e circolari che riflettono il moto naturale dei corpi celesti: sembrano apparire infatti due piani orizzontali collegati fra loro dallo sguardo ascensionale dell’unico corpo umano che vive senza il supporto delle due ruote.
A tal proposito emerge tra le righe il quanto mai attuale rapporto tra l’uomo e le tecnologie, non quelle digitali, bensì le “vecchie tecnologie” (le biciclette), che per rimanere in piedi e svolgere la loro funzione non possono mai fermarsi, al contrario dell’essere umano che ha un enorme potere decisionale sull’io del qui e ora, ma non su ciò che lo circonda. La natura infatti prosegue nel suo incessante moto e anche quando alla fine, sulle ultime note dei violini, la scena rimane completamente disabitata, quelle scie immaginarie lasciate dalle ruote resistono, ormai sedimentate e pronte a svilupparsi nuovamente. Lì in mezzo resta però anche un’invisibile presenza molto umana: l’esperienza del vissuto, quel bagaglio che riguarda e tocca tutti.
About a revolution è un inno un po’ nostalgico e romantico alla «relazione tra gli individui, tra i corpi terrestri e quelli celesti».


Anonima

Di e con Cecilia Ventriglia
Visione scenografica e sonora Davide Calvarisi
Disegno luci Pietro Cardarelli
In collaborazione con AMAT
Si ringraziano Alessandro Marinelli e Ritratti d’artista

Il solo di Cecilia Ventriglia è una danza muta, immersa nel silenzio della grande sala delle Artificerie Almagià. Anzi, parlare di solo non sarebbe corretto, dal momento che sul palco sta con lei un’altra figura, le cui membra di cartone sono tenute insieme da scotch, colla e calamite, e le cui fattezze richiamano esplicitamente quelle del Messia. La relazione fra i due corpi è ambigua: Cecilia lotta con il manichino, lo trascina, lo posiziona, lo imita. Lui è inerme tra le sue mani, si lascia fare a pezzi durante la lotta, si lascia ricomporre, si fa trasportare nella danza quando la performer lo solleva in aria e lo fa girare intorno alla sala. Un lento, tanto esoterico quanto intimo, dove le due silhouette si nascondono nella penombra, fuse in un metaforico amplesso.

Il focus è su quella forza spirituale che ci appartiene ed è inscritta in ciascuno di noi. Una straordinaria presenza che alcuni, per qualche ragione, non riescono ad avvertire, altri sì e si mettono alla ricerca…

Così recita la descrizione della performance. Così Cecilia decide di rendere materia questa forza spirituale, conferendole una forma, un peso, una presenza sul palco. Così la indaga, la cerca, la distrugge e la ricostruisce per creare un contatto.
E dopo che si è stati durante tutta la performance a sperare che lui reagisca, quando ormai le speranze sono venute meno, lui prende vita.


Plubel

Di Fabritia D’Intino e Clémentine Vanlerberghe
Con Fabritia D’Intino, Daria Greco, Céline Lefèvre, Clémentine Vanlerberghe
Assistenza coreografia Katia Petrowick
Musica Federico Scettri
Disegno luci Violaine Burgard e Pierre Staigre
Dramaturgy advising Merel Heering
Produzione CATSANDSNAILS (FR) / Chiasma (ITA)
In co produzione con Le Gymnase CDCN (Roubaix, FR), La Fabrique de Théatre (Frameries, BE)
Spazi di residenza Re.cre.che. (Cherasco), Magma (Firenze), L’encangeur CDCN (Chateau- Thierry), Théatre Massenet (Lille), CCN de roubaix- le balllet du nord (Roubaix), Ostudio (Roma)
Con il sostegno di DRAC Hauts- de- France, Région Hauts- de- France, ADAMI

Quattro schiene si mostrano in controluce nelle loro molteplici possibilità articolatorie e muscolari. Un unisono dove le forme si sviluppano in ripetute configurazioni gestuali, secondo un ritmo proprio privo di alcun appiglio musicale. Inizia così Plubel di Fabritia D’Intino e Clémentine Vanlerberghe, le quali, accompagnate dall’interpretazione di Daria Greco e Céline Lefèvre, danno vita a un viaggio a tappe «attraverso diversi modelli di rappresentazione del corpo femminile».
È in corso una metamorfosi costante che, grazie a ripetizioni, canoni e variazioni sul tema di un medesimo pattern coreografico, è resa sempre fluida e sfumata. Forse perché vi è un aspetto – latente, ma potente – che attraversa i mutevoli stereotipi sulla donna: quel senso di sorellanza che supporta l’individualità di ciascuna. Poetico il modo in cui viene presentata e vissuta la relazione tra le interpreti: distanti o unite fisicamente, come nella scena centrale in cui creano un tableau vivant sempre pulsante, non c’è mai un vero e diretto contatto visivo, che lascia invece spazio a un senso “altro” di simultanea appartenenza e libertà, in cui la percezione sembra passare attraverso canali più esperienziali che percettivi.
Plubel allora, nonostante la ripresa di modelli iconici derivanti da epoche diverse, crea uno spazio fuori dal tempo, dove la dimensione cinetica entra in una sorta di mantra tanto collettivo quanto individuale.
Emerge forte infatti un senso di ritualità tutta al femminile che «vuole scoprire la differenza ed elevare l’unicità». Quattro corpi, un corpo, una donna, quattro donne: è questo il percorso di visione in cui lo spettatore è accompagnato durante Plubel.


Gli amanti

Di Adriano Bolognino
Con Rosaria Di Maro, Giorgia Longo
Musiche Akira Rabelais
Produzione Anghiari Dance Hub

Prendendo spunto dal calco de “gli amanti”, la creazione vuole riportare alla luce un amore interrotto improvvisamente dalla forza prepotente della natura, ma custodito in eterno.

Da quest’immagine prende vita la performance “Gli amanti”, del giovane coreografo Adriano Bolognino.
Gli esseri che danzano sul palco vengono da un’altra epoca, forse quella della Pompei di 2000 anni fa, forse un’epoca futura, lontana anni luce. Infatti, la visione di questi corpi sinuosi, identici, dalla pelle turchese e cangiante ci fa pensare a due creature aliene, atterrate da un pianeta straniero per conoscere questa nuova terra. La loro comunicazione primitiva è puramente corporea, fatta di attimi di stasi, di morbidi gesti, intervallati da movimenti rapidi, decisi e simultanei, dal sapore orientale.
Studiano lo spazio che le circonda, ciò che è esterno ed estraneo, ma anche loro stesse, scrutandosi l’una davanti all’altra, sfidandosi nella velocità e nella mimesis. Come davanti a uno specchio, cercano di ingannare il loro stesso riflesso.


Pedro

Di e con Laura Gazzani
Sound designer Lorenzo Lucchetti
Accompagnamento artistico Elena Sgarbossa
Light designer Lidia Zanelli
Testi Arianna Perrone
Con il sostegno di Santarcangelo Festival, Villa Nappi residenze/ Marche teatro, Lavanderia a Vapore, C.U.R.A. Centro Umbro di Residenza Artistica
In collaborazione con AMAT
Mentorship di Litz King, Coreographic center Burgenland

Pinocchio aveva il suo grillo parlante, Laura Gazzani ha il suo Pedro. Il primo è la coscienza, il secondo l’intuito… Che poi a ben vedere- nel caso di Pedro– è anch’esso coscienza. Sì, perché il lavoro di Laura Gazzani (ideatrice e interprete) esplicita e rivela quella impercettibile e forse spesso trascurata “pensosità” del corpo: delimitato da uno spazio disegnato con dello scotch bianco, il corpo della performer è in una continua pacifica lotta con la mente e le circostanze in cui si trova, che lo vorrebbero forse meno attivo e più manovrabile. Ma il corpo sa, sa bene e molto. Il corpo ha memoria e memorizza per il futuro. E infatti esiste e persiste nella sua materialità, creando una dimensione nuova in cui a un certo punto le sovrastrutture tipicamente razionali cadono a favore di quell’istinto di sopravvivenza che, nel caso di Pedro, non solo salva, ma anche crea. E anche quando il palco resta vuoto, riempito solo dalle note e dalle parole di “Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco, Pedro continua ad aleggiare, perché lui è ciò che sopravvive e vive sempre, lì dove sopravvivenza e vita hanno a che fare con il movimento.


Dodi

Di Sofia Nappi
Danzatori Paolo Piancastelli, Adriano Popolo Rubbio
Costumi Sofia Nappi
Disegno luci Emiliano Minoccheri
Produzione Sosta Palmizi con KOMOCO/ Sofia Nappi

L’atmosfera che abbraccia la performance di Sofia Nappi ricorda quella di un mercato rionale del lontano Medio Oriente, e anche se lo spazio è vuoto e la luce è soffusa è facile riuscire a immaginarsi l’ambiente esotico e vivace di quei luoghi. Qui, due uomini si incontrano, l’uno immagine dell’altro, sorridono, ognuno godendo della compagnia altrui. Si imitano, si ascoltano, giocano, incuranti del tempo che passa, compiacendosi solamente della serenità di quel momento, tanto intimo e spensierato. Queste, le sensazioni che Dodi infonde nello spettatore, e che sono già presenti nella parola di origine ebraica, il cui significato è “dono; mio amato”.

Questo innato senso di tormento appare ora come uno dei doni più preziosi che tutti condividiamo e la consapevolezza di esso ci aiuta ad andare più in profondità, trovare accettazione di noi stessi e infine libertà

Recita così la descrizione della pièce. E la curiosità di scoprire quale sia l’origine di questo tormento è tanta. Sperando di poter vedere la performance per intero, ci godiamo intanto l’allegria che quest’estratto ci ha donato.

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