Medea per strada

Festival Mauro Rostagno: Medea per strada di Teatro dei Borgia

Il 24 novembre, alla vigilia della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, all’interno della rassegna Luci sulla Togliatti è andato in scena l’ultimo appuntamento del Festival Mauro Rostagno [di cui abbiamo parlato qui e qui], Medea per Strada, con Elena Cotugno, autrice del testo insieme a Fabrizio Sinisi, e la regia di Gianpiero Alighiero Borgia

Quello che il programma definisce

«Un viaggio fisico ed emotivo lungo Viale Togliatti attraverso la storia di migliaia di vite, con l’obiettivo di sfatare pregiudizi sociali e offrire uno spazio di ascolto e dialogo»

è effettivamente un viaggio in autobus lungo Viale Palmiro Togliatti, nella zona nord-est di Roma.

Accompagnatrice degli spettatori/passeggeri, una lugubre Medea dark dall’accento rumeno e l’inflessione barese, che salendo sull’autobus dà il via alla narrazione della sua vita.

Lottando per emergere dal rumore dell’autobus in marcia, Medea racconta dell’infanzia vissuta in povertà nella campagna rumena, dei maiali sgozzati in fattoria, del padre oppositore di Ceaușescu che ha fatto di tutto per salvarla dalla morsa del regime, mandandola in Italia.

Approdata a Bari, cade rapidamente vittima di uno sfruttatore, il Roscio di Bari, che fa leva sulla sua ingenuità e sul suo bisogno di amore per instradarla sulla via della prostituzione. Incatenata dai suoi stessi sogni, rimane incinta del Roscio, ed è convinta che finalmente la sposerà. Ma la realtà è che lui è solo un pappone, e lei è solo una delle sue prostitute.

Un giorno Medea scopre che il Roscio sta frequentando un’altra donna, e lui arriva al punto di dirle che questa giovane commessa, Emanuela, se la sposerà. Allora lei, in un tragico atto definitivo, porta i suoi figli al negozio di Emanuela e li sgozza davanti alla donna, prima di ucciderla.

Elena Cotugno/Medea
Elena Cotugno/Medea

Medea per strada è un monologo trasportato in un non luogo tra realtà e schegge di memoria, in cui la tragica eroina della Colchide viene riletta attraverso il corpo, la voce, la storia di una donna romena in un paese straniero, che avvinghiata al filo sottile di un sogno irrealizzabile è sprofondata nell’abisso della prostituzione; un magma denso di emozioni e sentimenti esaltato dall’austerità della messa in scena.

Proprio come nella tragedia di Euripide, Medea è una donna forte e ribelle che si attribuisce poteri e prerogative, per esempio la crudeltà, che ancora oggi sono considerati esclusivi del mondo maschile. 

La sua figura attrae e ripugna allo stesso tempo, in fondo è un’assassina, un’infanticida che sembra emergere dalle nebbie oscure e un po’ malsane del filone “true crime” di programmi come Storie Maledette o Blu Notte.

Ma da un punto di vista psicoanalitico, la scelta di Medea in questo senso è esemplare: lei non vuole solo rompere le catene che la costringono nella sua condizione di prostituta, ma soprattutto quelle, molto più robuste, che la legano al sogno impossibile di costituire una famiglia con il Roscio di Bari.

In quest’ottica, l’uccisione dei suoi figli non può essere semplicemente liquidata come un gesto di suprema crudeltà vendicativa, perché nessun odio giustificherebbe una tale mostruosità. Il vero bersaglio, ancora una volta, è l’attaccamento emotivo di Medea: l’unico modo per lei di superare il suo amore per il Roscio, di rompere la prima e la più spessa delle catene, è uccidere la cosa più cara che hanno in comune. Dopo un tale shock, nulla tra loro sarà più possibile.


Medea per strada

con Elena Cotugno
di Fabrizio Sinisi e Elena Cotugno
ideazione e regia Gianpiero Alighiero Borgia
allestimento scenico Filippo Sarcinelli
progetto luci Pasquale Doronzo
Coproduzione: Teatro Biblioteca Quarticciolo e ÀP Teatro

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