È divertente andare a caccia del “nuovo”, assecondare la curiosità di spettatore che va alla ricerca nei piccoli e grandi teatri, di nuove drammaturgie, nuovi interpreti, nuovi linguaggi per avere sotto gli occhi quello che si dice “lo stato dell’arte”. Il teatro è un fatto sempre in divenire, ribolle sempre, e lo spettatore appassionato – e appassionatamente critico – spera nella sorpresa, quando non nell’autentico (raro) stupore.
Eppure, nel nuovo sempre nascente, ogni tanto capita di farsi coccolare dal “teatro di una volta”. Chi ha avuto modo di passare al Teatro Argentina di Roma dal 10 al 23 dicembre può dire di aver goduto di questa coccola.
Un Carlo Cecchi in forma smagliante, nelle sue oltre ottanta primavere, ha portato in scena due atti unici del maestro Eduardo De Filippo: Dolore sotto chiave e Sik-Sik l’artefice magico.
Nel primo l’esasperazione di un lutto negato, l’inganno di chi vuol proteggere in nome dell’affetto, il microcosmo familiare che pur avvolto nell’ovatta esplode, una perfetta coesistenza tra dramma e paradosso.
Nel secondo una lezione esilarante di comicità, semplice e rigorosa, l’interprete che elegantemente fa il solletico, che proprio non si può non ridere. Tutto questo, va da sé, sta già in quel genio della misura che è Eduardo. Ma è servito da Cecchi e dalla compagnia tutta, su un vassoio d’argento.
Il teatro fatto con poco: due pareti, un tavolo, una porta, un telefono. Due paletti e un filo per un siparietto, un baule, un fondale di stoffa. Nulla di prezioso, ma tutto magico.
Accanto a Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Vincenzo Ferrera, Dario Iubatti, Remo Stella, Marco Trotta, una compagnia che si guarda, parla, si muove, come in una giostra esatta, ciascuno con il proprio ruolo, al proprio posto, in questo concerto. Non imbrigliati, ma consapevoli delle regole del gioco che permettono loro di essere precisi ma sempre liberi, anche di ridere, se dovesse scappare. E qui, nella relazione che non è solo affiatamento, ma è un’opera di insieme, si vede la scuola di Cecchi, che ha trasformato il suo talento e la sua esperienza in un sapere da trasferire ai giovani di cui ancora si circonda.
Un manifesto del teatro di una volta, o forse, soltanto del teatro fatto bene. Due ore da gustarsi, con «amore nostalgico per le cose care», come recita la didascalia iniziale di Dolore sotto chiave. Da gustare anche con le orecchie che in questa occasione, come accade raramente in verità, hanno modo di sentire le voci nude degli attori, non amplificate, che risuonano senza paura (e con tecnica) nell’ampia sala dell’Argentina.
Dolore sotto chiave / Sik Sik l’artefice magico
due atti unici di Eduardo De Filippo
regia Carlo Cecchi
con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Vincenzo Ferrera, Dario Iubatti, Remo Stella, Marco Trotta