In un futuro nemmeno troppo lontano, una grande città è stata sommersa dall’immondizia e dai liquami che, esondando, hanno invaso i quartieri rendendoli invivibili, costringendo così la popolazione all’autoreclusione. Prendendo spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto a Londra nel 2017 – quando fu rinvenuta una gigantesca palla di grasso, escrementi, cellulari e molte altre schifezze che con le sue 130 tonnellate ostruiva i canali fognari – il drammaturgo Gabriele Di Luca ha creato il pretesto per costruire un intreccio spietatamente ironico, dove il confine tra il comico e il tragico non si riesce mai a stabilire.
Protagonisti di questa reclusione estrema ed esasperante sono otto personaggi, che vivono e lavorano all’interno di una vecchia carrozzeria, cuocendo cibi da asporto liofilizzati per intolleranti alimentari. In questa cucina improvvisata, con fornelli elettrici e strumenti essenziali, si muove Plinio (Federico Vanni), un ex cuoco stellato stanco e ormai disilluso che discute continuamente con sua moglie Clara, interpretata da Beatrice Schiros. Lei, invece, da ex lavapiatti, è passata a gestire l’organizzazione di questa nuova attività. Dopo anni all’ombra di una cucina, adesso sogna di diventare un’influencer di successo improvvisandosi imprenditrice. Insieme a loro, c’è il figliastro di Clara, Igor (Federico Gatti), un ragazzo che passa le sue giornate a trastullarsi coi videogame, contribuendo poco e male alle mansioni da svolgere; e Ambra Chiarello nei panni di Hope, una donna etiope costretta alla segregazione non solo perché necessita di lavoro per vivere, ma soprattutto perché fuori si è scatenata una rivolta sanguinosa contro gli immigrati, unici beneficiari dei sussidi forniti dal governo. A loro si aggiungono man mano tutti gli altri personaggi. Prima Mosquito (Aleph Viola) che fin dalla sua entrata in scena si candida come il vero trascinatore comico irriverente del gruppo. Aspira a diventare un attore, nonostante debba scontare una condanna ai servizi sociali proprio lavorando per questa azienda di consegne a domicilio. E poi ancora Cesare (Massimiliano Setti) e Patty (Elsa Bossi). Cesare è un professore di lettere «aspirante suicida». È disposto a lavorare gratis e ad aggrapparsi a tutto ciò che trova pur di non rimanere solo. Mentre Patty, la madre di Plinio, è un ex brigatista che prima di andarsene a vivere in una comunità autogestita in Svizzera vuole resistere con le armi contro la deriva nazionalistica in atto a seguito della catastrofe igienico-sanitaria. Infine c’è Mohamed, rider schiavizzato che nemmeno ha un volto, obbligato a fare consegne a due euro l’ora pedalando tra la melma e i rifiuti per sopravvivere.
Questi personaggi, oltre a essere indissolubilmente legati tra loro, sono tutti accomunati dall’essere in ogni momento sia vittime che carnefici. Vittime di loro stessi e degli eventi, perché incapaci di prendersi le proprie responsabilità; e carnefici verso l’altro, su cui sfogano tutti i loro fallimenti. Non c’è buono o cattivo, protagonisti o personaggi secondari. Sulla scena, sproloqui ai limiti dell’assurdo, dialoghi taglienti, sfacciati e sporchi sono il simbolo di un’esistenza al limite. Sono l’emblema di una fragilità inespressa, dove i sentimenti si nascondono e le persone rimangono vittime di un sistema performativo che tende a metterle le une contro le altre. Ed è in questo delirio di personalismi che si dimentica con facilità quanto sia importante prendersi cura del contesto, dell’Altro, ma soprattutto di se stessi. D’altra parte, se si intende combattere contro un sistema che privilegia l’infinita ricchezza di pochissimi individui costruita sulle spalle della restante maggioranza, allora non ha senso farsi la guerra tra simili, anteponendo prima di tutto i propri interessi materiali. Perché è precisamente il meccanismo dell’arrivismo e della competizione che alimenta i conflitti sociali.
In un momento storico in cui si ha addirittura paura a respirare all’aria aperta, Miracoli Metropolitani ha riportato a teatro una boccata d’aria fresca. Pur essendo stato scritto prima dell’emergenza sanitaria, il testo è ambientato in una situazione di reclusione forzata che si collega perfettamente con quanto è successo recentemente a ognuno di noi. Inoltre, tante altre riflessioni sull’attualità arricchiscono la messinscena con significati molteplici e articolati. Oltre alla crisi ambientale, si affrontano con ironia il tema del razzismo e dell’integrazione. Dalla dipendenza morbosa dai videogame si arriva a trattare la depressione e la solitudine, giungendo fino a considerazioni di natura politica sulla necessità di combattere un nuovo possibile regime totalitario. Eppure, sul palcoscenico la tragedia emerge soltanto a sprazzi in maniera esplicita. L’energia e il senso del ritmo di un ensemble elettrico e coeso ravvivano continuamente la vicenda. I conflitti tra i personaggi, oltre a moltiplicare gli intrecci narrativi, stimolano la risata di gusto e il gioco comico, permettendo così al dramma di essere percepito come un retrogusto piuttosto che come il fulcro della questione.
Senza dubbio è proprio il quotidiano l’elemento portante dello spettacolo che, fin dalle prime battute, riesce a creare quella complicità e quell’affetto su cui si può costruire un forte legame di fiducia col pubblico. Per Carrozzeria Orfeo, infatti, la questione cruciale risiede proprio nel ricercare un compromesso fra intrattenimento e introspezione, per rompere la dicotomia ormai logora che esiste tra un teatro per così dire “classico” o d’autore e un teatro che propone drammaturgie originali. Perché è possibile coinvolgere chi assiste in un’esperienza profondamente emotiva e intellettuale, raccontandola però attraverso un linguaggio quotidiano, schietto e soprattutto fruibile per un’ampia platea di persone. Infatti, Miracoli Metropolitani è innanzitutto una drammaturgia ben strutturata, che riesce a fondere l’umanità più profonda del classico con l’irriverenza e la violenza dei temi e della comunicazione contemporanea.
Insomma, forse il vero miracolo è stato quello di aver avuto la possibilità di vivere intensamente una vera esperienza teatrale, oltre la semplice compresenza fisica di attori e spettatori. Perché niente ora come ora è più importante del contatto, del riuscire a trovarsi. Trovarsi, ognuno con la sua percezione eppure in un solo respiro. Essere complici di uno stesso sentire. Per un paio d’ore si può smettere di sentirsi soli, frustrati e angosciati dalla vita di tutti i giorni per credere a qualcosa, la scena, che non dovrebbe limitarsi a imitare la vita, ma dovrebbe condensarla fino a farne un distillato di emozioni.
Sul finale i liquami iniziano a invadere il palcoscenico da una bocchetta di aerazione. La merda, così come il nostro malessere, non si può accumulare all’infinito. D’altronde ognuno è nemico di se stesso nel momento esatto in cui smette di preoccuparsi di ciò che lo circonda. Perché scaricare la colpa sull’Altro pur di non guardarsi allo specchio e non rendersi conto della responsabilità delle proprie azioni equivale a ritrovarsi sommersi, senza aver più alcuna possibilità di poter reagire.
MIRACOLI METROPOLITANI
uno spettacolo di
CARROZZERIA ORFEO
drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
con (in o.a.)
Elsa Bossi Patty
Ambra Chiarello Hope
Federico Gatti Igor
Beatrice Schiros Clara
Massimiliano Setti Cesare
Federico Vanni Plinio
Aleph Viola Mosquito/Mohamed
Si ringrazia Barbara Ronchi per la voce della moglie.
musiche originali Massimiliano Setti
scenografia e luci Lucio Diana
costumi Stefania Cempini
illustrazione locandina Federico Bassi
foto di scena Laila Pozzo
organizzazione Luisa Supino
ufficio stampa Raffaella Ilari
una coproduzione Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli -Teatro Bellini in collaborazione con il Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale”